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Unioni civili e convivenze di fatto: profili evolutivi della l. 218/95

Come è noto, il legislatore italiano, tramite la cd. legge Cirinnà (l. 76/2016)[1], sotto la spinta dell’incisiva giurisprudenza della Corte EDU[2], ha introdotto nell’ordinamento nazionale “uno specifico quadro giuridico che prevede il riconoscimento e la tutela delle unioni omosessuali”[3] ed altresì una nuova disciplina per le convivenze di fatto, possibili tra “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”[4].

L’intervento del legislatore italiano – avente ad oggetto anche la l. 218/95 – ha imposto, di conseguenza, una significativa svolta negli orientamenti dei tribunali di merito e della Corte di Cassazione, fino ad allora generalmente contrari alla trascrizione dei matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso.

Le novità apportate alla l. 218/95

L’introduzione degli istituti delle unioni civili e dei contratti di convivenza ha comportato, anzitutto, un affiancamento di tali discipline al classico istituto del matrimonio civile, determinando non soltanto un notevole passo avanti del diritto di famiglia, ma anche della l. 218/95 (riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), alla quale sono stati aggiunti – con tre appositi decreti attuativi[5] – gli artt. 32 bis, ter, quater, quinquies volti a regolamentare casi di unioni civili contratte all’estero da soggetti aventi nazionalità italiana nonché l’art. 30 bis, a sua volta dedicato ai contratti di convivenza.

Si procederà, dunque, dapprima ad analizzare il contenuto degli articoli per poi trarre alcune valutazioni complessive sulla riforma.

Il primo articolo inserito nella l. 218/95 è il 30 bis, rubricato “contratti di convivenza”, nel quale si prevede, come legge applicabile a tali rapporti giuridici, quella “comune dei contraenti” ovvero “la legge del luogo in cui la convivenza è prevalentemente localizzata” nel caso di contraenti di diversa cittadinanza. Pare si possa concordare con chi ha ritenuto che l’articolo – l’unico dedicato a tale nuovo istituto – si presenta scarno poiché “le questioni relative all’esistenza e alla cessazione della convivenza, ai rapporti personali tra conviventi, alle obbligazioni alimentari restano prive di un’autonoma disciplina di conflitto[6]: tali aspetti sono ricavabili soltanto col necessario riferimento a regolamenti dell’UE[7].

La disciplina delle unioni civili, invece, si estende dall’art. 32 bis fino al quinquies. Nonostante una certa equivalenza con gli articoli dedicati al matrimonio contenuti nella l. 218/95, le nuove norme si caratterizzano per una reductio ad unum delle diverse forme di unione celebrabili all’estero: a prescindere dalla denominazione e dagli effetti prodotti negli ordinamenti stranieri, infatti, il matrimonio (art. 32 bis), l’unione civile o altro istituto analogo (art. 32 quinquies) producono gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana.

L’art. 32 bis, infatti, riqualifica l’eventuale matrimonio contratto all’estero tra cittadini italiani in unione civile ed una simile operazione viene compiuta, ex art. 32 quinquies L. 218/95, per le unioni civili (o istituti simili) contratti all’estero da cittadini italiani “abitualmente residenti in Italia”. È evidente, peraltro, la somiglianza, sia terminologica che qualitativa, tra la nozione di residenza abituale e di prevalente localizzazione della vita matrimoniale, contenuta nell’art. 29 della legge stessa[8].

Inoltre, la stessa collocazione nel Capo IV, intitolato “Rapporti di famiglia”, di tali norme è comunque un segno che “entrambi gli istituti debbano essere situati all’interno del genus unitario delle relazioni di tipo familiare[9]. La logica che ha ispirato il legislatore nell’emendare la L. 218/95, poi, rispecchia lo schema già seguito per gli articoli dedicati al matrimonio: la capacità e le condizioni richieste per contrarre l’unione civile, la sua validità formale, i rapporti personali e patrimoniali, il suo scioglimento nonché i criteri di collegamento sono tendenzialmente identici a quelli stabiliti per il matrimonio.

All’art. 32 quater, ad esempio, è visibile una vis attractiva della legge italiana in materia di scioglimento dell’unione civile: la giurisdizione italiana sul punto, infatti, si applica sia nel caso di unione celebrata tra due cittadini italiani all’estero, sia quando una sola parte ha la cittadinanza italiana sia, infine, quando l’unione è stata costituita in territorio italiano. Tuttavia la legge italiana, generalmente, è recessiva rispetto a quella dei paesi esteri.

Per quanto attiene la capacità e le condizioni generali per contrarre un’unione civile, l’art. 32 ter co. 1 prescrive l’applicazione della legge nazionale di ciascuna parte, a meno che in tali nazioni non sia prevista una regolamentazione giuridica delle unioni fra persone dello stesso sesso – nel qual caso varrà la legge italiana. Similmente accade per la forma (art. 32 ter co. 3), la quale rispecchia un generale favor validitatis per l’unione civile. È, infatti, prevista la validità dell’unione civile se è rispettata la forma prevista nel luogo di costituzione ovvero dalla legge nazionale di almeno una parte o, ancora, da quella di comune residenza delle parti al momento della sua costituzione.

Nonostante la disciplina, sul versante internazionalprivatistico, sia un esempio virtuoso di apertura a leggi estere su temi ‘di peso’ riguardanti le unioni tra persone dello stesso sesso (come la forma, la capacità e le condizioni), non è comunque possibile esprimere un giudizio pienamente positivo sull’operato del legislatore italiano, anche a distanza di oltre due anni dalla promulgazione dei tre decreti attuativi della L. c.d. Cirinnà.

Permane, infatti, “una sorta di ritrosia del legislatore nel definire “famiglia” l’unione civile e, quindi, a considerarla alla stregua di una istituzione in linea di principio sovraordinata ai singoli che la compongono”[10]. Ciò non può che avere riflessi anche sul piano del diritto internazionale privato: paradigmatico, in tal senso, è il meccanismo, racchiuso nell’art. 32 bis, per mezzo del quale qualsiasi forma di unione tra persone dello stesso sesso viene ricondotta all’unione civile.

[1] Per una disamina generale sulle unioni civili si rimanda, a titolo esemplificativo, a A. OLIVA, La disciplina delle unioni civili dopo i decreti attuativi, Aracne Editrice, Roma, 2017; G. FERRANDO, Matrimonio e unioni civili: un primo confronto, in Pol. Dir., Fasc. 1/2017; F. CARAMINI, Le unioni civili: tra la famiglia “tradizionale” e nuovi “modelli” di comunione familiare, in www.comparazionedirittocivile.it , marzo 2018.

[2] Ben rappresentata dalla sentenza della Corte EDU, Oliari e altri c. Italia, 21 luglio 2015.

[3] Così Corte EDU, ivi § 185

[4] Art. 1 co. 36 L. 76/16

[5] Ci si riferisce ai D. lgs. n. 5, 6, 7, pubblicati sulla G.U. il 27 Gennaio 2017

[6] Così G. BIAGIONI, Unioni same-sex e diritto internazionale privato: il nuovo quadro normativo dopo il D. lgs. n. 7/2017, in Rivista di Diritto Internazionale, Fasc. 2/2017, p. 501

[7] Come, per esempio, al Reg. 4/2009 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari.

[8] L’art. 29 L. 218/95, infatti, afferma: “I rapporti personali tra coniugi sono regolati dalla legge nazionale comune. I rapporti personali tra coniugi aventi diverse cittadinanze o più cittadinanze comuni sono regolati dalla legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata.” (corsivo aggiunto).

[9] G. BIAGIONI, Ult. Op. cit., p. 503

[10] In tal senso si esprime M. SESTA, Unione civile e convivenze: dall’unicità alla pluralità dei legami di coppia, in Giur. It., 2016, p. 1796.

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