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Violenza di genere: gli obblighi di incriminazione e di adeguata indagine derivanti dall’art. 2 Cedu

Con sentenza del 4 agosto 2020, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (di seguito anche solo ‘Corte Edu’) ha condannato l’Albania per violazione dell’art. 2 Cedu, nella sua dimensione procedurale, in relazione ad un episodio di violenza di genere in cui la vittima ha subìto gravi lesioni in seguito ad un attacco con acido[1]. In particolare, la Corte ha ritenuto che le indagini non fossero state condotte con sufficiente celerità ed efficienza. Inoltre, i giudici hanno rilevato che la vittima non avesse ottenuto le informazioni necessarie per attivare gli opportuni controlli giudiziali sulla procedura investigativa.

La decisione della Corte Edu

Occorre premettere alcune considerazioni circa la portata dell’art. 2 Cedu in relazione ai reati di violenza. In particolare, l’art. 2 Cedu è applicabile anche in caso di un soggetto sopravvissuto, offeso da una condotta idonea a cagionare un rischio reale e imminente per la vita. A livello sostanziale, detta disposizione impone agli Stati membri di incriminare le azioni lesive della vita. A livello processuale, lo Stato deve espletare indagini adeguate, complete e tempestive per assicurare l’individuazione del responsabile e comminare una pena proporzionata alla condotta tenuta. Ancora, in caso di denuncia di violenze da parte della vittima alle autorità, è necessaria l’adozione di misure operative di tipo preventivo e di protezione. Tali considerazioni sono ribadite nel caso in esame, in cui la Corte ha confermato la propria giurisprudenza di cui le pronunce Opuz c. Turchia e Talpis c. Italia costituiscono importanti antecedenti [2].

Nel dettaglio, si versa nella specifica ipotesi di violenza di genere. La vittima ha infatti subìto un attacco con sostanza acida da parte di un soggetto non identificato. Successivamente, le indagini sono state rivolte nei confronti dell’ex-marito della donna[3], senza tuttavia sfociare in alcuna condanna, non essendo stato possibile identificare l’aggressore.

La Corte europea ha individuato una violazione dell’art. 2 Cedu sotto il profilo procedurale, poiché le indagini delle autorità nazionali sono state svolte in modo incompleto. In presenza di segni distintivi di una forma di violenza di genere, le autorità avrebbero dovuto reagire con particolare diligenza nello svolgimento delle misure investigative. In particolare, la Corte ha rilevato la mancanza di una perizia tesa ad accertare la natura dell’acido usato contro la vittima. Tale misura investigativa appare di cruciale importanza per l’identificazione dell’aggressore. Inoltre, i giudici di Strasburgo hanno considerato che, nonostante le richieste della ricorrente, le autorità interne non le hanno fornito informazioni o documenti circa l’avanzamento delle indagini. A causa di ciò è stato impedito alla vittima di contestare l’azione investigativa e di richiedere l’adozione di ulteriori misure per identificare il responsabile.

La legislazione italiana e la difficile attuazione della indicazioni della Corte Edu

Il caso in esame impone un’analisi della legislazione italiana in materia di violenza di genere, anche alla luce del recente esame svolto da parte del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa in sede di verifica dell’esecuzione della sentenza Talpis.  Al riguardo, è stata espressa preoccupazione per l’elevato tasso di procedimenti interni che si traducono in decisioni di non luogo a procedere nella fase delle indagini preliminari. L’Italia dovrà quindi fornire al Comitato informazioni statistiche sull’attuazione concreta delle disposizioni legali che incriminano la violenza domestica[4].

Ormai da tempo il legislatore nazionale ha dimostrato una crescente attenzione per il fenomeno della violenza domestica e di genere. Alcuni rilevanti interventi in materia sono il d.lgs. n. 212 del 2015, in attuazione della direttiva 2012/29/UE, riguardante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato; la l. n. 77/2013 di ratifica della convenzione di Istanbul; il d.l. n. 93/2013; la l. n. 22/2016 sul fondo vittime dei reati violenti; la l. n. 4/2018, recante disposizioni in favore di orfani vittime di crimini domestici e infine la l. n. 69/2019 volta a rafforzare la tutela delle vittime dei reati di violenza domestica e di genere, nota anche come “Codice Rosso”[5].

Con particolare riferimento alla l. n. 69/2019, è necessario soffermarsi su alcune rilevanti novità[6].

Sul piano sostanziale, occorre segnalare l’introduzione dell’art. 387-bis c.p., concernente il delitto di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, dell’art. 558-bis c.p., riguardante il reato di costrizione o induzione al matrimonio,  dell’art. 583 quinques in materia di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso.

Sul piano procedurale, emerge l’intento di velocizzare le indagini riguardanti casi di violenza domestica e di genere. In particolare, si è previsto che la polizia giudiziaria, acquisita la notizia di reato, riferisca immediatamente al pubblico ministero, anche tramite comunicazione orale, cui dovrà seguire comunicazione scritta (art. 347 co. 3 c.p.p.). Inoltre, il pubblico ministero nel termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato deve assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato. Detto termine può essere prorogato solo in presenza di imprescindibili esigenze di tutela di minori o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa (art. 362 co. 1 ter c.p.p.). Ancora, la polizia giudiziaria deve compiere senza ritardo gli atti d’indagine delegati dal pubblico ministero (art. 370 co. 2 bis c.p.p.). In relazione alla violenza sessuale viene esteso il termine concesso alla persona offesa per sporgere querela, dagli attuali 6 mesi a 12 mesi.

Sul piano della prevenzione, si è introdotta la possibilità di ricorrere a procedure di controllo mediante mezzi elettronici (c.d. braccialetto elettronico) al fine di garantire il rispetto della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

Ciò considerato, la tutela a livello processuale della persona offesa è garantita dall’art. 90 bis c.p.p. che prevede diritti di tipo informativo, tra cui la possibilità di ottenere notizie sul procedimento e sulle misure di protezione che possono essere disposte in favore della vittima.

Alla luce di quanto precede, si può ritenere che il sistema repressivo e procedurale interno sia formalmente conforme alle esigenze di protezione imposte dalla Corte di Strasburgo. Tuttavia, l’attuazione delle disposizioni interne si scontra con aspetti di debolezza che rendono difficoltoso fornire un’idonea tutela in un ambito così complesso e delicato.

Si rileva in dottrina che nella fase delle indagini le garanzie riconosciute alle vittime non sono affiancate a un adeguato profilo sanzionatorio[7]. Inoltre, la lentezza che spesso caratterizza le indagini preliminari collide con gli obiettivi repressivi perseguiti dal legislatore. La questione è necessariamente riconducibile a considerazioni più generali, in base alle quali l’inasprimento delle pene e l’imposizione di termini stringenti di intervento dovrebbero essere accompagnati a un’adeguata ed efficiente allocazione delle risorse in ambito giudiziario. Infatti, come è ribadito dagli organi del Consiglio d’Europa, in assenza di un intervento rapido da parte delle forze dell’ordine e dell’autorità giudiziaria, non può esservi un’efficace protezione delle vittime dei reati di violenza di genere.

Fonte dell’immagine: www.rainews.it

[1] Dhurata Terschana c. Albania, ric. n. 48756/14.

[2]F. Tumminello, Violenza contro le donne nella giurisprudenza della Corte EDU: da Opuz c. Turchia al caso Talpis, in iusinitinere.it (accessibile al link https://www.iusinitinere.it/violenza-contro-le-donne-nella-giurisprudenza-della-corte-edu-da-opuz-c-turchia-al-caso-talpis-9768).

[3] La Corte Edu rileva che la ricorrente prima dell’attacco non ha portato all’attenzione delle autorità eventuali rischi posti alla sua vita dal suo ex marito, il che avrebbe fatto scattare l’obbligo positivo per lo Stato di adottare misure preventive per proteggere l’incolumità della donna.

[4] 1383a riunione, 29 settembre – 1 ottobre 2020, Talpis c. Italia, Supervisione dell’esecuzione delle sentenze della Corte europea https://search.coe.int/cm/Pages/result_details.aspx?ObjectID=09000016809fa8d4.

[5] A. Marandola, Reati violenti e Corte europea dei diritti dell’uomo: sancito il diritto alla vita e il “diritto alle indagini”, in sistemapenale.it (accessibile al link https://sistemapenale.it/it/scheda/marandola-cedu).

[6]Per un approfondimento sulla l. n. 69/2019, V. D’Alessio, Il Codice Rosso è legge: la disciplina della tutela penale delle vittime di violenza domestica https://www.iusinitinere.it/il-codice-rosso-e-legge-la-disciplina-della-tutela-penale-delle-vittime-di-violenza-domestica-23896.

[7] A. Marandola, cit.

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