venerdì, Aprile 26, 2024
Criminal & Compliance

L’alleanza terapeutica medico-paziente: il consenso informato

consenso informato
Informed consent – C.I.

Nella medicina convenzionale e non.

È ormai da tempo superata la visione c.d. paternalistica del rapporto medico paziente –  che riteneva il medico unico detentore delle competenze necessarie per decidere in favore del malato – per dare spazio ad una visione di decisionalità condivisa che si esplica oggi nella “alleanza terapeutica”.

Il paziente viene posto in grado di condividere attivamente con il curante il suo percorso di salute, un processo di crescita e di consapevolezza della persona-paziente che si riappropria delle sue scelte assistenziali co-adiuvato da un professionista con il quale è chiamato a condividere un percorso terapeutico.[1]

Espressione di questo principio, e ancor più del dettato normativo dell’art. 32 Cost.[2], è la previsione, in ambito medico, del consenso informato.

Il consenso informato è una forma di informazione/autorizzazione che il paziente riceve/dà come espressione del suo diritto di autodeterminazione in ambito sanitario. Al termine di un processo informativo circa le scelte diagnostico terapeutiche proposte, il paziente dovrà fornire il proprio consenso.

Affinchè lo stesso sia valido occorre che sia personale, esplicito, specifico, libero, attuale, informato e consapevole ed è necessaria inoltre la sua conformità allo stato dell’arte, ossia al livello a cui sono giunte le conoscenze in quel determinato ambito scientifico o professionale.

Il dovere di raccogliere il consenso/dissenso è del medico che si sia proposto di intraprendere l’attività diagnostico e/o terapeutica.

La Corte di Cassazione con Sent. n. 45126/2008 ha affermato che “Al medico va riconosciuta la facoltà o la potestà di curare (e queste sono) situazioni soggettive derivanti dall’abilitazione all’esercizio della professione sanitaria, le quali, tuttavia, per potersi estrinsecare abbisognano, di regola, del consenso della persona che al trattamento sanitario deve sottoporsi…” (omissis) “… il consenso informato ha come contenuto concreto la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale…” (omissis) “… la mancanza del consenso del paziente o l’invalidità del consenso determinano l’arbitrarietà del trattamento medico chirurgico e, quindi, la sua rilevanza penale, in quanto compiuto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul proprio corpo”.

Circa la mancanza o l’invalidità del consenso è opportuno distinguere due ipotesi:

  • In caso di esito fausto: “Non integra il reato di lesione personale, né quello di violenza privata la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, nel caso in cui l’intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle “leges artis”, si sia concluso con esito fausto, essendo da esso derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute del paziente, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte dello stesso.” (Cass. Pen. Sez. U, Sentenza n. 2437 del 18/12/2008 Ud. dep. 21/01/2009 Rv. 241752)
  • In caso di esito infausto: “Integra il reato di lesione personale dolosa la condotta del medico che sottoponga, con esito infausto, il paziente ad un trattamento chirurgico, al quale costui abbia espresso il proprio dissenso.” (Cass. Pen. Sez. 4, Sentenza n. 21799 del 20/04/2010 Ud. dep. 08/06/2010 Rv. 247341)

Le ipotesi rilevanti sul piano giuridico non restano però circoscritte ai soli casi di assenza o invalidità del consenso perché, è bene precisare che, sebbene rappresenti una liberatoria per i medici, tale consenso non li blinda da ogni tipo di responsabilità penale o civile qualora ad esempio le informazioni siano state omesse e/o non correttamente riportate.

La sentenza della S.C. menzionata in apertura sottolinea inoltre la “facoltà di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico” confermando quanto disposto nella stessa sede con Sent. Cass. Pen. IV Sezione Penale, n. 301, 8/2/2001: “La Repubblica Italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo, salvaguarda il principio del pluralismo scientifico e garantisce la libertà di scelta terapeutica da parte del cittadino e la qualificazione professionale degli operatori sanitari, valorizzando in particolar modo l’autonomia del medico nelle scelte terapeutiche”.

Il paziente avrà quindi la facoltà di ricorrere anche alle c.d. “medicine non convenzionali” altrimenti dette complementari (MC) o “complementari ed alternative” e l’art. 35 del Codice di Deontologia Medica[3], che disciplina l’acquisizione del consenso, deve essere esteso a suddette pratiche indipendentemente dal fatto che taluno le qualifichi come medicine innocue.

La S.C. ha sancito in diverse sentenze (Rv. 154696 – Rv.  237170 – Rv. 230935) che l’esercizio sull’uomo delle discipline mediche non convenzionali quali l’agopuntura, la fitoterapia, l’omeopatia costituisce atto al pari della medicina tradizionale, e in quanto tale al paziente deve essere assicurato il più elevato livello di sicurezza ed informazione.

Il sapere non convenzionale va visto pertanto come una possibilità in più che il sanitario può offrire al paziente, possibilità che quest’ultimo consapevolmente accetta dopo essere stato messo al corrente di metodi, rischi e benefici.

È previsto quindi un trattamento paritario per tutte le medicine, convenzionali e non, perché la medicina è una sola e il consenso informato, purchè bilanciato e trasparente, è un fondamentale tassello nel rapporto medico paziente.

Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione documentata della volontà della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo informativo di cui all’art. 33.

Il procedimento diagnostico e/o il trattamento terapeutico che possano comportare grave rischio per l’incolumità della persona, devono essere intrapresi solo in caso di estrema necessità e previa informazione sulle possibili conseguenze, cui deve far seguito una opportuna documentazione del consenso.

In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona.

Il medico deve intervenire, in scienza e coscienza, nei confronti del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e della qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico, tenendo conto delle precedenti volontà del paziente.

[1] P. Di Guida-N. Glielmo, Consenso…purchè informato. Un setting antico, anzi moderno., 2014

[2] La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

[3] Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente.

Piera Di Guida

Piera Di Guida nasce a Napoli nel 1994. Ha contribuito a fondare “Ius in itinere” e collabora sin dall’inizio con la redazione di articoli. Dopo la maturità scientifica si iscrive alla facoltà di giurisprudenza Federico II di Napoli e nel 2015 diviene socia ELSA Napoli (European Law Student Association). Ha partecipato alla redazione di un volume dal titolo "Cause di esclusione dell'antigiuridicità nella teoria del reato- fondamento politico criminale e inquadramento dogmatico", trattando nello specifico "Lo stato di necessità e il rifiuto di cure sanitarie" grazie ad un progetto ELSA con la collaborazione del prof. Giuseppe Amarelli ordinario della cattedra di diritto penale parte speciale presso l'università Federico II di Napoli. Seguita dallo stesso prof. Amarelli scrive la tesi in materia di colpa medica, ed approfondisce la tematica della responsabilità professionale in generale. Consegue nel 2017 il titolo di dottore magistrale in giurisprudenza con votazione 110/110. Nell’anno 2016 ha sostenuto uno stage di 3 mesi presso lo studio legale Troyer Bagliani & associati, con sede a Milano, affiancando quotidianamente professionisti del settore e imparando a lavorare in particolare su modelli di organizzazione e gestione ex d.lgs. n. 231/01 e white collar crimes. Attualmente collabora con lo Studio Legale Avv. Alfredo Guarino, sito in Napoli. Ha svolto con esito positivo il tirocinio ex art.73, comma 1 d.l. n.69/2013 presso la Corte d'Appello di Napoli, IV Sezione penale. Nell'ottobre 2020 consegue con votazione 399/450 l'abilitazione all'esercizio della professione forense. Dal 27 gennaio 2021 è iscritta all'Albo degli Avvocati presso il Tribunale di Napoli. Un forte spirito critico e grande senso della giustizia e del dovere la contraddistinguono nella vita e nel lavoro. Email: piera.diguida@iusinitinere.it

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