martedì, Marzo 19, 2024
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La protezione dello Stato di diritto nell’UE attraverso la tutela delle questioni finanziarie

I contorni della questione

Dalla lettura di una consolidata giurisprudenza si evince come l’Unione europea sia una comunità di diritto basata sul rispetto di alcuni valori, comuni alle tradizioni costituzionali degli Stati membri (sentenza del 23 aprile 1986, causa 294/83, Les Verts c. Parlamento). Questo approccio è stato positivizzato nell’art. 2 TUE, introdotto con il Trattato di Lisbona, il quale afferma che: «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».

Tra i valori fondanti dell’Unione ve n’è uno che, nel corso dell’ultimo decennio, è stato più volte messo a repentaglio dalla deriva illiberale che alcuni Paesi sembrerebbero avere assunto. Si tratta del valore dello Stato di diritto (rule of law nell’accezione inglese), espressione che evidenzia la subordinazione al diritto (europeo, in tal caso) da parte di tutti i soggetti dell’ordinamento: le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione, gli Stati, le persone fisiche e giuridiche[1].

Sono molteplici le norme e i principi direttamente collegati allo Stato di diritto. In primis, il principio di legalità, il quale richiede democraticità, responsabilità, trasparenza e pluralismo nell’ambito del procedimento legislativo. In secondo luogo, il principio della certezza del diritto, per il quale la normativa deve essere chiara, irretroattiva e la sua applicazione deve essere prevedibile per gli amministrati. Inoltre, vengono in rilievo il divieto di arbitrarietà del potere esecutivo e il principio della separazione dei poteri, con particolare riguardo all’apparato giudiziario, il quale deve essere indipendente ed autonomo dagli altri pubblici poteri e da eventuali ingerenze provenienti dall’esterno.
Il nodo della questione risiede nella circostanza per cui una violazione dello Stato di diritto rischierebbe di compromettere l’ordinamento giuridico dell’Unione, in particolare qualora la stessa venisse a verificarsi nei settori che registrano un alto livello di cooperazione tra gli Stati membri[2].
Come accennato precedentemente, negli ultimi anni si è avuto modo di assistere ad evidenti passi indietro in tema di tutela dello spazio democratico all’interno dell’Unione. A titolo esemplificativo, è possibile citare le misure varate dalla Polonia e dall’Ungheria in materia giudiziaria, le quali minano l’indipendenza e l’imparzialità della magistratura (e, dunque, lo Stato di diritto), inficiando anche il sistema legale dell’Unione, che è improntato sulla collaborazione con i giudici nazionali (si pensi, ad esempio, alla cooperazione giudiziaria in materia penale o, anche, al sistema del rinvio pregiudiziale).
Ciò premesso, sebbene siano diversi i rimedi esperibili a livello europeo per sanzionare il mancato rispetto dello Stato di diritto, questi hanno avuto scarso successo sinora nel fermare la regressione democratica dei due Stati appartenenti al c.d. “blocco di Visegrád“.
Invero, dall’esame dei principali strumenti posti a difesa dello Stato di diritto è possibile desumere che solo l’intervento della Corte di giustizia dell’Unione europea, tramite il ricorso alla procedura di infrazione, ex. artt. 258 e 259 TFUE, e alla competenza pregiudiziale interpretativa, ai sensi dell’art. 267 TFUE, ha permesso di conseguire dei risultati, seppur limitati a casi circoscritti alla sfera di applicazione del diritto dell’Unione. Di contro, il ricorso all’art. 7 TUE, appositamente istituito con il Trattato di Amsterdam del 1997 per meglio tutelare lo Stato di diritto, ha rivelato tutta la fragilità di fondo di questo strumento, inclusa la procedura “dialogante” extra art. 7 introdotta dalla Commissione nel 2014 con un’apposita comunicazione volta a stabilire un “nuovo quadro dell’UE per rafforzare lo Stato di diritto”[3].

La necessità di un ampio consenso politico per attivare con successo il meccanismo dell’art. 7 TUE – i 4/5 dei componenti del Consiglio, per quanto attiene la procedura di preallarme (par. 1), utile a constatare la presenza di un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato, e l’unanimità nel Consiglio europeo, nel caso della procedura nucleare (par. 2), mirante a ravvisare l’esistenza di una violazione grave e persistente – rende, difatti, molto improbabile un suo proficuo utilizzo, nonostante sia stato espressamente introdotto per proteggere i valori fondanti e sia esercitabile in qualunque ambito dell’attività statale, esulando, pertanto, dalla sua insistenza (o meno) su materie di competenza dell’Unione.

Genesi e funzionamento del Regolamento 2020/2092

L’Unione europea ha da poco messo a punto un sistema di specifiche condizionalità relative alle questioni finanziarie, aventi il precipuo fine di contenere le minacce al budget europeo cagionate dalle violazioni dello Stato di diritto in questo campo[4]. È questo il modus operandi seguito dal quadro finanziario pluriennale 2021-2027, a cui è collegato il Next Generation EU, l’innovativo fondo da 750 miliardi di euro, finanziato tramite una temporanea “comunitarizzazione” del debito, che ha il proposito di risollevare le economie dell’Unione, duramente colpite dalla pandemia, guidando, al contempo, una transizione verso una società più ecosostenibile e digitale.
La “fumata bianca” in merito all’inserimento di un vincolo finanziario in tema di rule of law è arrivata dopo una lunga serie di complicati negoziati[5]. Nella ricostruzione delle trattative si segnala, dapprima, l’approvazione nel Consiglio, a maggioranza qualificata, di un meccanismo che lega l’accesso al Next Generation EU all’osservanza dello Stato di diritto e, successivamente, una ritorsione di Polonia e Ungheria, riluttanti a questa condizionalità, le quali avevano inizialmente posto un veto nei confronti della decisione sulle Risorse Proprie (principale fonte di finanziamento del bilancio pluriennale, come sancito dall’art. 311 del TFUE) la quale, per essere ratificata, richiede l’unanimità nel Consiglio.
La soluzione trovata per giungere a un accordo è piuttosto articolata, come emerge dalle conclusioni del Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2020 e dall’adozione, ai sensi dell’art. 322 TFUE, del regolamento 2020/2092 (UE, Euratom) del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2020.
Prima di illustrare le modalità di funzionamento del Regolamento, approvato in Consiglio con i soli voti contrari di Polonia e Ungheria, occorre precisare che lo stesso ha una natura residuale: esso sarà preso in considerazione, ed eventualmente attivato, unicamente qualora gli altri procedimenti previsti non permettano di salvaguardare meglio il bilancio dell’Unione dalle violazioni dello Stato di diritto. Peraltro, è ammessa la possibilità per lo Stato interessato di rimediare alla situazione di specie prima dell’inizio formale della procedura.
Nel concreto, l’iter previsto dal regolamento viene avviato dalla Commissione europea, la quale informa lo Stato interessato degli elementi di fatto e dei motivi per cui ritiene possibile che vi siano infrazioni ai sensi dell’art. 4 del regolamento, seguendo – in maniera equa, imparziale e oggettiva – le informazioni fornite dalle istituzioni dell’Unione e da altre organizzazioni o enti riconosciuti internazionalmente. La Commissione notifica prontamente la questione al Consiglio e al Parlamento europeo.
Dopo aver analizzato le eventuali informazioni e osservazioni presentate dallo Stato (ed entro un termine indicativo di un mese dalla loro ricezione), la Commissione procede alle sue valutazioni; essa, ove reputi esistente un sufficiente e diretto collegamento tra la condotta dello Stato e le conseguenze negative per l’Unione in termini di sana gestione finanziaria del bilancio o di interessi finanziari, richiede allo Stato di presentare, entro un mese, le proprie osservazioni sulla proporzionalità delle misure previste. Se la Commissione non accoglie i rimedi proposti dallo Stato, essa presenta al Consiglio una proposta dettagliata per l’adozione di misure proporzionali, tra le quali rientrano la sospensione dell’erogazione dei versamenti e il rimborso anticipato dei prestiti.
Non più tardi di un mese dal ricevimento della proposta della Commissione (a meno di contingenze eccezionali), il Consiglio può decidere, a maggioranza qualificata, di approvare la decisione di esecuzione della proposta della Commissione oppure di modificarla, adottando il nuovo testo emendato.
Infine, su iniziativa dello Stato o della Commissione, in seguito all’esecuzione di azioni correttive ad opera del primo o entro un anno dall’attuazione delle misure, la Commissione, se non ritiene risolta la situazione, indirizza allo Stato una decisione motivata e ne informa il Consiglio. In caso contrario, la Commissione propone una ridiscussione o revoca dei provvedimenti al Consiglio, che decide a maggioranza qualificata[6].
Per inciso, lo Stato ha due anni di tempo a decorrere dal momento di adozione delle misure per rimediare alle violazioni e, se ciò non avviene, perde i fondi spettanti. In ogni caso, in virtù dell’art. 5, par. 2, del regolamento, le sanzioni approvate dal Consiglio non impediscono allo Stato interessato di ottemperare agli obblighi contratti con i beneficiari delle risorse europee, compreso il versamento dell’ammontare di denaro pattuito.
Lo strumento delle condizionalità non è nuovo nel panorama dell’Unione. Fin dagli inizi degli anni ’90 gli Stati europei furono tenuti a conformarsi ai vincoli macroeconomici fissati dal trattato di Maastricht per poter partecipare alla nascente Unione economica e monetaria[7].
Un parallelismo più stretto è, invece, rintracciabile nell’ambito delle politiche esterne dell’Unione. Infatti, in ossequio all’art. 21 TUE, in alcuni accordi internazionali dell’Unione – tra i quali il trattato di Cotonou, siglato nel 2000 con gli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) – la concessione di aiuti umanitari o di più strette relazioni commerciali ai Paesi terzi aderenti all’accordo è dipesa dalla loro aderenza allo Stato di diritto e ai diritti umani, prevedendo, tra l’altro, apposite e proporzionate sanzioni da parte di Bruxelles in caso di trasgressioni di tali valori e principi[8].
Nel caso di specie, l’idea di inserire delle condizionalità all’intero impianto budgetario dell’Unione ha preso corpo nel maggio 2018, con un’iniziativa della Commissione volta a proporre un “Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla tutela del bilancio dell’Unione in caso di carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto negli Stati membri”. Ritenuta da molti studiosi più ambiziosa del regolamento 2020/2092, essa venne, durante gli ultimi mesi di negoziazione, ridimensionata nella sua portata, tanto per incompatibilità di alcuni elementi della proposta con i Trattati – in particolare con l’Articolo 7 TUE – quanto per timore di alimentare il sentimento euroscettico da tempo presente in seno all’Unione, indebolendola ulteriormente per mezzo di nuove condizionalità che avrebbero prevalentemente colpito gli Stati membri più dipendenti dai finanziamenti europei, come Polonia e Ungheria, le quali, nel corso del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, hanno goduto dello status di percettori netti, primeggiando, rispettivamente, in termini assoluti e in valori pro capite[9].
Tuttavia, quanto detto è confutabile dalla lettura secondo cui un sistema di tutela del rule of law collegato alle questioni finanziarie configurerebbe una valida ragione per far cessare le continue violazioni dei valori fondanti poiché riguarderebbe due tematiche sensibili alla sovranità nazionale: le casse statali e il consenso interno. Infatti, i conti pubblici subirebbero un grave contraccolpo, dettato dalla mancanza dei fondi europei, e i governi sarebbero costretti a prendere delle misure impopolari per compensare i minori introiti (tagliando la spesa pubblica o aumentando il livello generale di tassazione, per esempio).
In aggiunta, i dati dimostrano che l’economia europea prospera di più negli Stati che sono all’avanguardia nel rispetto del rule of law, indispensabile per garantire il sano utilizzo delle risorse europee e la realizzazione di una crescita economica che protegga gli interessi finanziari dell’Unione[10].

Prime sensazioni

Come delineato in dottrina[11], il buon esito nell’applicazione di un siffatto regime di condizionalità dipende da una serie di variabili: l’accuratezza nella formulazione delle condizioni e il loro margine di implementazione; una precisa cornice temporale, caratterizzata da una certa rapidità di azione; le tipologie di sanzioni prefissate e il sistema di voto attraverso cui vengono irrogate, da cui dipende la probabilità di un loro utilizzo con successo; il livello di legittimazione percepita, consistente nella scelta di comminare sanzioni mirate e proporzionali, attivando un controllo che garantisca la parità di trattamento tra gli Stati; il contesto di attuazione dei provvedimenti, tanto nell’ottica interna (dicotomia democrazia liberale e illiberale), quanto nel tipo di relazioni esterne con l’Unione e gli altri Stati membri.
Pragmaticamente, dalla disamina dei termini dell’intesa è possibile scorgere alcuni elementi positivi, inerenti a una prassi di adozione delle decisioni che opta per la votazione a maggioranza qualificata nel Consiglio, maggiormente efficace e conforme tanto ai Trattati quanto alla logica sovranazionale, e al notevole grado di esattezza rappresentato dall’art. 4 del regolamento, che ha il merito di descrivere minuziosamente quali siano le condizioni che innescano le misure previste.
Di contro, determinati profili del regolamento sembrerebbero destare qualche insicurezza, come l’apprezzabile margine di discrezionalità di cui gode la Commissione nel proporre misure imperniate su un vago ed esteso catalogo di fonti di informazione, in ogni caso respingibili o emendabili dal Consiglio a maggioranza qualificata. Inoltre, occorrerà considerare il contesto nel quale si dispiegherà l’intero processo sanzionatorio, che potrebbe diventare più favorevole laddove nelle prossime tornate elettorali che si terranno negli Stati attraversati dalla regressione democratica (nel 2022 per l’Ungheria e nel 2023 per la Polonia) arrivasse al potere una classe politica più confacente alla causa europea.
Infine, gli aspetti negativi attengono all’intricato processo di implementazione delle condizionalità, reso ulteriormente complicato da alcune formulazioni contenute nelle citate conclusioni del Consiglio europeo (necessarie per giungere ad un compromesso tra le varie posizioni in campo, sebbene in principio non vincolanti giuridicamente), che confermano il costante tentativo degli Stati nel voler ridimensionare le prerogative dell’Unione.
Tra i punti più problematici delle conclusioni emergono, infatti, alcune prospettive non contemplate dal regolamento, quali: la necessità per la Commissione di redigere, in stretta consultazione con gli Stati, le linee guida sulle modalità con cui sarà applicato il regolamento (malgrado sia tecnicamente in vigore dal 1° gennaio 2021); la previsione della facoltà per gli Stati di differire de facto la messa in atto del regolamento mediante la sua impugnazione ai sensi dell’art. 263 TFUE, aggirando, in un certo senso, l’art. 278 TFUE, il quale disciplina l’assenza di un effetto sospensivo degli atti per i quali è stato presentato ricorso alla Corte di giustizia, a meno che non sia quest’ultima a deciderlo[12]; la circostanza per cui, in seguito all’eventuale ricorso di annullamento (effettivamente proposto l’11 marzo 2021 da Ungheria e Polonia), la Commissione sarà soggetta a forti pressioni politiche per conformare le linee guida alla sopravvenuta sentenza Corte.
A tal proposito, è doveroso fare cenno alla posizione espressa sul punto dal Parlamento europeo nel corso degli ultimi mesi. In questo lasso di tempo, gli eurodeputati hanno adottato diverse risoluzioni – l’ultima risalente all’8 luglio 2021 – nelle quali, dopo aver dichiarato superflua la stesura di linee guida ad opera della Commissione (ricordando, peraltro, che il regolamento è già in vigore), hanno aspramente criticato quanto deciso nelle conclusioni del Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2020, accusando apertamente la Commissione di inerzia e minacciandola di adire la Corte di giustizia con un ricorso in carenza ex. art. 265 TFUE.
La pronta replica della Commissione europea, nella persona della Presidentessa Ursula von der Leyen, non si è fatta attendere. In una lettera del 23 agosto 2021[13], indirizzata al Presidente del Parlamento europeo David Sassoli, la leader dell’esecutivo europeo ha dichiarato che il margine di discrezionalità di cui gode la Commissione nell’attuare il meccanismo del regolamento è ampio e che non è stabilito un tempo limite entro il quale debba agire, considerata anche la particolare accuratezza necessaria per le analisi condotte dalla Commissione ai sensi del regolamento. In più, osserva von der Leyen, non esistono i requisiti per un ricorso in carenza in quanto la richiesta pervenuta dal Parlamento europeo, con una risoluzione del 10 giugno, non è sufficientemente chiara e precisa ed è espressa in termini fin troppo generici. Quanto alle linee guida, infine, la Commissione ne sostiene la grande utilità, soprattutto per i beneficiari dei fondi.
Lungi dall’essere risolto, l’acceso confronto tra Parlamento e Commissione ha condotto il primo a presentare il paventato ricorso ai sensi dell’art. 265 TFUE, tramite il proprio servizio giuridico, lo scorso 29 ottobre[14]. Da ultimo, il 19 novembre la Commissione europea ha inviato due lettere ex. Articolo 6 del Regolamento agli ambasciatori di Polonia ed Ungheria, al fine di iniziare la fase di dialogo informale di consultazioni e raccolta di informazioni.

Conclusioni

Il recente percorso intrapreso dall’Unione europea mira a potenziare il meccanismo di protezione dello Stato di diritto (e dei principi ad esso collegati) basandosi sull’apposizione di un vasto complesso di condizionalità finanziarie in grado di rendere più completa e funzionale la “cassetta degli attrezzi” a disposizione dell’Unione, specialmente in un momento storico in cui le risorse fornite dall’Unione sono così ingenti da fungere quale portentoso stimolo per la ripresa dai danni economici causati dalla pandemia. In più, non va sottovalutata la circostanza per cui la corretta gestione dei capitali del Next Generation EU, frutto della prima mutualizzazione del debito a livello europeo, costituirà una tappa cruciale nel processo verso una maggiore integrazione europea.
Nel complesso, le potenzialità del regolamento sono decisamente promettenti e, pur con tutti i limiti evidenziati, sicuramente l’Unione ne trarrà giovamento. La determinazione dei reali benefici arrecati allo Stato di diritto dipenderà, oltre che dalla piega che prenderanno le componenti più spinose e volubili della legislazione in parola (lo scontro istituzionale tra Commissione e Parlamento europeo e l’esatta determinazione delle tempistiche di applicazione del regolamento, anzitutto), anche dai risultati che gli Stati membri conseguiranno tramite l’utilizzo della significativa mole di risorse messa a disposizione nel quadro del bilancio pluriennale, con un preciso riferimento alla porzione delle stesse di pertinenza del Next Generation EU.

[1] U. Villani, “Sul controllo dello Stato di diritto nell’Unione europea”, 2020, disponibile qui: .

[2] M. Fisicaro, “Rule of Law Conditionality in EU Funds: The Value of Money in the Crisis of European Values”, 2019, disponibile qui: https://www.europeanpapers.eu/en/system/files/pdf_version/EP_eJ_2019_3_4_Articles_Marco_Fisicaro_00337.pdf.

[3] M. Blauberger, V. van Hüllen, “Conditionality of EU funds: an instrument to enforce EU fundamental values?”, 2020, disponibile qui: .

[4] G. Michelini, “Stato di diritto e condizionalità nell’Unione europea. Gli strumenti di conoscenza della Commissione”, 2021, disponibile qui: https://www.questionegiustizia.it/articolo/stato-di-diritto-e-condizionalita-nell-unione-europea.

[5] N. Kirst, “Rule of Law Conditionality: The Long-awaited step towards a solution of the rule of law crisis in the European Union?”, 2021, disponibile qui: https://www.europeanpapers.eu/en/system/files/pdf_version/EP_EF_2021_I_011_Niels_Kirst_00454.pdf.

[6] T. Tridimas, “Editorial Note: Recovery Plan and Rule of Law Conditionality: A New Era Beckons?”, 2020, disponibile qui: https://hrcak.srce.hr/index.php?show=clanak&id_clanak_jezik=363881.

[7] A. von Bogdandy, J. Lacny, “Suspension of EU Funds for Member States Breaching the Rule of Law – A Dose of Tough Love Needed?”, 2020, disponibile qui: .

[8] E. Gallinaro, “Il nuovo regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione: verso una più efficace tutela dello Stato di diritto?”, 2021, disponibile qui: https://riviste.unimi.it/index.php/NAD/article/view/15828.

[9] F. Heinemann, “Going for the wallet? Rule-of-law conditionality in the Next EU Multiannual Financial Framework”, 2018, disponibile qui: https://www.econstor.eu/bitstream/10419/196591/1/297-301-Forum-Heinemann.pdf.

[10] L. Cisko, “Respect for the principles of rule of law as a condition for successful use of European Union funds”, 2021, disponibile qui: https://ojs.ukrlogos.in.ua/index.php/interconf/article/view/8169.

[11] M. Blauberger, V. van Hüllen, “Conditionality of EU funds: an instrument to enforce EU fundamental values?”, 2020, disponibile qui: .

[12] A. Alemanno, M. Chamon, “To save the rule of law you must apparently break it”, 2020, disponibile qui: https://verfassungsblog.de/to-save-the-rule-of-law-you-must-apparently-break-it/#:~:text=During%20its%20summit%2C%20the%20European,of%20Law%20(RoL)%20Regulation.

[13] E. Zalan, “EU commission rejects MEPs’ rule-of-law ultimatum”, agosto 2021, disponibile qui: https://euobserver.com/democracy/152728.

[14] Redazione Ansa, “Parlamento europeo deposita a Corte Ue ricorso contro Commissione”, ottobre 2021, disponibile qui: https://www.ansa.it/europa/notizie/europarlamento/news/2021/10/29/parlamento-europeo-deposita-a-corte-ue-ricorso-contro-commissione_d5a0afd1-0e2c-43d7-a7e3-65cdf54cc683.html.

Daniele Congedi

Daniele Congedi è un collaboratore di Ius in itinere, appassionato delle tematiche afferenti all'Unione europea. Laureato con il massimo dei voti in Studi geopolitici e internazionali e in Scienze politiche e delle relazioni internazionali presso l’Università del Salento, ha conseguito un master di II livello in Esperti in politica e relazioni internazionali presso l’Università Lumsa.

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