martedì, Maggio 14, 2024
Appaltiamo

Appalti di servizi e automazione nella logistica: due concetti antitetici o che possono coesistere?

A Cura di Jessica Meloni

  1. Il contesto attuale delle nuove tecnologie nella logistica

L’avvento del commercio elettronico e la modifica delle abitudini dei consumatori hanno imposto alle società che operano nel settore della logistica una riorganizzazione dei propri processi. Il ricorso alle nuove tecnologie (come, ad esempio, l’intelligenza artificiale e i big data) e l’installazione di impianti automatizzati sono le scelte verso cui i diversi player nel mercato si sono diretti. Le soluzioni tecnologiche e automatiche permettono, infatti, di incrementare la competitività attraverso l’accelerazione dei processi, la limitazione degli errori e la riduzione dei costi.

L’introduzione delle nuove tecnologie nei magazzini nasce con lo scopo quindi, tra gli altri, di efficientare il lavoro, facendo sì che le attività a basso valore aggiunto non vengano più svolte dai lavoratori, i quali potranno semmai essere adibiti ad incarichi di coordinamento delle attività, di monitoraggio e di ulteriore sviluppo.

In un settore come quello della logistica, tale evoluzione verso l’automazione dei processi (e.g. magazzini automatizzati, utilizzo di hardware e software) sta assumendo un’importanza sempre più considerevole. Tuttavia, l’utilizzo da parte dei lavoratori delle società appaltatrici di sistemi tecnologici e automatici del committente volti a dirigere i lavoratori limitando il loro margine di autonomia, potrebbe generare il rischio di configurazione di un’etero-direzione, la quale potrebbe portare a sua volta ad una possibile contestazione della genuinità dell’appalto stesso.

  1. Il contesto normativo e principi giurisprudenziali

Il nuovo contesto come sopra descritto, impone alle società che operano nel settore della logistica la gestione di nuovi rischi e la conoscenza circa le risposte ai nuovi importanti interrogativi che la giurisprudenza fornisce nella ricerca dell’adattamento del necessario cambiamento tecnologico al nostro ordinamento giuridico.

Interrogativo spontaneo a cui cercheremo di dare una risposta: un sistema automatizzato di gestione del ciclo produttivo aziendale, di proprietà del committente, può determinare l’imputazione dei poteri datoriali al committente al posto del formale titolare del rapporto di lavoro qualora le lavorazioni vengano svolte sulla base di un contratto di appalto di servizi?

Dobbiamo ricordare prima di tutto la nota distinzione normativa tra il contratto di appalto (art. 1655 c.c.) e la somministrazione di lavoro. L’art. 29, comma 1, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 recita “ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa”; si può notare, dunque, come la norma distingua nettamente il contratto di appalto dalla somministrazione di lavoro sulla base della necessaria ricorrenza, in capo all’appaltatore, dell’organizzazione dei mezzi necessari per lo svolgimento dell’attività, nell’assunzione in capo all’appaltatore del rischio di impresa e nell’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori. Questi ultimi, dunque, sono gli indici da valutare per la qualificazione della genuinità o meno del contratto di appalto. In particolare, negli appalti dove i mezzi impiegati si sostanziano principalmente nell’attività personale (c.d. labour intensive), l’organizzazione dei mezzi si manifesta essenzialmente nell’esercizio del potere direttivo e organizzativo da parte dell’appaltatore nei confronti dei propri dipendenti utilizzati nell’appalto. Quando tale potere direttivo non è esercitato dall’appaltatore ma è il  committente che gestisce direttamente i mezzi e/o le risorse umane dell’appaltatore, l’appalto è riconosciuto come non genuino, e il rischio è che i dipendenti di quest’ultimo possano richiedere la costituzione del rapporto direttamente presso il committente in quanto il rapporto di lavoro viene qualificato quale contratto di somministrazione, la cui legittimità deve essere a propria volta valutata sulla base dei requisiti di legge. Scorrendo, infatti, nella lettura dell’articolo 29, comma 1, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, notiamo che al comma 3-bis è previsto che: “quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo. (…)”.

L’apparato normativo, dunque, è molto chiaro, tuttavia affinché non venga disatteso è importante conoscere i principi dettati dalla giurisprudenza che è intervenuta, e ancora oggi si interroga, proprio al fine di definire quando ed entro quali limiti sia accettabile l’intervento del committente nello svolgimento dell’attività oggetto dell’appalto. Vedremo come, in considerazione delle peculiarità insite in ciascun appalto di servizi e l’avvento di nuovi sistemi automatizzati di gestione, la giurisprudenza più recente sia conforme nel fornire degli indici di valutazione univoci che devono essere rispettati.

In particolare, la più recente giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione n. 18455/2023)  ha ribadito: “In tema d’interposizione nelle prestazioni di lavoro, l’utilizzazione, da parte dell’appaltatore, di capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante dà luogo ad una presunzione legale assoluta di sussistenza della fattispecie vietata dall’art. 1 della l. n. 1369 del 1960, solo quando detto conferimento di mezzi sia di rilevanza tale da rendere del tutto marginale ed accessorio l’apporto dell’appaltatore; la sussistenza o meno della modestia di tale apporto, e quindi la stessa reale autonomia dell’appaltatore, deve essere accertata in concreto dal giudice, alla stregua dell’oggetto e del contenuto intrinseco dell’appalto; con la conseguenza che – nonostante la fornitura di macchine ed attrezzature da parte dell’appaltante – l’anzidetta presunzione legale assoluta non è configurabile ove risulti un rilevante apporto dell’appaltatore, mediante il conferimento di capitale (diverso da quello impiegato in retribuzioni ed in genere per sostenere il costo del lavoro), “know how”, “software” o altri beni immateriali, aventi rilievo preminente nell’economia dell’appalto. A tal fine, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 276 del 2003, mentre in appalti che richiedono l’impiego di importanti mezzi o materiali, c.d. “pesanti”, il requisito dell’autonomia organizzativa deve essere calibrato se non sulla titolarità, quanto meno sull’organizzazione di questi mezzi, negli appalti c.d. “leggeri”, in cui l’attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nella prestazione di lavoro, è sufficiente che in capo all’appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti”.

Nel 2023, lo stesso Tribunale di Milano, in una recente pronuncia, richiama la Corte di Cassazione sopracitata per rigettare il ricorso promosso dai ricorrenti di un appaltatore, i quali chiedevano di accertare la natura illecita dell’appalto e la conseguente costituzione del rapporto di lavoro in capo al committente. Il giudice ha ribadito proprio il fatto che il software gestionale utilizzato nell’appalto non aveva alcuna incidenza sul potere gerarchico e organizzativo dell’appaltatore datore di lavoro, in quanto non comportava alcun intervento diretto degli impiegati del committente. Vi era, non a caso, la presenza costante di capiturno dipendenti dell’appaltatore a cui si rivolgevano gli impiegati del committente per indicare le operazioni da svolgere e le tempistiche da rispettare o per segnalare eventuali ritardi o improprietà rispetto a quanto pianificato, in quanto il software non comportava alcun intervento diretto degli impiegati del committente e non incideva sul potere gerarchico e organizzativo dell’appaltatore. Il giudice ha sottolineato anche un punto molto interessante circa la necessità per le aziende di ottimizzare i processi e la scelta di utilizzare di un sistema automatizzato qualora il tipo di servizi oggetto dell’appalto lo richieda; non è, infatti, ragionevole non tenere in considerazione che le dimensioni del magazzino e il volume della merce movimentata possano rendere l’apporto umano insufficiente, così come non è ipotizzabile che la produttività dei processi sia unicamente rimessa in capo all’appaltatore. Nel caso di specie, il Tribunale di Milano ribadisce, infatti, che nonostante sia utilizzato un sistema automatizzato per il tramite di un software sia sempre stata lasciata una parte di autonomia all’appaltatore: tutti i giorni i ricorrenti si recavano al tavolo dei capiturno a ritirare il lettore ottico loro assegnato, lo accendevano inserendo le proprie credenziali (utente e password) e poi prendevano possesso di un commissionatore verticale con il quale provvedevano a riempire un determinato numero di scaffalature; in particolare ad ogni scaffalatura era associato un foglio sul quale erano apposte una serie di etichette, predisposte e stampate dagli impiegati del committente, recanti i codici a barre della merce che doveva essere prelevata dagli scaffali e collocata nella scaffalatura. Il lavoratore leggeva i codici a barre e sullo schermo del terminale compariva la posizione dalla quale prelevare il singolo volume; una volta prelevato il volume i lavoratori, tramite il terminale, leggevano sia il codice riportato sulla lista sia quello riportato sul volume e quello riportato sullo scaffale. Inoltre, le etichette di cui sopra venivano sempre consegnate ai preposti dell’appaltatore i quali avevano il compito di smistarle tra gli addetti alla movimentazione della merce. È chiaro, dunque, che fossero i preposti dell’appaltatore a decidere autonomamente la forza lavoro necessaria per lo svolgimento di ogni servizio e la quantità di etichette da assegnare a ciascun addetto ed alcuna ingerenza provenisse dal committente in merito a tale decisione. Le apparecchiature informatiche ivi utilizzate fornivano, dunque, soltanto indicazioni circa la merce da preparare per la destinazione alle varie catene commerciali sostituendo unicamente gli ordini cartacei dei clienti, senza in alcun modo nascondere un controllo dell’attività del personale dell’appaltatore da parte del committente.

Il giudice conclude ribadendo che l’analisi circa la genuinità dell’appalto non si debba limitare alla identificazione della presenza di un sistema automatizzato quale indice di controllo da parte del committente sul personale dell’appaltatore ma che sia necessario identificare sempre la natura delle disposizioni impartite dal personale del committente e verificare la loro ingerenza a concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che, se si pensa bene, potrebbe in ogni caso avvenire anche qualora alcun processo fosse stato automatizzato per il tramite di un software.

  1. Spunti conclusivi

Come le società che operano nel settore della logistica possono muoversi nel contesto attuale in cui è inevitabile seguire i progressi tecnologici ed andare verso una maggiore automazione dei processi in ottica di ottimizzazione in termini di efficienza, produttività e sicurezza?

Non sappiamo come la giurisprudenza si muoverà in futuro, ciò che ad oggi possiamo affermare è che se si vuole garantire che un appalto di servizi di tal genere sia riconosciuto quale genuino occorre non solo che il committente gestisca in modo appropriato la disponibilità giuridica del software (o una parte di esso) fornito agli addetti, ad esempio concedendo il sistema in comodato d’uso all’appaltatore, ma è necessario anche che venga prestata particolare attenzione nel garantire “almeno in parte” una autonoma organizzazione nello svolgimento delle lavorazioni, da parte dell’appaltatore, evitando dunque che i lavoratori seguano senza alcun margine di autonomia le indicazioni del software.

La vera efficienza, quindi, può essere raggiunta attraverso la corretta coesistenza dell’automazione, della gestione delle risorse umane e della produttività.

 

 

Un ringraziamento speciale alla Dott.ssa Camilla Bitetto e alla Dott.ssa Maria Niselli  

per il contributo dato alla redazione di questo articolo

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