venerdì, Marzo 29, 2024
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Blockchain e Proprietà Intellettuale

Nota di redazione: questo è il terzo di una serie di articoli relativi alla tecnologia blockchain e alle sue molte applicazioni.

Sulle principali caratteristiche e possibili applicazioni della blockchain se ne è parlato in un precedente articolo[1]. In questa sede si procederà ad analizzare il ruolo che la blockchain ha e avrà sulla proprietà intellettuale (d’ora in poi PI). Il matrimonio tra questa tecnologia e i diritti di PI li renderebbe, come molti commentatori[2] sottolineano, dei diritti “smart”.

La struttura della blockchain consente di tenere traccia di quasi ogni cosa. Pertanto, potrebbe essere usata per avere una prova della creazione di un diritto di PI che sia sicura e cronologicamente certa, per tracciare la distribuzione di prodotti, per archiviare documenti e diritti di proprietà intellettuale. In aggiunta, uno dei principali componenti di questa tecnologia è l’altissimo grado di crittografia che rende la “catena” un posto sicuro dove depositare e salvaguardare i propri beni e diritti.

Un registro basato sulla blockchain

Una delle implementazioni più evidenti di questa tecnologia vede la blockchain assumere il ruolo di registro di diritti di PI, registrati e non registrati.

Nel primo caso, la blockchain potrebbe semplicemente sostituire i tradizionali registri di marchi e brevetti. Si prevede che il sistema di questi ultimi sarà profondamente influenzato dalla rivoluzione blockchain. Sebbene molti aspetti e funzioni siano ora disponibili online e digitalizzati, non sono stati apportati cambiamenti significativi alla struttura di tale sistema. L’assenza di una procedura unitaria a livello mondiale per ottenere un brevetto ha causato una frammentazione del sistema. Vero è che esistono diverse alternative che consentono di proteggere le proprie invenzioni in più di un paese con una singola applicazione, ma la complessità rimane anche, e soprattutto, in termini di costi.

L’European Parliament Research Service[3] ha sottolineato che i due aspetti principali che possono essere fondamentali nel sistema dei brevetti sono i concetti di “hashing” e di “prova dell’esistenza”. Ciò offre l’opportunità di registrare pubblicamente un documento – nel nostro caso un brevetto – senza rivelarne il contenuto.

Sono molte le inefficienze che potrebbero essere eliminate, a cominciare da una sensibile riduzione delle controversie legali e da una maggiore certezza del documento. Tuttavia, dobbiamo tenere in considerazione che la pubblicazione di brevetti attraverso la procedura di divulgazione è fondamentale per la promozione dell’innovazione: i concorrenti sono spinti a sviluppare alternative e gli inventori sono ispirati alla tecnica precedente.

Nel secondo caso, in relazione a diritti di PI non registrati, l’utilizzo di blockchain potrebbe fornire trasparenza ai titolari del copyright.

Soprattutto in quest’ultimo caso, è difficile dimostrare di essere il reale proprietario dell’opera creativa. Il risultato è che molto spesso gli autori non sono in grado di impedire le violazioni e di guadagnare dal loro lavoro. Una soluzione a ciò potrebbe essere registrare il lavoro sulla blockchain in modo che venga concesso un certificato digitale di autenticità.

Questa funzionalità è applicabile anche nel mondo dei marchi, poiché un’azienda potrebbe registrare il proprio marchio sulla catena e quindi, grazie ad un algoritmo, sarebbe possibile trovare tutti i marchi simili.

In entrambi i casi i vantaggi sono tangibili: una massiccia riduzione dei costi di registrazione, grazie ad una procedura più breve, e delle controversie legali.

Sebbene nessuna di queste implementazioni abbia ancora una base legale, lo sviluppo esponenziale che la blockchain ha avuto negli ultimi anni offre ora l’opportunità alle autorità giudiziarie di affrontare adeguatamente tali problemi. Mentre viene creata una solida cornice legale, la blockchain sembra un modo perfetto per fornire una protezione aggiuntiva a creatori ed inventori.

L’influenza indiretta della blockchain nel mondo della PI

Blockchain può influenzare il mondo dei diritti di proprietà intellettuale anche indirettamente, dal momento che è anche la tecnologia alla base dei cd. smart contracts, o “contratti intelligenti”. Tale funzionalità non cambierà solo il mondo IP, ma più in generale il mondo dei contratti.

Una definizione adeguata di smart contract non esiste ancora, dal momento che questo fenomeno è particolarmente recente e tecnologicamente complesso. In parole semplici, un “contratto intelligente” è un accordo che si auto-esegue. Nick Szabo coniò propose questo concetto nel 1994, definendo un “contratto intelligente” come “un algoritmo di transazione informatizzato, che esegue i termini del contratto[4].

L’idea che sta alla base di questa tecnologia non è nuova, in via esemplificativa si pensi ai distributori automatici, che non sono macchine che forniscono beni e servizi una volta effettuato il pagamento.

Tenendo presente ciò che è stato detto in precedenza sulla blockchain[5] e il suo enorme potenziale come strumento di archiviazione sicura di documenti, contenuti digitali e, possibilmente, diritti, possiamo finalmente dare una definizione di “contratto intelligente” più calzante alla presente: “un “contratto intelligente” è un pezzo di codice che è memorizzato su una blockchain, attivato da transazioni blockchain, e che legge e scrive dati nel database della blockchain[6].

Pertanto, la blockchain, abilitando questa tecnologia, potrebbe anche indirettamente influenzare le imprese, le transazioni e le leggi, in particolare il sistema di proprietà intellettuale.

Gli smart contracts possono essere utilizzati nella vendita di contenuti digitali e nella concessione di licenze per i diritti di PI. Al giorno d’oggi, molti spesso finiscono per usare una copia illegale di un’opera, invece di una copia legalmente ottenuta tramite licenza. Queste ultime sono difficili da ottenere e, soprattutto, nella maggior parte dei casi, molto costose.

I “contratti intelligenti” possono risolvere questo problema facilitando legalmente l’uso di un marchio o la concessione di una licenza: i termini del contratto sono pre-formulati al fine di ridurre ed eliminare costi ed intermediari, fornendo un collegamento diretto tra gli utenti e l’autore.

La caratteristica interessante degli smart contracts è che a questi possono essere associati anche dei a micro pagamenti. L’autore assegnerà un indirizzo bitcoin al suo lavoro per consentire agli utenti di effettuare un piccolo pagamento per l’utilizzo del contenuto. Questo è il motivo per cui il collegamento diretto è così importante: il creatore può essere pagato senza dover pagare i tradizionali intermediari.

L’applicazione di questa tecnologia è già realtà in alcuni settori, in particolare quello musicale[7], che è uno dei più colpiti dal fenomeno della pirateria. Ma le cose stanno per cambiare: gli utenti saranno in grado di acquistare licenze per sfruttare una canzone, o scaricarla legalmente, attraverso un smart contract che fornisce un compenso automatico e diretto agli autori.

Tuttavia, gli svantaggi sono tanto evidenti quanto i vantaggi appena esposti. La prima cosa da notare è che un “contratto intelligente” non è affatto un contratto così come inteso dalla legge, ma piuttosto un mezzo per eseguire un contratto. Di conseguenza, la loro applicazione nel mondo del diritto “reale” non è facile.

Innanzitutto, ci si è interrogati sul valore legale degli smart contracts e se sia possibile per una delle parti chiederne l’esecuzione dinanzi ad un giudice. In particolare, poi, dal momento che i “contratti intelligenti”, così come la blockchain, si basano su un elevato livello di crittografia, come sarebbe possibile leggere tale contratto in tribunale?

Inoltre, questa tecnologia, data la sua complessità, rende difficile o addirittura impossibile per una o entrambe le parti modificare i termini dell’accordo, quindi, qual è lo spazio di applicazione che resta al principio di autonomia contrattuale che costituisce la base legale dei “contratti intelligenti”?

Come dimostrato, le questioni sollevate sono molte. Pertanto, il successo della blockchain nella gestione dei diritti digitali si basa su un complesso equilibrio di interessi che coinvolge utenti, autori, broker e fornitori di blockchain. Data questa fitta rete di interessi, è impensabile aspettarsi una rapida implementazione di questa tecnologia, ma la rivoluzione blockchain è iniziata e, per ora, non sembra essere soggetta a battute d’arresto.

[1]  Simone Cedrola, La tecnologia blockchain: caratteristiche e possibili applicazioni, febbraio 2018, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/blockchain-caratteristiche-e-possibili-applicazioni-8228

[2] Il più recente, Birgit Clarke, Blockchain and IP law: a match made in crypto heaven?, marzo 2018, disponibile qui: http://www.wipo.int/wipo_magazine/en/2018/01/article_0005.html

[3] Philip Boucher, “How blockchain could change our lives”, 2017, available here: http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/IDAN/2017/581948/EPRS_IDA(2017)581948_EN.pdf.

[4] Szabo Nick, “Formalising and Securing Relationship on Public Network”, 1997, at http://firstmonday.org/ojs/index.php/fm/article/view/548/469. Traduzione non ufficiale.

[5] Vedi nota n. 1

[6] Greenspan Gideon, “Beware of the impossible smart contract”, 2016, at https://www.multichain.com/blog/2016/04/beware-impossible-smart-contract/. Traduzione non ufficiale.

[7] Questo riferimento non è casuale. Imogen Heap utilizza la tecnologia blockchain per creare quello che lei chiama “commercio equo”. Lo scopo del progetto è quello di dare ai musicisti maggiore proprietà sul denaro e sui dati prodotti dal loro lavoro. Maggiori dettagli su

fonte immagine: documentarytube.com

Simone Cedrola

Laureto in Giurisprudenza presso l'Università Federico II di Napoli nel luglio 2017 con una tesi in Procedura Civile. Collaboro con Ius in itinere fin dall'inizio (giugno 2016). Dapprima nell'area di Diritto Penale scrivendo principalmente di cybercrime e diritto penale dell'informatica. Poi, nel settembre 2017, sono diventato responsabile dell'area IP & IT e parte attiva del direttivo. Sono Vice direttore della Rivista, mantenendo sempre il mio ruolo di responsabile dell'area IP & IT. Gestisco inoltre i social media e tutta la parte tecnica del sito. Nel settembre 2018 ho ottenuto a pieni voti e con lode il titolo di LL.M. in Law of Internet Technology presso l'Università Bocconi. Da giugno 2018 a giugno 2019 ho lavorato da Google come Legal Trainee. Attualmente lavoro come Associate Lawyer nello studio legale Hogan Lovells e come Legal Secondee da Google (dal 2019). Per info o per collaborare: simone.cedrola@iusinitinere.it

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