Concessioni autostradali e project financing. Riflessioni alla luce di CGUE, Sez. IX, 26/11/2020, C-835/19
A cura di Vittoria Padovani
Nota a CGUE, Sez. IX, 26/11/2020, causa C-835/19 Autostrada Torino Ivrea Valle D’Aosta – Ativa S.p.a. contro Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti
D.Lgs. 18/04/2016, n. 50, Art. 178 – Norme in materia di concessioni autostradali e particolare regime transitorio;
D.Lgs. 18/04/2016, n. 50, Art. 183 – Finanza di progetto;
Dir. 26/02/2014, n. 2014/23/UE, Articolo 30 – Principi generali;
Abstract: con l’ordinanza in epigrafe riportata la Corte di Lussemburgo ha ritenuto compatibile col diritto europeo la normativa italiana che sancisce l’inapplicabilità della “finanza di progetto” per l’affidamento di concessioni scadute o in scadenza. Il Collegio fonda la decisione de qua applicando lo stesso ragionamento operato nel caso dell’obbligo di motivazione rafforzata richiesto dalla normativa interna per l’affidamento in house. Nella fase che precede la gara, infatti, sussiste in capo agli Stati membri la libertà di adottare la procedura che meglio si conforma alle loro specifiche esigenze. Come afferma la Corte “la direttiva 2014/23 non può privare gli Stati membri della libertà di privilegiare un modo di gestione a scapito degli altri. Questa libertà implica in effetti una scelta che viene effettuata in una fase precedente a quella della procedura di aggiudicazione e che non può quindi rientrare nell’ambito di applicazione di tale direttiva”. La pronuncia e le motivazioni ad essa sottese consentono di effettuare alcune considerazioni in materia di concessioni autostradali, con riguardo alla vexata quaestio dell’istituto della proroga e al rapporto con i principi di diritto europeo a tutela della par condicio competitorum.
Massima: “L’articolo 2, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2014/23/UE, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, in combinato disposto con l’articolo 30 e i considerando 5 e 68 di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una disposizione nazionale che vieta alle amministrazioni aggiudicatrici di affidare concessioni autostradali scadute o in scadenza facendo ricorso alla procedura della finanza di progetto prevista all’articolo 183 del decreto legislativo del 18 aprile 2016, n. 50”.
Sommario: 1. Premesse: i fatti a origine della vertenza; 2. Le concessioni nel diritto interno ed europeo: convergenze e divergenze con l’appalto; 3. “Colei che non deve essere nominata”: la proroga; 4. Brevi cenni sul project financing; 5. Considerazioni di sintesi.
1. Premesse: i fatti a origine della vertenza
Con il correttivo di cui al d.lgs. n. 56 del 2017 all’art. 178 del codice contratti è stato inserito il comma 8-bis, che dispone il divieto di utilizzare l’istituto del project financing, sia di iniziativa pubblica, che privata, nel caso di concessioni autostradali scadute o in scadenza[1]. L’intento del legislatore era infatti quello di evitare fenomeni elusivi del divieto dei rinnovi ad infinitum delle concessioni, nel rispetto dei principi posti a tutela della libera concorrenza.
La summenzionata disciplina è stata recentemente oggetto di censure e pertanto sottoposta al vaglio del giudice europeo dalla Quinta sezione del Consiglio di Stato. Il contenzioso de quo origina dal ricorso proposto dalla società Ativa S.p.a., concessionaria di alcuni tratti dell’autostrada Torino-Ivrea, contro il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (nel prosieguo MIT), avverso i provvedimenti di rigetto (il primo del luglio 2016 e il secondo del maggio 2017) di due programmi di finanza di progetto formulati dalla stessa per la gestione dei tratti autostradali già gestiti, nonché per l’esecuzione dei lavori di messa in sicurezza del nodo idraulico di Ivrea, di miglioramento sismico e di adeguamento normativo dell’infrastruttura. Entrambe le proposte (la prima datata settembre 2015 e la seconda luglio 2016) avevano ad oggetto il medesimo progetto; la seconda, tuttavia, si fondava su quanto sancito dall’art. 183, comma 15, del (nuovo) codice dei contratti, anziché dall’art. 153 del codice previgente, di cui al d.lgs. n. 163/2006.
Ai fini della presente analisi ciò che rileva è il secondo provvedimento di rigetto del MIT, che individuava come presupposto del mancato accoglimento dell’istanza il summenzionato comma 8-bis dell’art. 178, all’epoca di recente introduzione, ma applicabile ratione temporis alla vicenda di cui al procedimento principale, in quanto riguardante proprio le concessioni “scadute o in scadenza”. La società ricorrente ha gestito il tratto autostradale summenzionato in forza di più concessioni, a partire dal 1957 sino al maggio 2016, data di scadenza dell’ultima proroga.
Il settore delle concessioni vede l’apertura ai privati intorno agli anni ’90, nel periodo di massima liberalizzazione del mercato. Nel caso di quello autostradale, occorre precisare, si tratta di un ambito in cui la risorsa naturale non è infinta (attese, altresì, le implicazioni di natura ambientale) e può aversi solo una concorrenza per il mercato.
La società, alla luce dei dinieghi ricevuti, decideva di adire il giudice di prime cure impugnando i provvedimenti e chiedendone l’annullamento; le censure sono state oggetto di due pronunce di rigetto, le nn. 977 e 978, emesse il 31 agosto 2018 dalla Seconda sezione del T.A.R. Piemonte; con riguardo alla seconda pronuncia, l’organo giudicante ha respinto il ricorso per contrarietà a quanto sancito dall’art. 183, comma 15, del d.lgs. n. 50/2016, senza entrare nel merito della compatibilità dell’art. 178, comma 8-bis, col diritto europeo[2]. Il collegio, infatti, ha motivato la decisione sul presupposto che il progetto presentato dalla ricorrente non avesse natura preliminare, come richiesto dalla normativa, bensì definitiva e, inoltre, ha ritenuto irrilevante l’argomentazione secondo cui il MIT non poteva fondare la propria decisione sull’articolo 183 del nuovo codice dei contratti pubblici. Tale disposizione, infatti, sebbene adottata successivamente alla presentazione della prima proposta, sarebbe stata vigente al momento dell’adozione del primo provvedimento di rigetto.
Ativa S.p.a. ha successivamente impugnato le pronunce de quibus dinnanzi al Consiglio di Stato, che ha ritenuto necessario sospendere il giudizio e rimettere la questione in via pregiudiziale al giudice europeo, ex art. 267 TFUE. Il supremo Consesso di giustizia amministrativa, infatti, ha reputato dirimente la questione circa la portata del disposto di cui all’art. 178, comma 8-bis del codice contratti, in quanto dubitava della compatibilità del divieto ivi contenuto con la normativa eurounitaria di settore[3]. Il divieto di affidare le concessioni mediante l’istituto della finanza di progetto nella normativa interna ha, invero, portata incondizionata e astratta e non trova una disposizione corrispondente nella direttiva 2014/23/UE; il timore, da una parte, era che la norma andasse a limitare una facoltà di scelta lasciata ai singoli Stati membri dal diritto unionale. La difesa del MIT, d’altra parte, sosteneva che l’applicazione del comma 8-bis contribuisse ad una maggiore apertura concorrenziale, evitando il consolidamento delle posizioni dei precedenti gestori. La stessa Corte dei conti aveva messo in evidenza che il problema che affligge il settore delle concessioni autostradali trova la sua ratio nel presupposto che “in linea generale, la quasi totalità delle tratte sono state affidate o prorogate senza gare in assenza di confronto concorrenziale, con un vulnus ai principi europei e nazionali” e ribadendo nel prosieguo che “nel rinnovo delle concessioni scadute o nell’attribuzione di nuove, si devono osservare modalità che garantiscano la concorrenza mediante procedure competitive, favorendo la qualità delle prestazioni e i principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza”[4].
Il giudice remittente, inoltre, dubitava della compatibilità della norma de qua con quanto sancito dal considerando n. 68 della summenzionata direttiva, che afferma: “Di norma le concessioni sono accordi complessi di lunga durata con i quali il concessionario assume responsabilità e rischi tradizionalmente assunti dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli enti aggiudicatori e rientranti di norma nell’ambito di competenza di queste ultime. Per tale ragione, fatta salva l’osservanza della presente direttiva e dei principi di trasparenza e di parità di trattamento, dovrebbe essere lasciata alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori un’ampia flessibilità nel definire e organizzare la procedura di selezione del con cessionario. Tuttavia, al fine di garantire parità di tratta mento e trasparenza durante l’intera procedura di aggiudicazione, è opportuno prevedere garanzie minime per quanto riguarda la procedura di aggiudicazione, ivi com prese informazioni sulla natura e l’ambito di applicazione della concessione, la limitazione del numero di candidati, la diffusione delle informazioni ai candidati e agli offerenti e la disponibilità di registrazioni appropriate. È altresì necessario disporre che vengano rispettate le condizioni iniziali previste dal bando di concessione, per evi tare disparità di trattamento tra i potenziali candidati”. Tale perplessità, quindi, si fondava sul presupposto che il principio de quo, che riconosce all’amministrazione aggiudicatrice “flessibilità nel definire e organizzare la procedura di selezione del concessionario”, come anche specificato dagli artt. 30 e 37, comma 6, della direttiva, potesse riferirsi anche alla scelta relativa alla finanza di progetto.
Il giudice europeo ha confermato la compatibilità della disciplina interna col diritto dell’Unione europea, sul presupposto che, ai sensi del combinato disposto dell’art. 2, par. 1, e del considerando n. 5, le direttive 2014/23/24/UE non possano privare gli Stati membri della libertà di privilegiare un modo di gestione a scapito degli altri. Ai sensi del summenzionato considerando n. 5, infatti, “nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi od organizzare cn strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva”.
Questa libertà implica una scelta che viene effettuata in una fase precedente a quella della procedura di aggiudicazione e che non può quindi rientrare nell’ambito di applicazione di tale direttiva. Quest’ultima obbliga gli Stati ad applicarla solo ove abbiano già deciso di avviare una procedura di aggiudicazione tramite concessione. La citata libertà, prosegue la Corte, non è illimitata, in quanto dev’essere comunque ossequiosa dei principi europei di libera circolazione delle merci, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, nonché degli altri principi che ne derivano, come la parità di trattamento, il divieto di discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza. L’art. 178, comma 8-bis, invero, non sembra aver sorpassato i summenzionati limiti, in quanto finalizzato a garantire la massima apertura possibile alla concorrenza nelle concessioni autostradali, settore, come già evidenziato, aperto al mercato in tempi recenti[5].
La Corte di Lussemburgo ha applicato al caso del divieto di project financing lo stesso ragionamento operato nella causa concernente la compatibilità della motivazione rafforzata richiesta dalla normativa italiana (vedasi l’art. 192 del codice dei contratti) in relazione al ricorso all’affidamento in house[6]. Il giudice europeo anche in questo caso ha colto l’occasione per sostenere la libertà degli Stati membri di scegliere la modalità di prestazione dei servizi maggiormente rispondente alle esigenze delle proprie amministrazioni aggiudicatrici.
2. Le concessioni nel diritto interno ed europeo: convergenze e divergenze con l’appalto
La pronuncia in esame consente di operare alcune riflessioni sull’istituto della concessione, le sue peculiarità e l’utilizzo nell’ambito dei contratti pubblici, con uno sguardo sincronico al diritto interno ed europeo. Questa, nella sua accezione più antica, origina come atto di benevolenza del sovrano, attributivo di un privilegio. Allo stato è un provvedimento amministrativo che si distingue dall’autorizzazione, poiché si sostanzia nel potere dell’amministrazione di attribuire al concessionario una facoltà che prima non aveva, ad esempio l’uso di risorse e/o l’esercizio di attività non disponibili e generalmente riservate ai pubblici poteri.
Per quanto attiene all’ambito dei contratti pubblici, è con la direttiva n. 24/2014/UE che si attribuisce a tale provvedimento anche la natura di contratto[7]. Lavori e servizi, infatti, possono costituire oggetto non solo di un contratto di appalto, ma anche di uno di concessione. La differenza principale si rinviene nel presupposto che relativamente al primo, quale che sia l’oggetto, il corrispettivo è costituito dal pagamento di una somma di denaro come controprestazione, nella concessione, invece, il corrispettivo a fronte della prestazione è il riconoscimento da parte dell’amministrazione di un diritto di gestione dell’opera/servizio rivolta all’utenza su corrispettivo di un canone[8]; si tratta, pertanto, di un rapporto di natura non meramente bilaterale, bensì trilaterale. Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con sentenza n. 2364 del maggio 2002 ha, infatti, affermato: “Un servizio pubblico si rivela quale appalto di servizi quando il suo onere sia interamente a carico dell’amministrazione, mentre se il servizio venga reso non a favore dell’amministrazione ma di una collettività indifferenziata di utenti, e venga almeno in parte pagato dagli utenti all’operatore del servizio, allora si è in ambito concessorio”. La remunerazione del lavoro/servizio, quindi, non costituisce la controprestazione, la quale si sostanzia, invece, nel diritto di gestire l’opera/servizio, cioè di trarne un guadagno, nei confronti dell’utenza e che comporta un rischio operativo dal lato della domanda[9].
L’elemento dirimente tra i due istituti, secondo una chiave di analisi economica del diritto, è l’allocazione del c.d. “rischio operativo” in capo al concessionario, così come disposto dall’art. 165 del d.lgs. n. 50/2016. Il considerando n. 20 della direttiva 2014/23/UE afferma che “il rischio operativo dovrebbe essere inteso come rischio di esposizione alle fluttuazioni del mercato, che possono derivare da un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta ovvero contestualmente da un rischio sul lato della domanda e sul lato dell’offerta. Per rischio sul lato della domanda si intende il rischio associato alla do manda effettiva di lavori o servizi che sono oggetto del contratto”. La disciplina eurounitaria, peraltro, precisa che non rientrano in tale nozione i rischi riconducibili ad una cattiva gestione, a inadempimenti contrattuali da parte dell’operatore economico o a cause di forza maggiore, in quanto non possono ritenersi determinanti per la definizione di concessione, essendo sopravvenienze tipiche di qualsiasi contratto. Sul punto, anche l’art. 5, comma 1, lett. b) della direttiva dispone che “l’aggiudicazione di una concessione di lavori o di servizi comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla gestione dei lavori o dei servizi, com prendente un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta, o entrambi. Si considera che il concessionario assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita al concessionario comporta una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile”.
Dal momento che il concessionario non può essere sollevato da qualsiasi perdita potenziale, l’art. 167 del codice appalti sancisce che il valore dei contratti debba essere calcolato sulla base di criteri oggettivi, espressamente descritti dalla documentazione di gara; ciò al precipuo fine di consentire la stabilità economico-finanziaria del rapporto, tenuto conto che il concessionario assume su di sé il rischio di mercato[10]. La ratio, infatti, è quella di garantire la stabilità e continuità del servizio[11].
Da questa considerazione discende una seconda rilevante differenza, attinente alla giurisdizione del g.a. nella fase di esecuzione del contratto. Il rapporto concessorio determina una riserva di amministrazione, che consente alla concedente di esercitare poteri di controllo – di natura chiaramente autoritativa – nella fase di esecuzione[12]. Diversamente per quanto attiene all’appalto, la suddivisione tra giurisdizione del g.o. e del g.a. nella fase della gara e in quella esecutiva viene disattesa nel caso della concessione. Ciò trova conferma in sede normativa all’art. 133, comma 1, lett. b) e c), del d.lgs. n. 104/2010, che stabilisce la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “b) nelle controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche; c) nelle controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative”. Ad ulteriore riprova, la lettera e) della stessa sancisce che la giurisdizione del g.a. in relazione agli appalti è esclusiva nei soli casi relativi alla procedura di affidamento. In questo senso, dunque, le norme de quibus evidenziano come l’attribuzione di giurisdizione del g.a. sia la regola proprio in virtù della summenzionata riserva di amministrazione, salvo casi in cui la stessa non eserciti poteri autoritativi (pensiamo, ad esempio, al caso dei c.d. “atti paritetici”).
Quanto appena affermato consente di operare alcune considerazioni relative alla durata delle concessioni. Le concessioni di servizi, come nel caso in esame, rientrano nel genus più ampio dei contratti di durata, anzi, in quello dei contratti di durata “a tempo determinato”. Ai sensi dell’art. 168 del codice, infatti, rubricato “durata delle concessioni”, il rapporto non può superare il tempo ragionevolmente necessario al recupero dell’investimento e al ritorno del capitale investito. Per quanto attiene alla direttiva n. 23/2014/UE, il considerando n. 52 stabilisce che “la durata di una concessione dovrebbe essere limitata al fine di evitare la preclusione dell’accesso al mercato e restrizioni della concorrenza. Inoltre, le concessioni di durata molto lunga possono dar luogo alla preclusione dell’accesso al mercato, ostacolando così la libera circolazione dei servizi e la libertà di stabilimento. Tuttavia, tale durata può essere giustificata se è indispensabile per consentire al concessionario di recuperare gli investimenti previsti per eseguire la concessione, nonché di ottenere un ritorno sul capitale investito”. Il termine, infatti, è stato previsto per consentire l’apertura del mercato alla concorrenza e di conseguenza, alla scadenza dell’affidamento, la possibilità ad altri operatori economici di ambire alla gestione dei servizi pubblici[13]. Dalla disposizione de qua, inoltre, si evince che l’eventuale proroga del termine di durata possa avvenire, ma solo nel caso in cui sia funzionale al recupero degli investimenti previsti da parte del concessionario. Ciò, dunque, conferma la regola generale della temporaneità delle concessioni e l’eccezionalità della proroga in casi specifici, che richiedono una verifica in concreto[14]. Come evidenziato da autorevole dottrina, un rischio “misurato”, consente di evitare che la concessione assuma caratteri così spiccati di aleatorietà, tali da contrastare con l’interesse (pubblico) all’esecuzione dell’opera e alla relativa gestione, nonché allo svolgimento del servizio[15].
Da quanto evidenziato, ciò che emerge è che non vi è una durata massima esplicitata dalle norme in oggetto, in quanto la stessa dev’essere comunque stabilita sulla base di calcolo del ritorno economico dell’investimento[16]. Non si può certamente ignorare, con riferimento al settore autostradale, che si tratti di investimenti che richiedono ingenti somme e, quindi, che necessitano di un arco di tempo apprezzabile; le summenzionate previsioni, infatti, presuppongono decisioni fondate sui principi di proporzionalità e ragionevolezza per quanto attiene alla posizione del concessionario uscente, mentre deve di regola basarsi sul principio di affidamento previo espletamento della gara in condizioni normali.
3. “Colei che non deve essere nominata”: la proroga
Come sopra evidenziato, il rinnovo automatico di una concessione può pregiudicare la libera concorrenza, se utilizzato per “congelare” la permanenza di un operatore nel settore. Non c’è, invero, una norma generale che lo ammetta; eventuali proroghe sono consentite solo valutando il caso di specie a cui si riferiscono. Ciò detto, tale problema si pone in riferimento ad ogni tipo di concessione, anche nel caso di quelle autostradali[17]. La stessa Commissione europea sul punto ha evidenziato come ogni estensione della durata del rapporto concessorio sia potenzialmente lesiva delle norme di diritto primario che vietano gli aiuti di stato[18]. Nel caso di Ativa S.p.a., infatti, la proposta di project financing di quest’ultima è stata valutata come ultimo tentativo possibile per le istanze di proroga non accolte[19].
Anche l’Agcm ha più volte operato delle segnalazioni in punto alle criticità in materia di concessioni; nel 2018 la stessa ha evidenziato che: “Le concessioni che più hanno destato preoccupazioni dal punto di vista concorrenziale riguardano, in primo luogo, la gestione di alcune infrastrutture rispetto alle quali è emersa una forte resistenza all’espletamento di procedure ad evidenza pubblica, pur a fronte dei mutati quadri normativi (autostrade, aeroporti, reti gas e grandi derivazioni idroelettriche). Peraltro, l’eccessiva ampiezza e durata e delle concessioni esistenti, dovuta anche al frequente ricorso a proroghe o rinnovi automatici, ha comportato un inevitabile ingessamento degli assetti di mercato esistenti, a vantaggio degli operatori attuali concessionari. Nel caso di quest’ultime si tratta di una problematica molto sentita […]. Al riguardo, l’Autorità segnala pertanto la necessità, per le concessioni in scadenza, di provvedere celermente allo svolgimento delle procedure di gara, al fine di selezionare al meglio e per tempo i gestori in termini di qualità e sicurezza dei servizi, propensione agli investimenti e minor costo di gestione. Quanto alle restanti concessioni autostradali, l’Autorità invita le amministrazioni competenti a valutare la congruità della durata delle concessioni rispetto al valore della concessione, alla complessità organizzativa dell’oggetto della stessa e agli investimenti effettuati, anche ai fini dell’eventuale rideterminazione della durata laddove eccedente il periodo di tempo ragionevolmente necessario al recupero degli investimenti sostenuti e a una remunerazione del capitale investito”[20]. La stessa Corte dei conti ha evidenziato che nel tempo si sono utilizzati strumenti che, nella sostanza, hanno avuto il medesimo effetto della proroga, quali la revisione contrattuale attraverso la gestione unificata di tratte interconnesse, contigue o complementari che consentono di modificare i rapporti esistenti senza nuovo affidamento alla scadenza[21]. La situazione così delineata non può che essere sintetizzata attraverso il brocardo latino “Nomina nuda tenemus”.
In questo senso rileva anche la pronuncia emessa nella causa C-526/16, 18 settembre 2019, della CGUE, la quale ha evidenziato che: “il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un contratto di concessione di lavori pubblici, l’amministrazione aggiudicatrice concedente e il concessionario apportino alle disposizioni del loro contratto modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle iniziali. È quanto avviene se le modifiche previste hanno per effetto o di estendere la concessione di lavori pubblici, in modo considerevole, a elementi non previsti, o di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore del concessionario, oppure se tali modifiche sono atte a rimettere in discussione l’aggiudicazione di lavori pubblici nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura originaria, o sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbe potuto essere ammessi offerenti diversi. Pertanto, in linea di principio, una modifica sostanziale di un contratto di concessione di lavori pubblici deve dar luogo a una nuova procedura di aggiudicazione relativa al contratto modificato”[22].
Nel paragrafo precedente è stato affermato che la concessione è un contratto a titolo oneroso e, soprattutto, rientrante nella categoria dei contratti di durata; questo rappresenta un dato rilevante, soprattutto per quanto attiene al regime delle sopravvenienze nella fase esecutiva. La disciplina pubblicistica, infatti, differisce da quella civilistica: nel diritto civile l’art. 1467 c.c. prevede che, in caso di sopravvenienze e impossibilità di eseguire la controprestazione (che, si badi bene, si traducano in una “eccessiva onerosità” non prevedibile in sede di accordo, dunque esorbitante rispetto la normale alea contrattuale), le parti possano chiedere la risoluzione del contratto; nel diritto amministrativo, invece, la tendenza è quella di conservare il rapporto di concessione, azionando un procedimento di revisione del piano economico finanziario[23]. La revisione, che de facto è il prodotto di un nuovo accordo fra le parti, può comportare un’estensione della durata della concessione, ma quest’ultima si mostra legittima e compatibile con i principi di libero mercato e imparzialità, nel momento in cui è finalizzata all’ammortamento del investimenti dovuto a sopravvenienze estranee all’alea normale del contratto[24]. La disciplina pubblicistica, così delineata, conferma l’approccio conservativo del rapporto originario, stante gli interessi coinvolti; d’altra parte, permangono le perplessità sollevate della Corte dei Conti e dall’Agcm su determinati comportamenti (scorretti), che tendono a rivelarsi sostanzialmente delle proroghe.
Questa, dunque, la ratio iuris che ha condotto il legislatore a introdurre, col correttivo di cui al d.lgs. n. 56/2017, il comma 8-bis all’art. 178 del codice contratti: evitare l’uso distorto di strumenti giuridici, che si sostanziano in proroghe delle concessioni e che violano i principi a tutela dell’affidamento di opere e servizi tramite l’evidenza pubblica.
4. Brevi cenni sul project financing
Stante l’esito della pronuncia, appare necessario illustrare brevemente l’istituto del project financing, onde consentire di comprendere, data la peculiarità dello stesso, le criticità che abbracciano tale figura in materia di concessioni autostradali e non solo.
Quest’ultimo è una speciale forma di partenariato pubblico-privato che trova disciplina all’art. 183 del codice dei contratti e che si sostanzia in una particolare tecnica di realizzazione dei lavori pubblici, alternativa alla concessione. Questo, invero, rappresenta una figura di confine tra appalto e concessione, nonché espressione massima del principio di sussidiarietà orizzontale, quale riconoscimento del ruolo dei pubblici poteri nell’esplicazione di attività di interesse generale in rapporto alle capacità individuali dei singoli e degli enti privati[25]. Sebbene il codice contratti parli di partenariato come tipo contrattuale, in realtà si tratta di un archetipo generale, che comprende una serie di figure contrattuali[26], tra cui anche alcuni tipi di concessione; le figure de quibus sono caratterizzate dai seguenti elementi comuni: a) la collaborazione di durata tra soggetti pubblici e privati per un programma o un progetto di realizzazione e gestione di un’opera o servizio di interesse generale; b) la gestione imprenditoriale del progetto con correlata centralità del piano economico-finanziario; c) l’assunzione in capo al soggetto privato dei rischi imprenditoriali annessi alla gestione.
Tornando alla finanza di progetto, quest’ultima, sulla base delle caratteristiche summenzionate, consente alle amministrazioni pubbliche di rispondere alla crescente domanda di soddisfazione di interessi generali, rimanendo entro stringenti vincoli di spesa. La sua funzione principale, infatti, è quella di azzerare, se non eliminare del tutto, gli oneri economici a carico dello Stato, prevedendo il coinvolgimento di una serie di soggetti privati[27]. Tra questi vi è in primis il promotore, figura centrale dell’istituto, il quale propone all’amministrazione il progetto da realizzare, che sarà oggetto di affidamento in concessione tramite una procedura competitiva, mentre gli altri saranno i finanziatori. Al termine della procedura di gara per il rilascio della concessione i promotori e i finanziatori costituiscono una società di progetto per realizzare ed eventualmente gestire l’infrastruttura.
Questa particolare figura si divide in due distinte fasi, di cui la prima sulla valutazione del progetto presentato dal soggetto privato, caratterizzata da un’ampia discrezionalità in capo all’amministrazione, in quanto chiamata a verificare la rispondenza del progetto all’interesse pubblico. L’aggiudicazione della concessione, invece, segue all’esito della successiva gara; si tratta, invero, di una fase autonoma che deve svolgersi secondo le regole dell’evidenza pubblica. L’elemento che potrebbe destabilizzare è che la scelta del progetto, come evidenziato dalla giurisprudenza, attribuisce al promotore, a condizioni predeterminate, un diritto di prelazione nella realizzazione del progetto[28].
Ciononostante, l’istituto della finanza di progetto, secondo lo schema così delineato, non sembrerebbe di per sé configurabile come una proroga della concessione scaduta per il solo fatto che il progetto sia stato presentato dal concessionario uscente. La scelta del legislatore di impedire l’utilizzo del project financing per le concessioni scadute o in scadenza, allora, non può che essere letta come una sorta di “tutela preventiva” contro possibili abusi dell’istituto, che prediligano la persona del concessionario uscente.
5. Considerazioni di sintesi
La pronuncia del giudice europeo conferma ancora una volta la libertà lasciata agli Stati membri, nel recepimento delle direttive, di scegliere le modalità di affidamento per le prestazioni d’opera o servizi maggiormente rispondenti alle loro specifiche esigenze, fermo restando, quale unico ed effettivo limite, il rispetto dei principi stabiliti dal diritto unionale. In questo senso la disciplina di cui all’art. 178, comma 8-bis, del codice contratti non può che sostanziarsi in uno strumento funzionale alla concreta tutela della libera concorrenza nel mercato europeo, introdotto al precipuo fine di porre rimedio alle storture che sono state evidenziate nei paragrafi precedenti e a cui il settore appare ancora esposto.
Note bibliografiche:
[1] Cfr. D.lgs. n. 50/2016, art. 178, rubricato “norme in materia di concessioni autostradali e particolare regime transitorio”, al comma 8-bis recita: “Le amministrazioni non possono procedere agli affidamenti delle concessioni autostradali scadute o in scadenza facendo ricorso alle procedure di cui all’articolo 183”.
[2] Cfr. T.A.R. Piemonte (Torino), Sez. II sent., 31/08/2018, n. 978.
[3] Cfr. Cons. Stato, Sez. V ord., 06/11/2019, n. 7587, in Giur. it., 2019, 12, 2582 ss., con nota di C. CONTESSA, Concessioni autostradali e divieto di proroga.
[4] Cfr. Corte dei conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, Le concessioni autostradali, Deliberazione 18 dicembre 2019, n. 18/2019/G, consultabile su www.corteconti.it, pp. 20-22.
[5] Cfr. CGUE, Sez. IX, 26/11/2020, C-835/19, considerazioni in diritto nn. 43-52.
[6] Cfr. CGUE, Sez. IX, 6/02/2020, C-89/19, C-90/19, C-91/19, Rieco S.p.a: “Gli Stati membri sono liberi di scegliere il modo di prestazione di servizi mediante il quale le amministrazioni aggiudicatrici provvederanno alle proprie esigenze, non essendo obbligati ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi, fermo restando il rispetto delle regole fondamentali del trattato FUE, fra cui la libertà di circolazione delle merci, di stabilimento e di prestazione dei servizi e i principi di parità di trattamento, di proporzionalità e di trasparenza. Pertanto, gli Stati membri possono subordinare la conclusione di un’operazione interna come un affidamento « in house » all’impossibilità di indire una gara d’appalto e alla dimostrazione, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificamente connessi al ricorso a tale operazione”. La questione posta dall’autorità giudiziaria italiana era se l’obbligo di motivazione rafforzata richiesta per il ricorso all’affidamento tramite in house costituisse un fenomeno di c.d. “gold plating”, ossia l’ introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie, che conducono ad oneri amministrativi tecnici ulteriori e che riducono la concorrenza.
[7] Cfr. sulla rinnovata disciplina delle concessioni G. FIDONE, Le concessioni di lavori e servizi alla vigilia del recepimento della direttiva 2014/23/UE (Works and services concessions just before the transposing of the directive 2014/23/UE), in Riv. It. Dir. Pub. Com., 2015, 1, pp. 101-193; G. GUIDO, La direttiva in materia di “concessioni”, Relazione al Convegno “La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione”, Varenna, 17-19 settembre 2015, in Riv. It. Dir. Pub. Com., 2015, 5, pp. 1095-1126; F. ZAMMARTINO – R. L. DE MONACO, Brevi riflessioni sull’istituto della concessione alla luce del diritto comunitario, in www.amministrativamente.com, 4/2019, p. 7.
[8] Cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. VI, 04/05/2020, n. 2810: “[…] l’operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un tipo di canone o tariffa”.
[9] Sul punto si veda una delle più recenti pronunce, Cons. Stato., Sez. IV, 22/03/2021, n. 2426, laddove si afferma che: “6.1. Mentre l’appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest’ultimo grava interamente sull’appaltante, nella concessione, connotata da una dimensione triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l’utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione. 6.2. È, dunque, insito nel meccanismo causale della concessione che la fluttuazione della domanda del servizio costituisca un rischio traslato in capo al concessionario, anzi costituisca il rischio principale assunto dal concessionario”.
[10] Cfr. M. FRATINI, Manuale sistematico di diritto amministrativo, Accademia del diritto Editore, Roma, agosto 2020, pp. 842-843, laddove evidenzia che: “lo schema contrattuale deve essere definito dall’amministrazione nell’ottica di assicurare adeguati livelli di bancabilità dell’opera/servizio”; si veda anche M. CALCAGNILE, Durata delle concessioni di servizi pubblici e regime della gestione, in Diritto amministrativo, fasc. 3, 1 settembre 2020, par. 1, pp. 591-592.
[11] Cfr. G. CAIA, Criterio di economicità e servizi pubblici locali nelle prospettive della XVIII legislatura repubblicana, in Diritto amministrativo e società civile, vol. I Studi Introduttivi, BUP, Bologna, 2018, 327 e ss. e spec. 343.
[12] Cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, 16/10/2020, n. 935: “L’attribuzione ai privati delle posizioni che involgono tali interessi pubblici avviene sul presupposto di una previa decisione in tal senso dell’Amministrazione rispetto alla quale il soggetto istante è portatore di una posizione di interesse legittimo. Tale attribuzione si fonda su una riserva di posizione dell’Amministrazione, nel senso che l’ordinamento assegna all’attore pubblico una particolare posizione di tutela di un certo interesse, consentendogli di poter coinvolgere un soggetto terzo nella relativa gestione. Il connubio fra i due soggetti è tale che il concessionario risponde a titolo di responsabilità erariale acquisendo così un connotato pubblicistico. In tale prospettiva la concessione, dal punto di vista dell’ordinamento italiano, non esaurisce la sua funzione pubblica nel momento in cui, attraverso il provvedimento amministrativo, a seguito di una procedura, viene individuato il concessionario e affidato al medesimo il servizio. Essa, infatti, affondando le proprie radici in una riserva di amministrazione (quindi in un settore di interesse pubblico) è tesa alla regolamentazione e al controllo dell’esercizio della prerogativa concessa. La sua missione pubblicistica è proprio quella di garantire l’implementazione di quella prerogativa e, nel caso di concessione di servizio pubblico, l’esercizio del servizio”; in senso conforme anche Cons. Stato, Sez. V Sent., 17/12/2020, n. 8100; T.A.R. Lazio Roma Sez. stralcio, Sent., 22/02/2021, n. 2156.
[13] Cfr. ex multis Corte cost. Sent., 23/07/2018, n. 176, p.to 3.2. cons. dir.: “alla luce del diritto europeo, la regolazione dell’accesso ai mercati in base a concessione è compatibile con il principio della concorrenza a condizione che: la scelta del concessionario avvenga in base a criteri oggettivi, non discriminatori e nell’ambito di procedure di evidenza pubblica; non sia previsto alcun diritto di proroga automatico in favore del titolare della concessione scaduta o in scadenza, il quale sottrarrebbe, di fatto, il rinnovo della concessione demaniale alle garanzie di tutela della concorrenza; la durata delle concessioni non sia eccessivamente lunga, in quanto durate eccessive stimolano gestioni inefficienti; non vengano riconosciute esclusive, né preferenze, nel conferimento o rinnovo delle concessioni”.
[14] Cfr. Corte cost. Sent., 13/07/2011, n. 205, secondo cui le proroghe dei rapporti in essere “sono incoerenti rispetto ai principi generali, stabiliti dalla legislazione statale, della temporaneità delle concessioni e dell’apertura alla concorrenza e contrastano con i principi comunitari in materia poiché, seppure per un periodo temporalmente limitato, impediscono l’accesso di altri potenziali operatori economici al mercato, ponendo barriere all’ingresso tali da alterare la concorrenza tra imprenditori”; in senso conforme Corte cost. Sent., 10/05/2012, n. 114.
[15] Cfr. G. CORSO, Le concessioni di lavori e servizi (dalla Direttiva 2014/23/UE alla parte terza del D.lgs. n. 50/2016), in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, fasc. 3, 1 agosto 2018, p. 505 e ss.
[16] Anche l’art. 18, comma 1, della direttiva UE n. 23/2014 non contiene un’esplicita durata delle concessioni, ma sancisce che: “La durata della concessione è limitata. Essa è stimata dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore in funzione dei lavori o dei servizi richiesti al concessionario”.
[17] Cfr. ALTIERI A. M., Il rapporto concessorio nel diritto vigente, in Il regime giuridico delle autostrade, in SALTARI L. E TONETTI A. (a cura di), cit., p. 109.
[18] Cfr. Commissione europea, Aiuto di Stato N 562/2005 – Italia, Prolungamento della concessione della Società Italiana del Traforo del Monte Bianco (SITMB), in www.ec.europa.eu.
[19] Così è stato evidenziato anche da L. CIONI, Le concessioni autostradali in Piemonte. La vicenda di ATIVA S.P.A. segna la fine di un modello?, in Il Piemonte delle autonomie, 07/04/2020.
[20] Cfr. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, segnalazione 20 dicembre 2018, AS1550, in www.agcm.it.
[21] Cfr. Corte dei conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, Le concessioni autostradali, Deliberazione 18 dicembre 2019, n. 18/2019/G, consultabile su www.corteconti.it, p. 52 e ss.
[22] Cfr. in senso conforme Corte di Giustizia UE, sez. V, 14 luglio 2016, in cause C-458/14 e C-67/15 ed anche Corte di Giustizia UE, sez. V, 18 settembre 2019, in causa C-526/17; nonché Cons. Stato, Sez. VI, 18/11/2019, n. 7874, laddove si afferma: “Le disposizioni legislative che prevedono in via generalizzata proroghe o rinnovi automatici di concessioni demaniali marittime violano i principi del diritto comunitario su libertà di stabilimento e tutela della concorrenza e pertanto non possono essere applicate né dal giudice, né dall’amministrazione”.
[23] Cfr. d.lgs. n. 50/2016, art. 165, comma 6: “Il verificarsi di fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull’equilibrio del piano economico finanziario può comportare la sua revisione da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio. La revisione deve consentire la permanenza dei rischi trasferiti in capo all’operatore economico e delle condizioni di equilibrio economico finanziario relative al contratto”.
[24] Cfr. M. CALCAGNILE, op. cit., p. 600.
[25] M. FRATINI, op. cit., p. 844.
[26] Cfr. D.lgs. n. 50/2016, art. 180, comma 8: “Nella tipologia dei contratti di cui al comma 1 rientra- no la finanza di progetto, la concessione di costruzione e gestione, la concessione di servizi, la locazione finanziaria di opere pubbliche, il contratto di disponibilità e qualunque altra procedura di realizzazione in partenariato di opere o servizi che presentino le caratteristiche di cui ai commi precedenti”.
[27] Cfr. E. PARISI, Selezione del promotore e tutela giurisdizionale nel project financing a iniziativa privata, in Diritto processuale amministrativo, fasc. n. 4/2018, p. 7; N. LUGARESI, Concessione di lavori pubblici e finanza di progetto, in F. MASTRAGOSTINO (a cura di), La collaborazione pubblico-privato e l’ordinamento amministrativo. Dinamiche e modelli di partenariato in base alle recenti riforme, Torino, 2011, p. 542.
[28] Cfr. Cons. Stato, Sez. V sent., 10/02/2020, n. 1005: “Il diritto di prelazione di cui all’art. 183, co. 15 del Codice dei contratti pubblici sconta l’effettiva partecipazione alla gara del proponente, da intendersi quale presentazione di un’offerta idonea a essere comparata con le altre offerte e a dar luogo al confronto concorrenziale che sfocia nella sua graduazione”; in senso conforme Cons. Stato, Ad. Plen., Sent., 28/01/2012, n. 1.
Attualmente dottoranda di ricerca (PON Ricerca e Innovazione – XXXVII° ciclo) in Diritto amministrativo nell’Università degli Studi di Verona presso il Corso di Dottorato in Scienze Giuridiche Europee ed Internazionali.
Si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna “Alma Mater Studiorum” nel luglio 2018 con una tesi in Diritto amministrativo sulla responsabilità per danno erariale del rup nel settore degli appalti e nel luglio 2020 ha conseguito il titolo di Specialista in Studi sull’Amministrazione Pubblica presso la SP.I.S.A. di Bologna, con una tesi in Diritto regionale dal titolo “L’autonomia differenziata in materia sanitaria tra solidarietà ed esigenze di bilancio. Il caso della Regione Veneto“.