lunedì, Ottobre 7, 2024
Uncategorized

Energy Charter Treaty: il fantasma della (in)compatibilità aleggia per l’Europa

Introduzione

L’Energy Charter Treaty [1] (in seguito, ECT) firmato a Lisbona il 17 dicembre 1994 ed entrato in vigore il 16 aprile 1998, rappresenta un trattato internazionale che crea un regime legale uniforme volto a disciplinare lo sfruttamento delle risorse energetiche, il commercio, la protezione degli investimenti, il loro transito e i procedimenti di risoluzione delle controversie. Attualmente le parti contraenti sono 54[2]: 52 Stati, l’Unione Europea e l’Euratom. L’ECT è stato ratificato da quasi la totalità delle parti, eccezion fatta per Australia, Bielorussia, Norvegia e Russia. Inoltre, 42 Stati, inclusi gli USA e Cina, così come 13 organizzazioni internazionali, tra cui la Banca Mondiale, detengono lo stato di osservatori. Ciò indica che l’ECT si estende ben oltre l’Europa, rappresentando una primaria e universale fonte di norme internazionali connesse alla cooperazione energetica su scala globale.

Il 3 dicembre 2020, il Belgio ha richiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) un’opinion riguardante la compatibilità con i trattati europei delle previsioni arbitrali contenute nell’ECT applicabili nel contesto intra-UE. La richiesta si concentra sul meccanismo investor-state dispute settlement (in seguito, ISDS) e la sua applicazione alle dispute intraunionali nelle quali risultano coinvolti uno Stato membro UE, da una parte, e un investitore di un altro Stato membro UE, dall’altra[3].

Lo scopo della richiesta da parte del Belgio è fare chiarezza “on the compatibility under Union law of the dispute settlement mechanism provided for in the draft modernised Energy Charter Treaty, in view of the fact that this mechanism could be interpreted as allowing its application intra-European Union”.  L’istanza belga, presentata ai sensi dell’art. 218 TFUE, non riguarda la versione attuale dell’ECT ma la futura versione che si otterrà a seguito del processo di ammodernamento iniziato nel novembre 2017[4]. Mentre la richiesta riguarda la bozza europea[5] per una versione aggiornata dell’ECT, le conclusioni della CGUE avranno importanti implicazioni per il corrente trattato, in quanto le disposizioni ISDS risultano in pratica le medesime.

Si tenga conto che le dispute intra-UE sono il 60% di tutti i procedimenti arbitrali compiuti nell’ambito ECT, con la Spagna che veste il ruolo di target principale. Per sottolineare l’importanza cruciale di tale tema, basti pensare che in virtù dell’ECT ai governi è stato imposto di pagare, o hanno accettato di pagare, più di 52 miliardi di dollari a titolo di risarcimento danni.

Nel settembre 2017, il Belgio aveva già richiesto un’Opinion alla CGUE sulla compatibilità del diritto europeo relativamente alle previsioni arbitrali riguardanti l’Investment Court System (ICS) previsto all’interno del Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA) tra l’Unione e il Canada. Il 30 aprile 2019, la CGUE ha dichiarato questo meccanismo compatibile con i trattati europei, sottolineando come il principio di autonomia del diritto dell’Unione sarebbe stato violato se il Tribunale CETA avesse potuto interpretare ed applicare le regole europee, oltre alle previsioni del CETA, o compiere decisioni aventi l’effetto di ostacolare le istituzioni europee dall’operare in accordo con l’ordinamento costituzionale europeo. Preoccupazioni, come detto, non ravvisate nelle  dispute sulla protezione degli investimenti extra-UE tra il Canada e l’Unione, compresi i suoi Stati membri[6].

La risoluzione delle controversie (art. 26 ECT)

Nella regolazione dei contratti stipulati tra Stati e investitori stranieri in materia energetica, l’art. 26 ECT rappresenta un caposaldo di fondamentale importanza in quanto volto a regolare la risoluzione delle controversie che possono sorgere.

L’ECT è un trattato che comprende virtualmente tutte le aree attinenti al settore dell’energia e contiene previsioni che afferiscono alla risoluzione delle dispute state-to-state (SSDS) e investor-state (ISDS). Queste ultime sono disposte dall’art. 26 ECT, il quale stabilisce le condizioni alla luce delle quali l’investitore può scegliere di sottoporre una disputa ad uno dei fori indicati dai commi 2-4 dell’art. 26, incluso l’arbitrato internazionale.

Questa norma si applica alle controversie tra uno Stato contraente e un investitore di un altro Stato contraente connesse all’investimento di quest’ultimo nel territorio del primo; legittima l’investitore straniero ad agire contro lo  Stato ospitante a seguito di una presunta violazione di un obbligo posto a carico di tale Stato; sancisce che le controversie debbano essere risolte in via amichevole e qualora una tale risoluzione non possa essere raggiunta entro tre mesi dall’inoltro della relativa richiesta, l’investitore potrà: adire le corti/tribunali amministrative/i dello Stato contraente parte della controversia, sottoporre il caso alle procedure di risoluzione precedentemente convenute con quest’ultimo oppure percorrere la via arbitrale presso l’ICSID, presso un tribunale arbitrale ad hoc designato dall’UNICITRAL oppure presso l’Istituto Arbitrale della Camera di Commercio di Stoccolma. Le decisioni assunte dai tribunali arbitrali, in base all’ECT e ai principi del diritto internazionale, sono definitive e vincolanti cosicché la parte contraente è tenuta a darne esecuzione senza indugio e ad adottare le misure adeguate all’esecuzione della sentenza nel suo territorio[7].

Ai sensi dell’art. 26 (3)(a) ECT, “ciascuna Parte contraente presta il proprio consenso incondizionato a sottoporre una controversia all’arbitrato o alla conciliazione internazionale in conformità alle disposizioni del presente articolo”. Perciò, a seguito del consenso prestato dall’investitore il consenso dello Stato, parte contraente, diviene legalmente ed automaticamente vincolante permettendo al primo di adire direttamente il tribunale arbitrale. Il consenso della parte è irrevocabile, tuttavia è possibile abbandonare il trattato ma – ai sensi dell’art. 47 ECT – la parte, a seguito del suo ritiro, resta vincolata ad onorare le proprie obbligazioni riguardanti la protezione degli investimenti per un periodo di 20 anni.

Dopo aver sottoposto la controversia ad un tribunale arbitrale, l’art. 26(6) prevede che il tribunale deciderà sulla disputa in base all’ECT e alle regole e principi applicabili di diritto internazionale. Inoltre, l’art. 26(8) stabilisce che la decisione arbitrale sarà vincolante e finale tra le parti della controversia e la parte contraente, inclusa l’Unione, è obbligata a procedere senza indugio a tali aggiudicazioni garantendone l’effettiva esecuzione sul suo territorio.

L’ECT non è compatibile con l’ordinamento europeo

Al fine di assicurare l’autonomia del diritto europeo, differente sia da quello domestico che da quello internazionale (si vedano i casi Van Gend & Loos e Costa v. ENEL), la CGUE, inter alia, richiede che essa rimanga l’arbitro ultimo detentore del monopolio sull’interpretazione autoritativa del diritto UE.

Autonomia dell’ordinamento europeo che ha rappresentato il tema centrale della sentenza Achmea[8], in cui la CGUE ha dichiarato il meccanismo di risoluzione delle controversie investitore-Stato contenuto nel trattato bilaterale di investimento (in seguito, BIT) del 1991 tra Olanda e Slovacchia incompatibile con il diritto europeo.  Secondo la CGUE, il diritto europeo “must be regarded both as forming part of the law in force in every Member State and as deriving from an international agreement between the Member States” (Achmea para. 41). Il tribunale arbitrale costituito in base al BIT non è stato ritenuto dalla CGUE sussumibile nella categoria di corte/tribunale degli Stati membri così da non poter procedere ad un rinvio pregiudiziale attinente alle questioni concernenti il diritto europeo (Achmea paras. 43, 49). Da ciò, la minaccia all’autonomia dell’ordinamento europeo e di conseguenza l’incompatibilità del BIT con il diritto dell’Unione (Achmea paras. 58-60).

Nel 2018 a seguito della sentenza sopra citata, è bene ribadirlo, l’arbitrato riguardante le controversie investitore-Stato scaturenti dai BITs intra-UE è stato ritenuto incompatibile con l’assetto unionale. A seguito dell’Accordo per la terminazione dei trattati bilaterali di investimento tra gli Stati membri UE (c.d. Termination Agreement) adottato ed entrato in vigore nel 2020, l’ECT, di cui sono parte l’Unione e tutti i suoi Stati membri (ad eccezione dell’Italia ritiratasi nel 2016), è quindi formalmente l’unico accordo intraunionale sulla protezione degli investimenti che continua a sopravvivere.

Orbene, la sentenza Achmea, prima, e il Termination Agreement, poi, obliterando l’applicazione e la stessa esistenza dei BITs intra-UE hanno dato adito al dibattito, tuttora in corso, vertente sulla possibilità che queste censure si propaghino oltre i limiti dei BITs intra-UE andando ad influenzare gli accordi multilaterali di investimento nei quali l’Unione sia essa stessa parte, specialmente l’ECT in quanto accordo maggiormente invocato. Infatti, nel trattato in esame non è prevista la facoltà, tanto meno l’obbligo, per i tribunali arbitrali ECT di richiedere una pronuncia pregiudiziale relativa a questioni che interessano l’ordinamento europeo – d’altronde, gli stessi tribunali arbitrali che decidono sulle dispute ECT non hanno neppure i requisiti richiesti dalla CGUE al fine di compiere un rinvio pregiudiziale, ex art. 267 TFUE[9].

In tale contesto, la Commissione Europea ha dichiarato che il Trattato sulla Carta dell’Energia è inapplicabile in riferimento alle dispute intra-UE[10]. Nel 2019, la maggioranza degli Stati membri si sono schierati assecondando tale posizione[11]. Nella Dichiarazione del 15 gennaio 2019, riguardante le conseguenze post-Achmea, 22 Stati membri hanno dichiarato che: “International agreements concluded by the Union, including the Energy Charter Treaty, are an integral part of the EU legal order and must therefore be compatible with the Treaties. Arbitral tribunals have interpreted the Energy Charter Treaty as also containing an investor-State arbitration clause applicable between Member States. Interpreted in such a manner, that clause would be incompatible with the Treaties and thus would have to be disapplied”. E ancora, nei casi C-789/18 e C-799/18, l’Avvocato Generale Henrik Saugmandsgaard Øe ha sostenuto che la decisone Achmea vada trapiantata nell’ECT e che quest’ultimo sia inapplicabile alle dispute intra-UE.

Da una prospettiva europea, il meccanismo ISDS che trova dimora nell’ECT risulta essenzialmente identico a quello contenuto nel BIT Olanda-Slovacchia, violando in tal modo i medesimi principi europei della primazia e dell’autonomia racchiusi rispettivamente negli articoli 267 e 344 TFUE: un arbitrato ad hoc e nessuna opzione per i tribunali arbitrali di richiedere un rinvio pregiudiziale alla CGUE[12]. Secondo le linee guida sviluppate nelle Opinions 1/91, 1/00 e 1/09 pare difficile pensare a come la CGUE possa accettare il meccanismo di risoluzione delle controversie contenuto nell’ECT. Mancando una disconnection clause, le previsioni ECT si applicano nelle relazioni tra gli Stati membri europei così da risultare incompatibili con la costante presa di posizione della giurisprudenza europea – la quale mette radici fin dal caso Mox Plant[13], controversia riguardante la disciplina di soluzione delle controversie prevista dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.

Dunque, la domanda fondamentale è se la legge applicabile prevista dall’ECT includa il diritto dell’Unione, in quanto ciò comporterebbe il rischio che il diritto europeo possa essere interpretato da un tribunale arbitrale senza alcuna partecipazione della CGUE. Nonostante sia chiaro che l’art. 26 ECT non intenda come diritto applicabile il diritto domestico del singolo Stato, risulta meno chiaro se il diritto europeo possa essere ricompreso nelle “applicable rules and principles of international law”. Il tribunale arbitrale in Eskosol v. Italy[14] ha dichiarato che le regole e i principi di diritto internazionale possono solamente riferirsi alle consuetudini universalmente applicate, ai principi di diritto o alle altre norme universalmente applicabili (paras 118-120), intendendo il diritto europeo come ordinamento regionale e non mondiale[15]. Contrariamente, in InfraRed v. Spain il tribunale arbitrale ha affermato che “EU law is undeniably part of the body of international law that the Tribunal is also bound to apply[16].

In Achmea la CGUE sembra affermare che anche la sola possibilità che un tribunale arbitrale, aggiudicando una disputa relativa agli investimenti, possa potenzialmente applicare il diritto europeo è sufficiente a rendere ogni previsione sottoposta ad arbitrato preclusa dagli artt. 267 e 344 TFUE. Si noti che nell’Opinion 1/17[17] la CGUE ha ritenuto che le dispute settlement provisions all’interno del CETA sono compatibili con il diritto dell’Unione in ragione della specifica ed esplicita esclusione del diritto europeo dalla legge applicabile alle dispute nascenti da quel trattato. Se tale espressa esclusione è richiesta, allora l’ECT attualmente potrebbe non soddisfare tale criterio. Un’altra differenza con il trattato CETA verterebbe sulle garanzie prestate da quest’ultimo miranti ad impedire che un organo arbitrale istituito sulla base di un accordo rimetta in discussione l’equilibrio tra interessi privati e pubblici imposto dalla legislazione europea. Nell’ECT gli standard di protezione afferenti l’espropriazione indiretta (art. 13 ECT) e al trattamento giusto ed equo (art. 10 ECT) comprendono situazioni che vanno al di là del grave abuso del potere sovrano – limite invece imposto dall’art. 8.9(2) CETA – così da mettere in discussione il livello di protezione dell’interesse pubblico che ha portato all’introduzione di determinate restrizioni da parte dell’Unione.

Un altro obbligo potenzialmente incompatibile è rappresentato dall’art. 10(2) ECT, secondo cui “ciascuna  Parte  contraente  garantisce  che  la  sua  legge  nazionale  preveda  mezzi  effettivi  per  far  valere  e  mettere  ad  esecuzione  i  diritti  in  materia  di  investimenti,  accordi  di  investimento  e  autorizzazioni  di  investimento”, suscettibile di essere interpretato dai tribunali arbitrali come un dovere da parte dell’Unione di emanare una normativa che faccia rispettare l’esecuzione di una decisione arbitrale. Quindi non solo l’accettazione di una giurisdizione nei reclami intra-UE ma anche l’imposizione di leggi potenzialmente contrarie al diritto europeo.

Inoltre, di dubbia legittimità è il procedural approach utilizzato nell’ECT, inteso quale mixed agreement. Ai sensi dell’art. 26(3) ECT a seguito della richiesta di arbitrato spettante ad un investitore, questo potrà iniziare un procedimento sia contro l’Unione che contro gli Stati membri. La determinazione della parte convenuta che parrebbe gravare sull’investitore lascia a quest’ultimo la possibilità di stabilire se sia pregiudicato esclusivamente dai provvedimenti di uno Stato membro o anche dai provvedimenti dell’Unione. Così, però, si rischierebbe di interferire con la ripartizione delle competenze tra Unione e Stati membri e ledere, perciò, ancora una volta il principio di autonomia dell’ordinamento europeo.

L’ECT è compatibile con l’ordinamento europeo

Confermando il principio di pacta sunt servanda a livello internazionale, l’art. 26 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (d’ora in poi, VCLT) dichiara che ogni trattato in vigore vincola le parti e queste devono eseguirlo in buona fede – nel caso dell’ECT il riferimento è indirizzato sia all’Unione che ai suoi Stati membri.

Per giunta, in base all’art. 27 VCLT “una parte non può invocare le disposizioni della propria legislazione interna per giustificare la mancata esecuzione di un trattato”. Ciò significa che sia l’Unione, comprese le sue istituzioni, che gli Stati membri, quali parti contraenti dell’ECT, non possono invocare le previsioni dei rispettivi ordinamenti giuridici, nazionale o europeo, quali motivi per non rispettare le proprie obbligazioni assunte; altrimenti, tali condotte potrebbero essere considerate internazionalmente illecite e comportanti una responsabilità in base agli ICL Articles (c.d. Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts). Questa disposizione è fatta propria dall’art. 23 ECT secondo cui “ogni Parte contraente è pienamente responsabile dell’osservanza di tutte le disposizioni del Trattato e adotta le misure ragionevoli e disponibili per garantirne l’osservanza da parte delle autorità regionali, locali e di altro genere nella sua area”. Inoltre, il dovere per l’Unione e i suoi Stati membri di rispettare le obbligazioni assunte in base ai propri accordi internazionali non è basata esclusivamente sul diritto internazionale e sulle previsioni del VCLT ma anche sulla scorta dell’art. 216(2) TFUE, in quanto “gli accordi conclusi dall’Unione vincolano le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri”. Da qui, l’Unione e le sue istituzioni – così come gli Stati membri e le rispettive autorità – devono rispettare l’ECT alla stregua del diritto europeo in quanto nel momento in cui la Commissione, in nome dell’Unione, ha siglato l’accordo esso è divenuto parte dell’ordinamento europeo[18].

In Eskosol v. Italy[19], il tribunale arbitrale ha dichiarato che la sentenza Achmea non ha effetto sulla giurisdizione dei tribunali arbitrali nelle dispute sorte in base all’ECT, poiché la legge applicabile non include il diritto europeo. L’art. 26(6) ECT prevede che i tribunali debbano decidere le controversie in accordo con il Trattato ECT e con le “applicable rules and principles of international law”, considerando invece il diritto UE come ordinamento normativo regionale. Il tribunale conclude “because the ECT contains no equivalent incorporation into its applicable law of either category of law that the CJEU found offending in Article 8(6) of the Achmea BIT… the CJEU’s concern about a tribunal applying EU law under the Achmea BIT is not directly transposable to the ECT”.

L’art. 26 ECT indica che un tribunale arbitrale deciderà le dispute in base all’ECT e alle regole applicabili e principi di diritto internazionale, non ritrovando in esso nessun riferimento al diritto domestico della parte contraente. Mentre nel caso Achmea il tribunale arbitrale doveva applicare il diritto domestico dello Stato ospitante che includeva anche il diritto europeo, i tribunali arbitrali costituiti in base all’ECT sono obbligati a decidere le dispute basandosi sul diritto internazionale. Qualora vi siano dei casi in cui il tribunale arbitrale applicherà il diritto nazionale, che nel caso di dispute intra-UE potrebbe includere il diritto europeo, esso verrà considerato meramente come fatto rilevante evitando di interpretarlo.

D’altronde è proprio questo ragionamento che pone le fondamenta sull’accoglimento del CETA da parte della CGUE nell’Opinion 1/17: ai sensi dell’art. 8.31(2) CETA, il Tribunale dovrebbe considerare il diritto domestico della parte contraente nella controversia solamente “as a matter of fact”. La CGUE preso atto che il CETA statuisce che il diritto applicabile  davanti al Tribunale CETA consiste esclusivamente nelle previsioni di tale accordo, come interpretate in base al diritto internazionale, dichiara che “the domestic law of each Party, of which EU law forms part in the case of the Member States, can be taken into account by that Tribunal only as a matter of fact, and the meaning ascribed to domestic law is not binding on the courts and tribunals or the authorities of the defendant Party”.

Perciò, qualora sia richiesta l’interpretazione della clausola arbitrale contenuta nell’ECT dovranno essere applicati gli artt. 31 e 32 VCLT, non essendoci alcuno spazio di applicazione dei Trattati Europei giacché il diritto europeo, per sua definizione, non costituisce i principi di diritto internazionale ai sensi dell’art. 31(3)(c) VCLT. A tale riguardo in Greentech v. Italy[20] il tribunale arbitrale ha statuito che “in the context of the arbitral jurisdiction created by the ECT, reference to international law cannot be stretched to include EU law, absent doing violence to the text which would be impermissible under the Vienna Convention on the Law of Treaties, which in Article 31(1) provides that a treaty “shall be interpreted in good faith in accordance with the ordinary meaning to be given to the terms of the treaty in their context and in light of its object and purpose”. Inoltre, nella medesima sede, il tribunale ha evidenziato la differenza semantica rinvenibile tra la versione francese ed inglese della sentenza Achmea: mentre la versione inglese si riferisce agli articoli 267 e 344 TFUE come “precluding provisions”, la versione francese riporta “s’opposent” che il tribunale ha interpretato come “a notion of tension or incompatibility rather than supervening illegality”. Dopo aver ritenuto che la sentenza Achmea non precludeva in linea di principio la giurisdizione arbitrale, il tribunale ha stabilito la compatibilità dell’ECT con gli ISDS intra-UE.

In aggiunta, il tribunale arbitrale nel caso Isolux v. Spain[21] ha sottolineato come l’ECT dovrebbe essere interpretato ai sensi dell’art. 32 VCLT, il quale statuisce che ai fini dell’interpretazione di un trattato “si potrà ricorrere a mezzi complementari d’interpretazione, ed in particolare ai lavori preparatori ed alle circostanze nelle quali il trattato è stato concluso”. Infatti, nessuna disconnection clause, ex art. 21 VCLT, che miri ad escludere l’applicazione dell’ECT nelle relazioni intra-UE è stata introdotta, ciò significando che l’Unione ha accettato l’ECT come redatto confermando in toto tutte le previsioni contenute in esso[22]. L’art. 46 ECT, infatti, recita in modo granitico “non si possono formulare riserve al presente Trattato”. Le medesime conclusioni si possono ritrovare in Vattenfall v. Germany[23] in cui, rigettando la richiesta da parte della Germania attinente alla pretesa mancanza di giurisdizione, il tribunale arbitrale osserva che l’Unione ha in passato incluso le disconnection clauses in altri trattati mentre nella bozza finale dell’ECT non vi è alcuna traccia di tale previsione – nonostante sia stata proposta dall’Unione durante i negoziati – ritenendo che le riserve furono volontariamente omesse.

Proseguendo con l’analisi della giurisprudenza arbitrale internazionale, in Charanne v. Spain[24], al fine di obiettare alla giurisdizione del tribunale arbitrale, la Spagna ha affermato che il meccanismo di risoluzione delle controversie contenuto nell’ECT è incompatibile con il diritto europeo. Ciò in base ad argomentazioni fondate sull’art. 344 TFUE che, regolando ogni aspetto concernente la responsabilità di uno Stato membro UE, impone che ogni disputa resti all’interno della giurisdizione delle istituzioni europee in quanto ne consegue l’applicazione e, di conseguenza, l’interpretazione del diritto europeo. Il tribunale arbitrale, rigettando tale affermazione, ha evidenziato come l’art. 344 TFUE si riferisca esclusivamente alle dispute tra Stati membri europei e non, invece, a quelle tra Stati membri ed investitori, intesi come entità private di tali Stati. Inoltre, il tribunale, richiamando la decisione della CGUE in Eco Swiss v. Benetton[25], afferma che non solo esso abbia il potere ma il dovere di applicare il diritto europeo, il quale diviene parte dell’ordinamento legale dello Stato automaticamente a seguito del suo accesso all’Unione. In più, citando la sentenza Electrabel v. Hungary, il tribunale ha concluso che l’art. 344 TFUE non mira a escludere le dispute intra-UE dalla giurisdizione dei tribunali arbitrali ma a fornire alla CGUE l’ultima parola su come interpretare il diritto europeo per garantirne l’interpretazione uniforme. Infine, viene ribadito come l’Unione abbia accettato l’eventuale esistenza degli arbitrati intra-UE investor-state, ai sensi dell’art. 26 ECT, allorquando essa stessa sia divenuta parte del trattato escludendo eventuali riserve che restringano l’applicabilità della clausola ISDS, ex art. 46 ECT.

In maniera non dissimile, il tribunale arbitrale nel caso RREEF Infrastructure v Spain[26] enfatizza il fatto che le parti dell’ECT non siano solamente l’Unione e i suoi Stati membri, ma anche gli Stati non-UE, dichiarando di conseguenza falsa l’affermazione secondo cui ratificando l’ECT gli Stati non europei abbiano accettato la prevalenza del diritto dell’Unione sull’ECT. In tal modo, dato che l’ECT costituisce la base legale della giurisdizione del tribunale, nel caso di contraddizioni tra l’ECT e il diritto UE il tribunale deve garantire la piena applicazione del primo. Un’affermazione supportata dall’art. 16(2) ECT, norma di conflitto che regola la relazione tra l’ECT e gli altri accordi – compresi quelli europei –, il quale richiede di determinare la gerarchia delle norme applicabili da una prospettiva di diritto internazionale pubblico e non europeo, riferendosi alle parti III e V del trattato. Il tribunale, infine, facendo suo il canone interpretativo adottato dalla CGUE nella sentenza Commission v. Germany[27], ha ritenuto, per quanto possibile, il diritto dell’Unione interpretabile in modo coerente con i trattati multilaterali conclusi dall’Unione stessa. Insomma, la partecipazione nelle negoziazioni e nella promozione dell’ECT da parte dell’Unione fa apparire alquanto improbabile l’impegno da parte di quest’ultima a siglare un trattato comportante delle obbligazioni che siano incoerenti ed incompatibili con il proprio diritto interno, specialmente alla luce dell’art. 207(3) TFUE che richiede al Consiglio e alla Commissione di assicurare che gli accordi conclusi dall’Unione siano compatibili con le sue norme e politiche interne.

Francamente, senza ambagi e perifrasi edulcoranti, pare comprensibile il comportamento dei tribunali arbitrali volto a rigettare le argomentazioni da parte degli Stati membri riguardo l’esistenza di una presunta ed implicita riserva volta a escludere l’applicazione dell’art. 26 nelle relazioni intra-UE. (Per ulteriori osservazioni basate sugli artt.  46 e 49 VCLT vedere il mio articolo precedente).

Pare, perciò, leggersi in filigrana un invito proveniente dal diritto internazionale indirizzato all’Unione che sembra volere suggerire a quest’ultima di evitare l’imposizione, ex post, a tutte le parti contraenti della sua visione, dettata da precisi interessi, su come le previsioni dell’ECT vadano interpretate ed applicate.

Di conseguenza, le previsioni dell’ECT sarebbero da applicare a tutte le parti contraenti senza eccezioni, sia negli arbitrati intra-UE che in quelli extra-UE. A tale riguardo, il tribunale arbitrale in Stadtwerke Munchen v. Spain[28], sostiene che nella sentenza Achmea la CGUE ha considerato esclusivamente la posizione di un tribunale costituito sulle basi di un trattato bilaterale di investimento tra due Stati membri. Perciò, l’art. 26 ECT non potrebbe essere assimilato all’art. 8 del BIT Olanda-Slovacchia, in quanto l’ECT non è un trattato bilaterale concluso tra due Stati membri ma un trattato multilaterale nel quale non vi sono solamente l’Unione e i suoi Stati membri ma anche altri Stati terzi fuori dal territorio europeo. Allo stesso modo in Landesbank v. Spain[29] il tribunale ha concluso che l’ECT costituisce un trattato multilaterale che annovera obbligazioni tra ognuna delle parti contraenti aventi i medesimi termini e i medesimi effetti tra di esse e non una rete di relazioni bilaterali, perciò differente da un BIT. Quindi, contrariamente ai BITs, l’ECT non è un accordo tra gli Stati membri UE ma un mixed agreement concluso tra Stati membri, Stati terzi e l’Unione Europea (quest’ultima parte in base alla sua capacità di concludere gli accordi internazionali). Inoltre, come espressamente confermato dalla CGUE nei paragrafi 57 e 58 della sentenza Achmea “it is true that, according to settled case-law of the Court, an international agreement providing for the establishment of a court responsible for the interpretation of its provisions and whose decisions are binding on the institutions, including the Court of Justice, is not in principle incompatible with EU law”.

Questa situazione di incertezza è fatta ben presente nel Termination Agreement[30] il quale riporta che il presente accordo verte sui trattati bilaterali di investimento interni all’Unione; che esso non si applica ai procedimenti tra Stati membri ai sensi dell’articolo 26 del trattato sulla Carta dell’energia. L’Unione e i suoi Stati membri tratteranno tale questione in un secondo tempo”.

Se l’incompatibilità esistesse esclusivamente riguardo alle dispute intra-UE, le previsioni inconciliabili potrebbero essere escluse tramite un accordo tra l’Unione e i suoi Stati membri. L’art. 41 VCLT prevede che la modifica dei trattati multilaterali tra un numero ristretto di parti, inter se agreement, è possibile qualora sia previsto dal trattato, o almeno non proibito, ma non può pregiudicare il godimento dei diritti o l’adempimento delle obbligazioni delle altre parti contraenti e non può riguardare una disposizione la cui deroga sia incompatibile con l’effettiva esecuzione dell’oggetto e dello scopo del trattato. Un inter se agreement, come la Commissione ritiene possa essere anche il Trattato di Lisbona, potrebbe non rispettare queste condizioni. Inoltre, l’art. 16 ECT nega qualsiasi deroga alle disposizioni in materia di investimenti nel caso di accordi precedenti o successivi, salvo che siano più favorevoli. Quindi, anche nel caso della validità di un accordo inter se resta dubbio che le previsioni per la risoluzione delle dispute investor-state non possano essere applicabili. Inoltre, gli investitori potrebbero semplicemente reindirizzare i loro investimenti attraverso società incorporate negli Stati contraenti non facenti parte dell’Unione per continuare a beneficiare delle protezioni offerte dall’ECT.

Orbene, qualora vi possa essere un concreto sviluppo sulle politiche di protezione degli investimenti europee e l’Unione non consideri più opportuna la partecipazione all’ECT dovrebbe rinegoziare i termini del Trattato o recedere da esso (come ha fatto l’Italia nel 2016) nelle modalità prescritte dall’art. 47 ECT e, eventualmente in un momento successivo congiuntamente agli Stati membri UE, concludere un association agreement con le restanti parti dell’ECT in base all’art. 43 ECT. Senonché questa ipotesi comporta l’attivazione della sunset clause con una durata di 20 anni, ex art. 47 ECT, e lascerebbe impregiudicate le cause pendenti.

Conclusioni

Le critiche al Trattato si basano sull’ostacolo che quest’ultimo rappresenta alla nuova green economy. Il 15 luglio 2019, la Commissione fu autorizzata dal Consiglio ad entrare nelle negoziazioni in nome dell’Unione per la modernizzazione dell’ECT. L’obiettivo è riportare le previsioni dell’ECT, riguardanti la protezione degli investimenti, in linea con gli standard moderni relativi ai recenti accordi internazionali conclusi dall’Unione e in conformità con la posizione europea assunta sia nel UNICITRAL WG III[31] sia in ambito ICSID[32]. La proposta europea per la modernizzazione dell’ECT include anche previsioni riguardanti lo sviluppo sostenibile, i cambiamenti climatici e l’abolizione della protezione concessa agli investimenti in combustibili fossili, riferendosi in modo specifico all’Accordo di Parigi del 2015[33]. Gli emendamenti sono possibili ai sensi dell’art. 42 ECT ma a tale fine i membri europei, inclusa l’Unione e l’Euratom, sono ben lontani dal raggiungere da soli la maggioranza dei tre quarti necessaria.

L’obiettivo iniziale dell’ECT era quello di proteggere le compagnie petrolifere e del gas dal rischio politico risultante dagli investimenti nell’ex blocco comunista dopo il crollo dell’Unione Sovietica nei primi anni ’90. Da allora l’accordo si è ritorto contri i governi, i quali hanno subito un numero crescente di cause legali da parte delle aziende operanti nel settore energetico allorquando i loro piani di investimento risultavano frustrati dalla regolamentazione statale.

A settembre i parlamentari europei hanno chiesto che l’Unione si ritiri dal trattato in assenza di una riforma strutturale[34]. Il 2 dicembre Valdis Dombrovskis, Commission Executive Vice-President e Trade Commissioner, ha annunciato che le negoziazioni sono in uno stadio iniziale e la posizione dell’Unione è scongiurare per quanto possibile il ritiro dal Trattato evitando di attivare la sunset clause ventennale, concludendo: “If core EU objectives, including the alignment with the Paris Agreement, are not attained within a reasonable timeframe, the Commission may consider proposing other options, including the withdrawal from the ECT[35].

I detrattori dell’ECT ritengono[36], attualmente, che le aziende operanti nel settore dell’energia stanno utilizzando il trattato per rallentare la dipartita dai combustibili fossili, come dimostra il recente caso della società tedesca Uniper contro il governo olandese, con la conseguenza di sviluppare un chilling effect sulle autorità di regolamentazione[37]. La minaccia di richieste di arbitrato può essere sufficiente a dissuadere i governi dal legiferare nell’interesse pubblico.

Dalla prospettiva di una efficace amministrazione della giustizia la situazione risulta insostenibile. Due visioni opposte sulla medesima materia: secondo la CGUE l’esistenza stessa di un tribunale intraunionale in tema di investimenti è preclusa dal diritto europeo, mentre i tribunali arbitrali in disaccordo con questa tesi mantengono la loro giurisdizione per motivi di diritto internazionale. Come notò Witte: “neither system with its respective adjudicative body can forcefully subordinate the other to its will. Although either system with its respective adjudicative body maintains its claim to supremacy, the reality of their relationship is one of heterarchy[38].

Gli effetti della tensione tra Unione Europea e investment law non si limita al disaccordo tra due organi giudicanti. Per gli investitori, per gli Stati ospitanti e per le corti nazionali – sia all’interno dell’Unione che non – lo status quo crea incertezze[39]. Gli investitori che ricevono un risarcimento, a seguito della vittoria arbitrale, non possono renderlo esecutivo nei 27 Stati membri UE dovendo spendere ulteriore tempo e risorse per tentare di renderlo esecutivo in Stati non appartenenti all’Unione, senza alcuna garanzia di successo. Le corti domestiche europee, nel limbo tra contestare la giurisdizione del tribunale arbitrale o procedere a far rispettare i lodi arbitrali, dovranno scegliere tra due obbligazioni in competizione tra loro: quelle fondate sul diritto UE e quelle basate sugli accordi internazionali, compresi l’ICSID e la Convenzione di New York. Alla luce dei trattati europei, le corti dovranno garantire primaria efficacia ai loro obblighi di diritto europeo. Tuttavia, alle corti non europee, si pensi a quelle USA e UK[40], verrà richiesto di affrontare il tema dell’esecuzione dei giudizi arbitrali, immergendo così gli ordinamenti giuridici di molti attori a livello globale nelle acque torbide e confuse dell’aporetica coesistenza tra accordi sulla protezione degli investimenti[41]. Una situazione che gioca più in battere che levare.

 

[1] Il Trattato è disponibile qui: https://www.energycharter.org/fileadmin/DocumentsMedia/Legal/ECTC-en.pdf.

[2] In una prospettiva futura si sta assistendo ad una espansione geografica dell’ECT in Africa, Asia e America Latina attraverso un invito ad aderire indirizzato a: Pakistan, Burundi, Eswatini, Mauritania, Uganda, Bangladesh, Ciad, Cina, Gambia, Marocco, Niger, Nigeria, Panama, Senegal e Serbia.

[3] In precedenza, lo scorso ottobre la Svea Court of Appeal svedese rifiutò una richiesta da parte della Spagna al fine di consultare la CGUE prima di decidere se annullare il lodo ECT Greentech. (disponibile qui: https://www.italaw.com/sites/default/files/case-documents/italaw11962.pdf. Per altre decisioni simili vedere qui: https://www.italaw.com/sites/default/files/case-documents/italaw11380.pdf, https://www.italaw.com/sites/default/files/case-documents/italaw11533.pdf). Molti Stati membri, inclusa la Spagna, sono anche intervenuti nel caso davanti alla CGUE Moldova v. Komstroy (disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A62019CN0741) richiedendo alla Corte di prendere posizione sull’applicazione della sentenza Achmea nelle dispute intra-UE alla luce dell’ECT, nonostante la questione intraunionale non fosse formalmente rilevante nella disputa.

[4] G. Croisant, H. Ingwersen, “Belgium Seeks CJEU’s Opinion on the Future Interaction between a Modernised ECT and EU law”, 2020. Disponibile qui: http://arbitrationblog.kluwerarbitration.com/2020/12/10/belgium-seeks-cjeus-opinion-on-the-future-interaction-between-a-modernised-ect-and-eu-law/.

[5] La bozza è disponibile qui: https://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2020/may/tradoc_158754.pdf.

[6] Seppur molti dubbi rimangono in merito alla questione. Problematica che rinvio ad un prossimo articolo.

[7] Nei primi dieci anni, dal 1998 al 2008, sono stati registrati solo 19 casi mentre il trend negli ultimi cinque anni, dal 2013 al 2017, è variato facendo aumentare a 75 le cause intentate dagli investitori. Inoltre, nei primi 15 anni gli Stati coinvolti erano per la maggior parte quelli dell’Europa Centro-Orientale e dell’Asia Centrale, tuttavia ad oggi gli imputati in testa alla lista degli Stati più colpiti sono la Spagna e l’Italia. L. Parola, T. Arnoni, V. Nobile, F. Angelini, L’Energy Charter Treaty e le controversie tra Stati e investitori stranieri, 2019.

[8] Disponibile qui: http://curia.europa.eu/juris/liste.jsf?num=C-284/16&language=IT.

[9] Si tenga conto che l’art. 27(3) ECT prevede esplicitamente, infatti, che gli arbitri siano scelti dalle parti contraenti della disputa.

[10] Disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=COM%3A2018%3A547%3AFIN.

[11] La maggioranza degli Stati membri, tra cui Belgio, Cipro, Danimarca, Francia, Germania, Olanda, Polonia e Regno Unito hanno sostenuto che la sentenza Achmea si applichi agli arbitrati investitore-Stato intraunionali alla luce dell’ECT. Tuttavia, Finlandia, Lussemburgo, Malta, Slovenia, Svezia e Ungheria si sono rifiutati di dare una risposta al quesito riguardante le implicazioni della sentenza citata sul Trattato in esame.

[12] La versione moderna proposta dall’Unione prevede l’accesso ad una corte multilaterale come via alternativa ma tale corte non soddisferà ugualmente il criterio di corte o tribunale di uno Stato membro abilitata/o a compiere un rinvio pregiudiziale. Anche qualora lo fosse, essa non rappresenterebbe il solo foro disponibile e un arbitrato ad hoc rimarrebbe comunque un’opzione per gli investitori. J. Tropper, “The Energy Charter Treaty and its (in)compatibility with EU law: To be or not to be, that is the question?, 2020. Disponibile qui: https://voelkerrechtsblog.org/the-energy-charter-treaty-and-its-incompatibility-with-eu-law/.

[13] Disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A62003CJ0459.

[14] Disponibile qui: https://www.italaw.com/cases/documents/7326.

[15] Disponibile qui: https://www.italaw.com/sites/default/files/case-documents/italaw10512.pdf.

[16] Disponibile qui: https://www.italaw.com/sites/default/files/case-documents/italaw11360.pdf.

[17] Disponibile qui: http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=213502&doclang=EN.

[18] Tuttavia si tenga a mente che la CGUE non riterrebbe possibile inferire dal mero fatto che l’Unione abbia concluso un accordo che tale accordo sia compatibile con i Trattati. Una cosa è certa, l’ECT è il modello a cui non fare riferimento per la redazione di futuri meccanismi di risoluzione delle controversie negli IIAs europei.

[19] Eskosol S.p.A. in liquidazione v. Italian Republic, Decision on Termination Request and Intra-EU Objection. Disponibile qui: https://www.italaw.com/cases/documents/7326.

[20] Disponibile qui: https://www.italaw.com/cases/7138.

[21] Disponibile qui: https://www.italaw.com/cases/5893.

[22] Una proposta di riserva è stata proposta dalla Commissione, agendo nel nome dell’Unione, al fine di escludere l’applicazione dell’ECT all’interno del territorio europeo. Tuttavia, questa proposta è rimasta tale non andando al di là del mero quadro negoziale con conseguente ratifica del Trattato senza di essa.

[23] Disponibile qui: https://www.italaw.com/cases/1654.

[24] Disponibile qui: https://www.italaw.com/cases/2082.

[25] Disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A61997CJ0126.

[26] Disponibile qui: https://www.italaw.com/cases/2317.

[27] Disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A61994CJ0061&print=true.

[28] Disponibile qui: https://www.italaw.com/cases/7791.

[29] Disponibile qui: https://www.italaw.com/cases/7586.

[30] Il testo del trattato è disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX:22020A0529(01).

[31] Per consultare le sessioni vedere qui: https://uncitral.un.org/en/working_groups/3/investor-state.

[32] L’ultimo Working Paper è disponibile qui: https://icsid.worldbank.org/sites/default/files/WP_4_Vol_1_En.pdf

[33] Disponibile qui: https://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2020/may/tradoc_158754.pdf.

[34] Disponibile qui: https://www.euractiv.com/section/energy/news/obsolete-energy-charter-treaty-must-be-reformed-or-ditched-lawmakers-say/.

[35] Disponibile qui: https://www.iareporter.com/articles/ec-puts-eu-withdrawal-from-ect-on-the-table-while-belgium-asks-eu-court-for-opinion-on-modernization-proposal/.

[36] Per un’ampia disamina attinente ai problemi dell’ECT vedere qui: https://www.somo.nl/wp-content/uploads/2020/12/Busting-the-myths-around-the-Energy-Charter-Treaty.pdf.

[37] Al fine di raggiungere l’ambizioso obiettivo di limitare il riscaldamento globale stabilito dall’Accordo di Parigi  (disponibile qui: https://unfccc.int/process/conferences/pastconferences/paris-climate-change-conference-november-2015/paris-agreement) molti Stati europei hanno deciso di eliminare gradualmente la produzione di carbone. Recentemente l’azienda tedesca Uniper sta valutando la possibilità di presentare un reclamo, si pensa di 850 milioni di euro, nei confronti dei Paesi Bassi a causa di una nuova legge olandese che vieta la produzione di energia a carbone dopo il 2030 e che comporterebbe la chiusura della nuova centrale elettrica, operante dal 2016, sul Maasvlakte a Rotterdam. La pretesa è fondata sugli artt. 10 e 13 ECT i quali rispettivamente prevedono che le parti sono obbligate a fornire un trattamento giusto ed equo (FET) agli investimenti e la piena compensazione in caso di espropriazioni dirette e indirette. Nonostante una misura legislativa non discriminatoria, la quale ricade nei police powers dello Stato ai fini di prevenire danni climatici, non sia soggetta a risarcimento anche qualora essa sia equivalente ad una espropriazione, l’approccio dei tribunali arbitrali risulta non prevedibile con sicurezza. P. Niemela, H. van Asselt, “Risky business: Uniper’s potential investor-state dispute against the Dutch coal ban”, 2020. Disponibile qui: https://www.ejiltalk.org/risky-business-unipers-potential-investor-state-dispute-against-the-dutch-coal-ban/.

[38]  I  Witte,  “Interaction  between  International  Investment  Law  and  Constitutional  Law:  Promoting  the  Dialogue.  A  European  Perspective  on  Judicial  Cooperation  and  Deference”, 2018, Max  Planck  Yearbook  of  United  National  Law  Online, 469,  516.

[39] Attualmente, secondo il Segretario ECT, vi sono 43 arbitrati intra-UE pendenti. Inoltre, in molti casi quando un procedimento arbitrale si conclude con un giudizio a favore dell’investitore, le procedure di annulamento e di esecuzione sono oggetto di contestazione dinanzi ai giudici nazionali.

[40] Si pensi alla Romania nel caso Micula I: https://www.italaw.com/cases/697. Nell’ambito energetico, il Regno Unito, oltre a essere parte dell’ECT, è firmatario della Geneva Convention on the Continent Shelf del 1958 e dell’UN Convention on the Law of the Sea. Inoltre, riguardo il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali gli UK sono parte della Convenzione di New York, della Geneva Convention on the Execution of Foreign Arbitral Awards del 1972 e dell’ICSID.

[41] G. Szilárd, U. Maxim, “The Uneasy Relationship between Intra-EU Investment Tribunals and the Court ofJustice’s Achmea Judgment”, 2019. Disponibile qui: .

Stefano Mogavero

e-mail: mogaste@gmail.com

Lascia un commento