La massima.
Il reato di molestia o disturbo alle persone può essere realizzato anche con una sola azione, non essendo per sua natura necessariamente abituale (Cass. pen., Sez. I, 19.12.2022, n. 48002).
Il caso.
La sentenza origina dal ricorso presentato dal difensore dell’imputato contro la sentenza emessa dal Tribunale in composizione monocratico che aveva ritenuto sussistente la penale responsabilità del soggetto in ordine al reato di cui all’art. 660 c.p.-
Il gravame si basava sulla mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativa alla qualificazione della condotta in termini di molestia, l’assenza del requisito della petulanza, già escluso per il primo episodio e residuato soltanto per uno degli ulteriori ed infine, nell’ultimo motivo, si censura per vizio argomentativo la valutazione della testimonianza della persona offesa, che – a detta della ricorrente – è stata smentita dagli altri testimoni assunti nel dibattimento.
La sentenza.
Nel ritenere il ricorso inammissibile la Corte rileva che: «La petulanza è una delle caratteristiche costitutive della contravvenzione ex art. 660 c.p., per tale intendendosi un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nell’altrui sfera di libertà (Sez. 1, n. 6064 del 6/12/2017, dep. 2018, Girone, Rv. 272397), che deve ricorrere nella struttura stessa del reato: in tal senso la petulanza attiene al perimetro della condotta penalmente rilevante, ed è antecedente alla verifica dell’elemento soggettivo, che consiste nella volontà della condotta e nella direzione della volontà verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà (Sez. 1, n. 11755 del 01/10/1991, Poli, Rv. 188987)».
A nulla poi rileva la tesi difensiva inerente in numero degli episodi in quanto il reato di molestia o disturbo alle persone può essere realizzato anche con una sola azione, non essendo per sua natura necessariamente abituale.
Parimenti la doglianza inerente la mancata presentazione della querela non sarebbe fondata in quanto la contravvenzione di cui all’art. 660 c.p. è procedibile d’ufficio.
In merito poi al vizio argomentativo quanto alla valutazione della testimonianza della persona offesa la Suprema corte richiama il proprio orientamento affermando che: «Le regole dettate dall’art. 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone” (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214). È stato altresì precisato che, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi, i quali possono consistere in qualsiasi elemento idoneo ad escludere l’intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione (Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312)».
La Corte di cassazione ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
La sentenza è qui disponibile Cass. pen., Sez. I, 19.12.2022, n. 48002
Nato a Treviso, dopo il diploma presso il liceo classico Cavanis di Venezia ha conseguito la laurea in Giurisprudenza (Laurea Magistrale a Ciclo Unico), presso l’Università degli Studi di Verona nell’anno accademico 2016-2017, con una tesi dal titolo “Profili attuali del contrasto al fenomeno della corruzione e responsabilità degli enti” (Relatore Chia.mo Prof. Avv. Lorenzo Picotti), riguardante la tematica della corruzione e il caso del Mose di Venezia.
Durante l’ultimo anno universitario ha effettuato uno stage di 180 ore presso l’Ufficio Antimafia della Prefettura UTG di Venezia (dirigente affidatario Dott. N. Manno), partecipando altresì a svariate conferenze, seminari e incontri di studio.
Ha svolto la pratica forense presso lo Studio dell’Avv. Antonio Franchini, del Foro di Venezia; ha inoltre effettuato un tirocinio di sei mesi presso il Tribunale di Sorveglianza di Venezia in qualità di assistente volontario.
Nella sessione 2019-2020 ha conseguito l’abilitazione alla professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia ed è attualmente iscritto all’Ordine degli Avvocati di Venezia.
Da gennaio a settembre 2021 ha esercitato la professione di avvocato presso lo studio legale associato BM&A; attualmente è associate dell’area penale e tributaria presso lo studio legale MDA di Venezia.
Da gennaio 2022 è Cultore di materia di Diritto Penale 1 e 2 presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Udine (Prof. Avv. E. Amati).
È socio della Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici” e membro della Commissione per la formazione e la promozione dei giovani avvocati; è altresì socio AIGA – sede di Venezia e di AITRA giovani.
Email di contatto: francescomartin.fm@gmail.com