martedì, Aprile 23, 2024
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Cessata materia del contendere o sopravvenuta carenza di interesse?

Il processo amministrativo si conclude, di solito,  con una sentenza di rito o di merito a seconda che la decisione incida su questioni pregiudiziali, sui presupposti dell’azione o sulle sue condizioni ovvero sia tesa ad accertare se sussistano o meno i vizi dedotti in giudizio; sono previste, però, ulteriori circostanze in cui l’ordinamento prevede l’estinzione del rapporto processuale non più necessario  pur essendo richiesta, in ogni caso, una pronuncia del giudice amministrativo che le dichiari.

Tra le cause che determinano l’estinzione del processo rientrano l’istituto della cessata materia del contendere e quello della sopravvenuta carenza di interesse[1], i quali sono caratterizzati da numerose affinità tanto che in dottrina si è spesso discusso sull’utilità del secondo rispetto al primo.

Ma qual è il discrimen che permette di distinguere le due figure?

Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4191 del 9 luglio 2018[2] è intervenuto proprio sulla questione facendo luce sulle differenze ed i presupposti che regolano la  cessazione della materia del contendere e la sopravvenuta carenza di interesse e facendo emergere come la sottile linea di demarcazione tra i due istituti sia rappresentata dalla soddisfazione del bene della vita.

 

La sentenza in commento si apre con l’elenco dei consolidati principi giurisprudenziali che disciplinano l’istituto della cessazione della materia del contendere[3] e che il Collegio riassume nei seguenti punti:

  1. può essere pronunciata nel caso in cui il ricorrente abbia ottenuto in via amministrativa il bene della vita atteso, sì da rendere inutile la prosecuzione del processo stante l’oggettivo venir meno della lite[4];
  2. si differenzia dalla sopravvenuta carenza di interesse ex art. 35, comma 1, lett. c) c.p.a. che, invece, si verifica quando l’eventuale accoglimento del ricorso non produrrebbe più alcuna utilità al ricorrente, facendo venir meno la condizione dell’azione dell’interesse a ricorrere[5];
  3. è caratterizzata dal contenuto di accertamento nel merito della pretesa avanzata e dalla piena soddisfazione eventualmente offerta dalle successive determinazioni assunte dall’amministrazione[6]. Secondo la giurisprudenza amministrativa mentre, da un lato, la cessazione della materia del contendere può essere dichiarata solo nel caso in cui la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta potendosi, dall’altro lato, nel caso in cui il ricorrente ha comunque dimostrato di ritenere soddisfatta la propria posizione giuridico-soggettiva (sia pure entro ambiti ridotti rispetto all’originaria pretesa) e, dunque, non più utile alla sua salvaguardia la decisione nel merito della controversia, occorre dichiarare l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse, in questo caso basandosi anche solo sulla dichiarazione del titolare del ricorso;
  4. qualora sia dichiarata in sede di impugnazione comporta la rimozione della sentenza impugnata in quanto priva di attualità con conseguente perdita di ogni effetto della stessa anche per ciò che attiene all’eventuale condanna al pagamento delle spese[7];
  5. in mancanza di accordo delle parti, il giudice deve procedere all’accertamento virtuale sulla fondatezza dell’originaria pretesa ai fini del regolamento delle spese di lite[8].

Dalla lettura combinata dei principi appena elencati emerge dunque  che, la cessata materia del contendere (direttamente regolamentata dal legislatore con l’art. 35 del codice del processo amministrativo) è accomunata a quella limitrofa della sopravvenuta carenza di interesse (di stretta elaborazione giurisprudenziale) per la disciplina, che determina in entrambi i casi l’estinzione del ricorso, e per la tipologia di fatto di origine, che è sempre un ulteriore provvedimento della pubblica amministrazione che interviene nel rapporto in contestazione.

Tuttavia, sottolineano i Giudici di Palazzo Spada, le due figure si differenziano tra loro nettamente per la diversa soddisfazione dell’interesse leso.

Infatti la cessazione della materia del contendere può essere prospettata come causa estintiva del processo, nel merito, solo quando la pretesa del ricorrente, ovvero il bene della vita cui aspira, ha trovato piena e comprovata soddisfazione in via extragiudiziale sì da rendere del tutto inutile la prosecuzione del processo stante l’oggettivo venir meno della lite; è decisivo che la situazione sopravvenuta soddisfi in modo pieno ed irretrattabile il diritto o l’interesse legittimo esercitato, così da non residuare alcuna utilità alla pronuncia di merito[9].

La sopravvenuta carenza di interesse opera, invece,  solo quando nel corso del giudizio sopraggiunge una situazione di fatto o di diritto che determina una nuova valutazione dell’assetto del rapporto tra Pubblica Amministrazione e l’amministrato, e che rende inutile la prosecuzione del giudizio ed una pronuncia di merito[10]; si verifica, in sostanza, una situazione oggettivamente incompatibile con la realizzazione dell’utilità o della situazione di vantaggio alla quale mira il ricorso giurisdizionale medesimo, di modo che il suo esito eventualmente positivo per il ricorrente non potrebbe più giovare a quest’ultimo.

Nel caso sottoposto all’esame del Collegio si versa, senza dubbio in una ipotesi di cessazione della materia del contendere in quanto la ricorrente ha ottenuto, in pendenza di giudizio, l’Autorizzazione Unica del cui provvedimento di diniego aveva chiesto l’annullamento in primo grado; il bene della vita al quale aspirava ha dunque trovato piena soddisfazione rendendo inutile la prosecuzione del giudizio.

Un classico esempio di sopravvenuta carenza di interesse, infine, può essere ravvisato nel caso in cui una società abbia interposto ricorso avverso il provvedimento di aggiudicazione definitiva adottato da un Comune nei confronti di un’altra società ed, a seguito dell’accoglimento dell’istanza cautelare da parte dell’adito T.A.R., l’Amministrazione intimata proceda con la rinnovazione degli atti del sub-procedimento di verifica di anomalia dell’offerta; in tal caso l’originario provvedimento oggetto di gravame è stato sostituito, nel corso del giudizio, da un nuovo provvedimento, non impugnato, e questo rende inutile la prosecuzione del giudizio in quanto anche in caso di accoglimento del ricorso verrebbe annullato l’originario provvedimento di aggiudicazione non più produttivo di effetti.

 

[1] Le altre cause che determinano l’estinzione del processo sono:

  • La perenzione;
  • la decadenza per mancata riassunzione del ricorso;
  • la rinuncia al ricorso.

[2] Nel caso sotteso il ricorrente (Energie per il Futuro 2 s.r.l.) aveva impugnato il provvedimento (del 17 aprile 2012) di diniego al rilascio dell’autorizzazione unica per la realizzazione e l’esercizio dell’impianto, delle opere connesse nonché delle infrastrutture indispensabili per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile eolica lamentando l’illegittimità dello stesso. Tuttavia, nelle more del giudizio, il dirigente della sezione infrastrutture energetiche e digitali della Regione Puglia aveva provveduto al rilascio dell’Autorizzazione Unica richiesta, sicché il ricorrente aveva dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse alla pronuncia giudiziale, insistendo tuttavia sulla domanda di risarcimento del danno sia sotto il profilo delle spese inutilmente sostenute che per la perdita degli incentivi economici previsti dalla legge nel caso la realizzazione dell’impianto fosse avvenuta entro il 31 dicembre 2012.

[3]  Istituto di creazione giurisprudenziale ora disciplinato dall’art. 34, co. 5, c.p.a.; sulla base della disposizione appena citata, qualora la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta nel corso del giudizio il giudice deve dichiarare, con sentenza di merito, cessata la materia del contendere.

[4] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 febbraio 2018, n. 1135; sez. IV, 22 gennaio 2018, n. 383; sez. IV, 7 maggio 2015, n. 2317.

[5] Cons. Stato, sez. IV, 24 luglio 2017, n. 3638.

[6] Cons. Stato, sez. IV, 20 novembre 2017, n. 5343; sez. IV 28 marzo 2017, n. 1426.

[7] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 dicembre 2014, n. 6338; sez. V, 5 marzo 2012, n. 1258, sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6541.

[8] Cons. Stato, sez. IV, 28 giugno 2016, n. 2909.

[9] Cons. Stato, sez. V, 5 marzo 2012, n. 1258.

[10] In questo caso, dunque, il bene della vita al quale il ricorrente aspira, non ha  trovato piena e comprovata soddisfazione in via extragiudiziale come accade nell’ipotesi di cessata materia del contendere.

Paola Verduni

contatti: pverduni90@gmail.com

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