venerdì, Luglio 26, 2024
Criminal & Compliance

Commento alla recente sentenza della Corte costituzionale n. a 146/2023 sulla ipotesi in cui non ricorra alcuna circostanza aggravante e sussistano gli estremi della circostanza attenuante a effetto speciale del concorso di colpa della vittima nella causazione del sinistro mortale, di cui all’art. 589-bis, settimo comma, codice penale

A cura di Simona Patrone

Premessa.

Nell’ottica di inasprire le pene nei casi di incidente stradale al seguito del quale si abbia il decesso della vittima, il legislatore, probabilmente convinto della portata deterrente di cornice punitiva più aspra, ha introdotto con la L. 41/2016 il delitto di cui all’art. 589 bis c.p., rubricato “omicidio stradale”.

Non può però sfuggire, all’attenzione degli addetti ai lavori, che, tuttavia, le pene debbano, o almeno dovrebbero essere, “cucite” sul caso di specie e sulle sue peculiarità.

Il presente lavoro, pertanto, si pone nell’ottica di analizzare gli interessanti spunti della recente pronuncia della Corte Costituzionale, sollecitata dal GUP del Tribunale ordinario di Torino, sulla possibilità o meno di poter applicare l’istituto della messa alla prova ex art. 168 bis del c.p.p. al reato in parola.

 

  1. Gli elementi costitutivi del delitto di omicidio stradale.

Il delitto ex art. 589 bis c.p., si configura come fattispecie delittuosa autonoma rispetto al reato di omicidio colposo[1] .

A tal proposito, la giurisprudenza aveva oramai chiarito che la condotta di chi guidi in stato di ebbrezza non potesse essere sussunta in una ipotesi di omicidio volontario nella forma del dolo eventuale.

Infatti, aderendo alle recenti teorie volitive, si era negato che l’agente potesse rispondere a titolo di dolo, dato che, pur essendo la sua condotta altamente spregiudicata, non poteva certo dirsi che egli avesse in qualche modo accettato l’evento morte.

Va considerato che creando una norma ad hoc, il legislatore ha deciso di sottrarre la precedente disposizione normativa in merito (ovvero la previsione dell’omicidio colposo stradale come mera aggravante dell’omicidio colposo ex art. 589 c.p.) al giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69 c.p..

Ad oggi, dunque, la norma sull’omicidio stradale, prevede diverse ipotesi di condotta penalmente rilevante.

Vengono, difatti, in rilievo, stando al mero dato testuale, innanzitutto tutti casi in cui il fatto venga commesso con violazione delle norme sulla corretta circolazione stradale ma anche le ipotesi collegate alle condizioni psico-fisiche nelle quali si trova il soggetto conducente del veicolo.

Da un punto di vista meramente dogmatico, la fattispecie in questione è un reato comune, di danno, a natura colposa, posto a tutela della vita umana.

È un reato comune in quanto può essere posto in essere da “chiunque”.[2]

È un reato di danno perché la sua integrazione postula la lesione del bene giuridico tutelato costituito dalla vita umana, che ci concretizza nell’uccisione colposa della vittima.

È un reato colposo, in quanto l’elemento psicologico espressamente richiesto dal legislatore è costituito dalla colpa specifica, che ricorre quando l’evento, anche se previsto, non è voluto dall’agente e si verifica per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, come per ogni ipotesi contestata in capo all’agente a titolo di colpa.

La norma, tuttavia, prevede un contemperamento delle esigenze e, sul punto, la giurisprudenza ha affermato che il principio dell’affidamento trova, in tema di circolazione stradale, un temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché, questo rientri nel limite della prevedibilità, come nel, a titolo esemplificativo, in cui il conducente del veicolo investitore  si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di “avvistare” il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti.

Ciò implica che il comportamento colposo della vittima possa arrivare ad escludere la responsabilità dell’omicida, quando costituisca una causa eccezionale, atipica, non prevista né prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a condurre all’evento morte.

Tant’è vero che al comma 7 dell’art.589 – bis c.p. il legislatore ha previsto una specifica attenuante ad effetto speciale, per il caso in cui sull’evento delittuoso, sfociato nell’evento morte, abbia inciso la condotta tenuta dalla vittima.

 

  1. La parola al GUP.

L’attenuante speciale in questione può essere riconosciuta in tutti i casi in cui la concausa dell’omicidio stradale sia costituita da un comportamento colposo della vittima, di terzi o da una qualunque concorrente causa esterna, anche non costituita dalla condotta umana.[3]

E proprio partendo da questo assunto, il GUP del Tribunale ordinario di Torino ha sollecitato l’intervento della Consulta, avendo dovuto negare l’ammissione all’istanza di messa alla prova avanzata dall’imputato che astrattamente sarebbe potuta rientrare nella previsione del settimo comma dell’articolo 589 bis c.p..

Il Giudice, cioè, ha osservato che nel regime attualmente applicabile è possibile riconoscere anticipatamente tale attenuante solo nella misura minima di riduzione che corrisponde ad un solo giorno.

Ciò ha impedito, così, nonostante tutti gli indici positivi ascrivibili all’imputato, di concedergli l’ammissione alla messa alla prova con corrispondente sospensione del processo.

Nel caso di specie, il Giudice, ha deciso di sollevare, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, c.p., nella parte in cui non consente l’astratta ammissibilità della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato in ipotesi di omicidio stradale allorché non ricorra alcuna aggravante e sussistano gli estremi dell’attenuante ad effetto speciale del concorso di colpa della vittima nella causazione del sinistro mortale.

Secondo il Gup rimettente, cioè, l’impedimento all’ammissibilità alla map sarebbe da ricondursi esclusivamente alla cornice edittale di pena che, per il reato base (cioè non circostanziato), è la reclusione da due a sette anni; pena che, per effetto dell’attenuante del settimo comma, potrebbe essere diminuita anche «fino alla metà» sicché nel minimo potrebbe essere la reclusione di un anno, ma nel massimo, potendo la pena essere diminuita anche di un solo giorno, rimarrebbe comunque superiore alla soglia massima prevista per poter ottenere l’ammissione al programma di messa alla prova.

In particolare, nell’ordinanza di rimessione, il Giudice ha ragionato in tal senso  «nel caso dell’omicidio stradale, la pena edittale massima, ove anche ridotta in ragione dell’applicazione dell’attenuante ad effetto speciale di cui al settimo comma dell’art. 589-bis cod. pen. – qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole – rimarrebbe comunque superiore alla soglia di ammissibilità della messa alla prova perché in generale, nel caso di prevista possibile diminuzione fino a metà (e non già della metà) della pena, la riduzione – secondo la giurisprudenza (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 3 novembre-22 dicembre 2020, n. 36915) – può essere, nel minimo, di un solo giorno, con la conseguenza che la pena massima irrogabile sarebbe comunque ben più elevata della soglia della pena prevista dall’art. 168-bis cod. pen.».[4]

Il rimettente muove dalla considerazione che, nell’ipotesi in cui concorra l’attenuante di cui all’art. 589-bis, settimo comma, c.p., si determina una sensibile attenuazione della gravità concreta del reato, sia sul piano oggettivo che sul piano soggettivo: da un lato, infatti, l’attenuante in parola, in deroga al principio generale di cui all’art. 41 c.p., attribuisce rilievo al concorso di cause diverse dall’azione od omissione del colpevole, sicché il giudizio sulla gravità di tale condotta deve tenere conto del fatto che essa non è la causa esclusiva dell’evento, dall’altro lato, in una con la riduzione dell’apporto causale del colpevole, si determinerebbe anche una decisa riduzione del grado della colpa ad esso addebitabile.

 

  1. La pronuncia della Consulta.

Ebbene, nonostante dette premesse, i Giudici della Corte Costituzionale hanno ritenuto infondata la questione sollevata.

In particolare, pur dando pienamente conto dell’esistenza di una giurisprudenza maggioritaria volta ad  ampliare il perimetro della concedibilità della messa alla prova,[5] la Corte Costituzionale ha precisato che appartiene alle scelte di politica criminale del legislatore una tale opzione, la quale, laddove venisse adottata e positivizzata, non potrebbe essere limitata, certamente,  alla sola attenuante di cui al settimo comma dell’articolo 589 bis c.p. ma dovrebbe riguardare in generale il criterio di computo delle attenuanti ad effetto speciale, in tutti i casi di valutazione di ammissione alla messa alla prova.

Sul punto, la Consulta ha afferma che “ove risultasse in giudizio che effettivamente l’evento non sia stato esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione dell’imputata del reato di omicidio stradale, in ragione del concorso di colpa della vittima, la pena potrebbe essere ridotta fino a metà di quella prevista per il reato non circostanziato e, in tal modo, soccorrerebbero altri istituti (quali le misure alternative alla detenzione, nonché la sospensione condizionale della pena), parimenti ispirati ad evitare la condanna ad una pena che possa essere percepita come non proporzionata e quindi tale da non favorire la risocializzazione del condannato”.

 

  1. Le conclusioni e l’input al Legislatore.

Tutto ciò premesso, le sollevate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, c.p. non sono fondate, innanzi tutto in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost., sotto il profilo della denunciata disparità di trattamento, coniugata alla censura di irragionevolezza intrinseca per la mancata rilevanza delle attenuanti ad effetto speciale e segnatamente di quella prevista per il reato di omicidio stradale dal settimo comma dell’art. 589-bis c.p., considerato anche il dato che il legislatore, anche dopo la recente riforma del 2022 (d.lgs. n. 150 del 2022) che ha lasciato invariato, in questa parte, il disposto dell’art. 168-bis c.p., è rimasto fermo nell’iniziale scelta di individuare i reati, per i quali è consentita la messa alla prova, sulla base della pena edittale detentiva prevista in misura non superiore nel massimo a quattro anni; pena che, in quanto «edittale», è riferita alla fattispecie del reato non circostanziato.

Si tratta di una scelta di politica criminale rimessa alla discrezionalità del legislatore, il quale non irragionevolmente ha fissato una soglia di pena massima irrogabile, quale discrimen per l’accesso al beneficio, e ciò ha fatto con riferimento a quella edittale, prevista per il reato base non circostanziato, senza quindi dare rilievo alle circostanze né aggravanti né attenuanti, quantunque ad effetto speciale.

La vicenda in esame, certamente, ha avuto il merito di porre l’attenzione su un tema di particolare attualità ed allo stesso tempo ricco di implicazioni in termini procedurali ma anche sostanziali.

Difatti, la Corte Costituzionale, in chiusura della sua decisione di non fondatezza della ha rimarcato rimane la criticità segnalata dal giudice rimettente e che di  ciò non potrà non farsi carico il legislatore.

 

  1. Conclusioni

Certo sarebbe senza altro auspicabile un intervento in tal senso da parte del Legislatore, che nell’ottica di assicurare la piena realizzazione della finalità rieducativa della pena, in un senso maggiormente orientato costituzionalmente, potrebbe prevedere dei margini di applicabilità rimessi alla valutazione del giudice procedente, quantomeno nei casi in cui sia possibile avere una visione ex ante  favorevole all’ammissione al beneficio.

Ciò potrebbe, in ultimo, anche concretizzare maggiormente le finalità deflattive della cd. Riforma Cartabia.

[1] Cass. Pen., Sez. IV, 14 giugno 2017, n. 29721

[2] Con circolare ministeriale del 25 marzo 2016 il Ministero dell’Interno ha chiarito che il reato ricorre in tutti i casi di omicidio consumati sulle strade come definite dall’art. 2 comma 1 del Codice della strada “anche se il responsabile non sia il conducente” ma chi ha il compito di assicurare la manutenzione e pertanto rivesta una posizione di garanzia rispetto alla tutela della sicurezza stradale.

[3] A riguardo merita di essere ricordata la sentenza della Cass. Pen., Sez. IV, 07/11/2018, n. 54576 che ha annullato con rinvio la sentenza impugnata che non aveva riconosciuto l’attenuante in relazione ad un incidente stradale al quale aveva concorso anche l’attraversamento della carreggiata da parte di animali selvatici. In particolare la Corte ha precisato che l’attenuante speciale ricorre “certamente (ma non esclusivamente), nel caso in cui sia accertato il c.d. concorso di colpa tra il presunto responsabile e altro utente della strada, ad esempio – ma non necessariamente – la stessa vittima”; ha specificato che “la norma non evoca alcuna percentuale di colpa né in capo al colpevole, né in capo ad altri, con la conseguenza che anche una minima percentuale di colpa altrui può valere a integrare la circostanza attenuante” (nel caso sottoposto al suo esame lo spostamento sulla opposta corsia di marcia della vittima avrebbe anch’esso costituito una violazione del codice della strada) e che “sempre analizzando il contenuto dell’art. 589-bis comma 7 c.p. anche il concorso di cause esterne alla condotta non costituite da altre condotte umane può integrare l’attenuante in questione”.

[4] In Giurisprudenza penale: https://www.giurisprudenzapenale.com/2023/07/18/omicidio-stradale-messa-alla-prova-e-rilevanza-delle-attenuanti-ad-effetto-speciale-depositata-la-sentenza-n-146-2023-della-corte-costituzionale/#:~:text=146%2F2023%20

[5] In particolare, le SS.UU. investite della composizione del contrasto di giurisprudenza, hanno specificato che la pena edittale ex articolo 168-bis cp deve essere quella prevista per il reato non circostanziato e quindi, in particolare, non assumono a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato. Quindi l’effetto pratico di questo orientamento è che la messa alla prova è possibile anche in caso di reati che, tenendo conto dell’aggravante a effetto speciale, potrebbero essere puniti con una pena ben maggiore di quella di quattro anni di reclusione, stabilita come discrimine dall’articolo 168-bis del c.p.

Lascia un commento