venerdì, Luglio 26, 2024
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Il Trust con funzione successoria è un atto “Inter Vivos”

Nel nostro ordinamento la materia successoria è governata da un importante divieto:

il divieto dei patti successori ai sensi dell’articolo 458 del codice civile.

Precisamente, tale articolo dispone che: “Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti, è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi.”

Dunque, qualsiasi patto[1] volto a disporre della propria futura successione o di diritti ad essa relativi quando essa non è ancora aperta, ovvero la rinunzia ai medesimi da parte dei potenziali eredi quando essa non è ancora aperta, è nullo.

Tale divieto rappresenta il corollario del principio di libertà testamentaria e di libera revocabilità delle proprie volontà fino all’evento-morte, e precisamente, fino all’ultimo istante di vita.

Sulla base di questi principi chiunque è libero di scegliere se e come disporre dei propri beni per il tempo in cui avrà cessato di vivere, e di revocare quanto disposto fino a quando naturalmente possibile. Ne deriva che la volontà testamentaria non può tradursi in scelte operate in accordo con altri o da soggetti diversi dall’interessato su una successione non ancora aperta.

Il fondamento del divieto è stato rinvenuto dalla dottrina da un lato nell’art. 457 c.c., e quindi nel principio di tipicità degli atti di delazione ereditaria, dall’altro nel principio della revocabilità delle disposizioni testamentarie ex art. 587 c.c. Ma non solo. Anche nel bisogno di salvaguardare la libertà del de cuius e, infine, nella necessità di evitare che i beneficiari delle disposizioni possano esser tentati di provocare e/o facilitare la morte del disponente per conseguire in tempi più rapidi le sostanze loro attribuite.

Ciò premesso, una dibattuta questione giurisprudenziale ha riguardato la natura giuridica del Trust[2] istituito in vita dal disponente per trasmettere beni ai beneficiari con effetto dalla sua morte. Ci si è chiesti dunque se il Trust c.d. successorio[3] debba considerarsi un atto “inter vivos” ovvero un atto “mortis causa”.

Chiaramente la sua riconducibilità ad una o all’altra categoria di atti ha creato dubbi circa la sua compatibilità con il divieto di patti successori.

  1. Brevi cenni sul Trust

Il Trust è un istituto giuridico di origine anglosassone disciplinato dalla Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, ratificata dall’Italia con la l. n. 364/1989.

Attraverso il Trust un soggetto, definito disponente o “settlor”, per atto tra vivi o a causa di morte, destina alcuni beni al perseguimento di specifici interessi e scopi individuando un beneficiario, trasferendone la titolarità e la gestione ad un gestore, anche denominato “trustee”.

Detto strumento giuridico è a pieno titolo uno strumento di tutela, organizzazione e protezione del patrimonio poiché – come di seguito si approfondirà – i beni che vi rientrano costituiscono un patrimonio separato rispetto a quello del disponente ed anche rispetto a quello del gestore nominato dal disponente.

Peraltro, grazie alla adattabilità del Trust alle più svariate esigenze si possono perseguire sia finalità di protezione successoria, che di investimento. Si pensi alla pianificazione successoria ovvero ad operazioni di investimento in strumenti finanziari innovativi. Si può infatti costituire in Trust qualsiasi bene suscettibile di valutazione economica.

Quanto alla legge applicabile al Trust, è compito del disponente/costituente effettuare la scelta – che deve essere espressa – ovvero risultare dalle disposizioni dell’atto di costituzione.  Qualora non sia stata scelta alcuna legge, il Trust sarà regolato dalla legge con la quale ha più̀ stretti legami[4] (secondo vari criteri di collegamento quali ad esempio il luogo di gestione o di collocazione dei beni, la residenza dei soggetti coinvolti).

Trattasi allora di un negozio giuridico a struttura complessa, con un’unica causa, composto da due negozi: uno istitutivo, quale atto unilaterale avente natura programmatica per mezzo del quale il disponente chiarisce le modalità con cui il trustee amministrerà i beni vincolati, e uno o più negozi dispositivi, con i quali il disponente trasferisce al trustee i beni e i diritti designati, affinché costui se ne avvalga per raggiungere lo scopo stabilito a monte.

1.2. Quali effetti produce il Trust?

In primo luogo, come anticipato, si ha la c.d. segregazione patrimoniale: i beni conferiti in Trust vanno a formare un patrimonio separato rispetto al patrimonio personale non solo del settlor, ma anche del trustee. In questo modo i beni vincolati non possono essere aggrediti dai creditori del disponente o del gestore e neppure da quelli del beneficiario.

Inoltre, con il Trust si crea uno sdoppiamento della proprietà: la titolarità dei beni del trust, con tutti i diritti che vi sono connessi, viene attribuita al gestore; tuttavia, i beni destinati restano segregati nel Trust e restano, come visto, estranei al patrimonio personale sia del settlor che del trustee. Il Trust, infatti, viene amministrato dal trustee esclusivamente nell’interesse dei beneficiari individuati dal disponente o per il perseguimento degli scopi indicati dallo stesso[5].

  1. Il Trust con funzione successoria quale atto “Inter Vivos

Proprio in ragione del succitato divieto di patti successori è sorto il dibattito circa la natura giuridica del Trust istituito in vita dal disponente con effetti successori, e quindi da prodursi in favore dei beneficiari solo alla morte del disponente.

Secondo chi ha ritenuto che il Trust istituito a tali condizioni fosse un atto “mortis causa” la morte del disponente era da considerarsi la “causa” della trasmissione patrimoniale realizzata con il Trust.

Diversamente, secondo altri l’evento morte non era da considerarsi quale giustificazione causale dell’operazione bensì unicamente il momento nel quale detta trasmissione si realizza. Non costituendone la causa, quindi, l’atto di trasmissione patrimoniale risulta essere atto “inter vivos”.

Con provvedimento n. 18831 del 12 luglio 2019[6], le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito il contrasto affermando che il trust istituito per trasmettere un patrimonio ai beneficiari alla morte del disponente non ha la natura di un atto “a causa di morte” bensì quella di un atto “tra vivi”.

Con la suddetta pronuncia si è chiarito che non si è nell’ambito degli atti mortis causa in quanto il trust non comporta una “devoluzione mortis causa di sostanze” del disponente; piuttosto, è “costituito con atto “inter vivos” mediante cui si realizza un trasferimento patrimoniale dal disponente al trustee, il quale ha il compito fiduciario di gestire i beni ricevuti dal disponente e di devolverli ai beneficiari alla cessazione del trust. Costoro acquistano il patrimonio del trust “direttamente dal trustee e non già per successione mortis causa dal de cuius”.

Inoltre, il decesso del disponente non costituisce la causa della trasmissione patrimoniale ai beneficiari del trust, ma è il momento nel quale detta trasmissione avviene: la causa della trasmissione patrimoniale è l’istituzione e la dotazione del trust e l’incremento patrimoniale per i beneficiari trova la sua fonte direttamente nell’istituzione del trust.

Il trustee avrà l’obbligo di trasmettere i beni ai beneficiari nel momento in cui il trust cessa, ed è inquadrabile come un evento meramente attuativo di una costruzione già consolidata nel momento in cui il trust è stato istituito: «La morte del settlor non ha alcuna rilevanza causale, potendo al più individuare il momento di esecuzione dell’attribuzione finale».

  1. Conclusioni

In conclusione, sulla scorta di quanto affermato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite nel 2019, può ad oggi affermarsi che il cd. Trust successoriocon effetti “post mortem sia un atto “inter vivos,  e che sia poi qualificabile come donazione indiretta rientrante, in quanto tale, nella categoria delle liberalità non donative ai sensi dell’art. 809 c.c.

La costituzione del Trust avviene da parte del disponente mentre l’attribuzione ai beneficiari del patrimonio che ne costituisce la dotazione avviene per atto del trustee, e nell’operazione l’evento-morte rappresenta un mero termine o la condizione dell’attribuzione, senza costituire, come visto, giustificazione causale della stessa.

Da ultimo si distinguono le due figure di trust successorio e trust testamentario.

Il primo è istituito con atto inter vivos, e dispiega i suoi effetti anche prima della morte del disponente; il secondo è istituito con atto mortis causa e quindi con testamento. In questo caso il testamento non costituisce solo lo strumento con cui viene attuata la devoluzione dei beni nel Trust, ma assurge a vero e proprio atto istitutivo del Trust.

[1] Per la precisione sono vietati: i patti successori istitutivi con cui taluno dispone di una successione non ancora aperta ovvero, ad esempio, mediante i quali taluno venga nominato erede dal proprio futuro dante causa; i patti successori dispositivi, attraverso i quali un soggetto dispone per atto tra vivi di diritti che potrebbero essergli destinati all’apertura di una futura successione ed i  patti successori rinunziativi, attraverso i quali un soggetto rinuncia ai diritti che gli potrebbero spettare da una successione non ancora aperta.

[2] Il Trust è un istituto giuridico introdotto nel nostro ordinamento con la l. n. 364/1989, entrata in vigore nel 1992, per mezzo della quale l’Italia ha ratificato la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985.

[3] Rif. Studio n. 219-2019/C – Consiglio Nazionale del Notariato – https://notariato.it/wp-content/uploads/219-2019-C.pdf

[4] Rif. https://www.altalex.com/documents/news/2017/02/02/il-trust-nel-diritto-internazionale-privato

[5] Rif. https://www.officinanotarile.it/trust-cosa-serve/

[6] Provv. n. 18831 del 12 luglio 2019 SS.UU Corte di Cassazione consultabile qui:  https://sentenze.laleggepertutti.it/sentenza/cassazione-civile-n-18831-del-12-07-2019

Sofia Giancone

Avvocato e Dottoranda di Ricerca in diritto privato presso l'Università Tor Vergata - Roma Sofia Giancone fa parte di Ius In Itinere da maggio 2020. Ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza nel 2019 con Lode presso l'Università di Roma Tor Vergata, discutendo la tesi in Diritto Commerciale dal titolo: "Il software: profili strutturali, tutela giuridica e prospettive". Ha svolto la pratica forense in ambito civile e il tirocinio formativo in magistratura ex art. 73 d.l. 69/2013 presso la Corte d'appello civile di Roma. Successivamente ha approfondito i temi legati all'IP & IT e si è specializzata in Tech Law & Digital Transformation con TopLegal Academy. Si è occupata di consulenza e assistenza legale nell'ambito del Venture Building, innovazione e startup, contrattualistica di impresa. Ad ottobre 2022 ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense e ad oggi esercita la professione di Avvocato. Dal 2022 svolge inoltre il Dottorato di ricerca in diritto privato presso l'Università di Roma Tor Vergata. Profilo LinkedIn: linkedin.com/in/sofia-giancone-38b8b7196

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