mercoledì, Aprile 17, 2024
Labourdì

Condotte persecutorie sul luogo di lavoro: tra mobbing e demansionamento

  1. Negli ultimi tempi, sempre con maggior frequenza, si registrano nell’ambiente di lavoro comportamenti di marginalizzazione e umiliazione del lavoratore, la cui entità in alcuni casi determina dei concreti danni alla salute psicofisica nonché alla personalità della “vittima”.

È in questo contesto che ha trovato spazio la figura del “ Mobbing”. Si utilizza tale definizione per ricomprendere in un unico concetto l’insieme di atteggiamenti persecutori perduranti nel tempo. Le condotte, poste in essere generalmente da un superiore oda colleghi, si connotano in violenze morali, psicologiche e soprusi di entità così notevole da concretarsi anche in vere e proprie dequalificazioni professionali.

Trattandosi di un fenomeno sociale ancora recente, manca nell’ordinamento nostrano una legislazione funzionale a regolamentare il ristoro dei danni derivanti da questi comportamenti vessatori. Tuttavia l’evidente lesione del diritto alla salute, chiaramente tutelato dall’articolo 32 della Carta Costituzionale, ha fatto sì che la Giurisprudenza si pronunciasse al riguardo. La prima sentenza che ha riconosciuto valore al concetto di “Mobbing” è stata quella realizzata dalla Corte Torinese nel 1999. Nel caso di specie, si era dimostrato l’effettivo diritto della lavoratrice al risarcimento del danno biologico per la crisi depressiva che aveva contratto a causa delle continue vessazioni subite.  La donna, infatti, era stata costretta a lavorare per diversi anni in ambienti angusti, isolata dal resto dei colleghi.

Ciò che si evidenziava dalla pronuncia in esame era l’intento del giudice di strumentalizzare alcune disposizioni normative
, al solo fine di garantire una tutela al soggetto destinatario dei soprusi, laddove fosse stata accertata l’effettiva lesione del diritto alla salute e all’integrità fisica.

Per riconoscere responsabilità in capo agli autori di tale condotte lesive, si è ricorso, infatti, a disposizione del codice civile. Il diverso regime di imputazione muta in base alla qualifica del soggetto attivo. Laddove autore delle continue mortificazioni sia un collega viene a profilarsi un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale che fa capo all’art. 2043 c.c. Diversamente, se la condotta illegittima è stata posta in essere dal datore di lavoro, quest’ultimo sarà tenuto a rispondere per inadempimento del contratto di lavoro, ex articolo 2087 c.c.

L’onere della prova spetta, ovviamente, al lavoratore che deve essere in grado di dimostrare il nesso casuale che è intercorso tra il danno subito e il mancato rispetto delle misure prevista dalla legge da parte del datore stesso. Laddove le violenze psicologiche abbiano determinato un surplus, identificabile nell’assoggettamento a qualifiche inferiori rispetto al proprio incarico, il lavoratore ha diritto anche al reintegro nelle mansioni precedentemente svolte.

La circostanza per cui manchi una definizione normativa di Mobbing ha generato, però, non pochi problemi.

Nonostante le disparate pronunce tendano a evidenziare il carattere di potenzialità lesiva delle condotte, tale da escludere il configurarsi della fattispecie laddove il soggetto destinatario ne abbia piena percezione, non è sempre facile, in concreto, distinguerne i connotati.

Proprio le continue difficoltà hanno recentemente spinto il Tar Reggio Calabria, con sentenza n. 84 del 1 Febbraio 2017, a demarcare i confini, non sempre chiari, tra danno da mobbing e quello da demansionamento. Per la Corte investita della questione, il mobbing costituisce una condotta illecita caratterizza da intento persecutorio e da una sistematicità degli episodi. Ne consegue che non può configurarsi tutte le volte in cui vi sia una ragionevole spiegazione al comportamento del datore di lavoro o quando la pretesa risarcitoria si fondi su una condotta strumentale al corretto funzionamento dell’apparato imprenditoriale. Ai fini probatori è pertanto necessario dimostrare l’esistenza di una condotta datoriale articolata in comportamenti volontariamente ostili, esorbitanti, difformi rispetto al normale rapporto di lavoro e volti, dunque, unicamente alla vessazione del dipendente, tale da comportare una lesione psicofisica. Con la pronuncia in esame si è pertanto tentato di delineare specificamente gli elementi costitutivi del mobbing, identificati in comportamenti illeciti e prolungati contro il dipendente che producano come evento la lesione del diritto alla salute nonché all’integrità psicofisica. Il Consiglio di Stato al riguardo ha evidenziato la necessità della prova del nesso casuale identificabile nella riconducibilità dell’elemento costitutivo alla condotta del superiore gerarchico. Se ne deduce che il ricorrente non può, innanzi al giudice, limitarsi a dolersi di aver subito una lesione ma deve comprovare, su di un piano concreto, l’elemento funzionale al giudice investito di accertare la veridicità del disegno preordinato alla prevaricazione.

Differentemente il danno da demansionamento si concreta nella scelta del datore di assegnare al dipendente mansioni inferiori rispetto alla sua qualifica di appartenenza, o anche nel privarlo di qualsiasi ruolo all’interno dell’assetto produttivo. Se ne deduce che oggi sia possibile ristorare il lavoratore soggetto a dequalificazione, anche laddove non si sia determinata la condizione di  forte stress emotivo da cui dipendono i  danni morali e professionali propri del mobbing.
Nel caso in questione il lavoratore è gravato dell’onere di allegare un elemento idoneo che permetta al G.A. di accertare, anche de officio, l’esistenza di una condotta illecita finalizzata alla perdita delle mansioni per cui il lavoratore stesso è qualificato.

Nonostante dunque l’indiscutibile funzionalità delle pronunce giurisprudenziali che si susseguono negli anni, la vastità del fenomeno e la rilevanza degli interessi in gioco rendono necessario un intervento da parte del Legislatore.

Serena Zizzari

Serena Zizzari é nata a Caserta il 12/03/1993. Ha perseguito i suoi studi universitari presso la Facoltà Federico II di Napoli dove, in data 12/07/2016, ha conseguito la Laurea in Giurisprudenza con votazione 110 e lode. Ha vissuto un' esperienza di studio all'estero attraverso il progetto Erasmus nella città di Siviglia. Praticante avvocato, attualmente frequenta un corso privato di preparazione al concorso in Magistratura e il primo anno della Scuola di specializzazione delle Professioni legali.

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