domenica, Aprile 28, 2024
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Da “fashion victims” a “fashion criminals”: la democratizzazione della moda nell’era digitale. Il caso “The Fabricant Studio”

Da “fashion victims” a “fashion criminals”: la democratizzazione della moda nell’era digitale.

Il caso “The Fabricant Studio

A cura della Dott.ssa Francesca Romana Bazzani

  1. Introduzione

Oscar de la Renta definì “fashion victimscoloro che seguono in maniera passiva ed acritica i dettami della moda; la stessa moda, così come descritta dal sociologo Georg Simmel[1], che è vittima della propria caducità, vulnerabilità e vanità, essendo sempre in continuo divenire. Ma com’è proprio dell’essere umano, il fenomeno di massa che coinvolge tutte le società contemporanee riflette, sì, un desiderio spasmodico di emulare ed appartenere ad un gruppo sociale, riconoscendosi in esso, ma allo stesso tempo, nutre un bisogno insaziabile di distinguersi e distaccarsi da tutto ciò che risulta banale e comune[2].

Nella società dei social networks e del metaverso, viene offerta l’opportunità non solo di partecipare, apparire e ricevere migliaia di consensi, da chi condivide la stessa visione, adesso, esiste la possibilità di influenzare e diventare creatori delle stesse tendenze, che governano lo stile; in altre parole, si può passare dall’essere fashion victims ad essere dei “fashion criminals”.  

  1. Le creazioni della digital fashion

La digital fashion è quella branca della moda che sfrutta le nuove tecnologie (software, IA, realtà virtuali, tecnologie 3D), per creare capi di abbigliamento esclusivamente virtuali. Dall’inizio della pandemia da COVID-19, quando tutte le attività della vita quotidiana sono state tramutate in versione online, anche la moda ha incrementato l’applicazione delle nuove tecnologie alla produzione di collezioni digitali (chiamate anche di e-fashion). La sperimentazione ha talmente preso piede negli ultimi anni, che nel marzo 2022, 50 marchi di lusso e digital brands hanno partecipato alla prima “Metaverse Fashion Week”, che ha dato vita a shows, concerti, pop-up stores virtuali, ai quali gli utenti potevano assistere attraverso i propri avatars. Da quel momento, alcuni famosi marchi hanno persino ideato collezioni prima disponibili soltanto in versione digitale e successivamente fatte approdare nei negozi “fisici”.

Tutto ciò che viene creato nel mondo digitale qualora dovesse superare quel minimo livello di “originalità” richiesto alle opere artistiche, ricadrà nell’ambito di applicazione e conseguente tutela della Direttiva europea “InfoSoc” sul diritto d’autore e diritti connessi[3]. La legge sulla protezione del diritto d’autore[4] garantisce protezione a quelle opere del disegno industriale che presentino per sé, carattere creativo e valore artistico[5]. Contrariamente, non potranno essere tutelate (rectius registrate) le forme determinate unicamente dalla funzione tecnica del prodotto, che eventualmente, potrebbero ricadere nella disciplina dei brevetti e/o modelli di utilità.

Molto spesso quello che viene creato per il mondo digitale, viene creato attraverso software specifici esterni alle piattaforme digitali sulle quali vengono poi mostrate le creazioni. Non ci sono dubbi circa la protezione e la riferibilità della creazione all’autore che l’ha concepita[6], riuscendo anche a rendere certo il requisito della “divulgazione al pubblico” tale per cui un disegno potrà essere considerato nuovo, laddove non sia stato divulgato, anteriormente alla data di presentazione, nessun disegno o modello identico[7]. Oggi, è interessante capire come case di moda interamente digitali permettano di prendere quanto viene ideato dagli stilisti dei brand più famosi, e lo rendano disponibile agli utenti, che da soli consumatori del prodotto, possono diventare loro stessi creatori/disegnatori dei pezzi digitali, che verranno poi commercializzati ed indossati nel mondo virtuale.

  1. Il caso “The Fabricant Studio”

“Build a New Fashion Industry Where Everybody Participates and Profits.”  Questo è il motto che apre il manifesto di The Fabricant Studio[8].

The Fabricant, una casa di moda esclusivamente digitale, ha lanciato un laboratorio (i.e. lo Studio) di design digitale, una sorta di atelier online, in cui gli utenti, partendo dai master garments predisposti dalla piattaforma, possono creare, modificare e progettare capi virtuali, sotto forma di NFTs, da commercializzare ed indossare nei diversi ambienti del metaverso.

La piattaforma è stata sviluppata per rendere il design virtuale della moda, accessibile a chiunque e ovunque nel mondo, partecipando collettivamente alla creazione, insieme a marchi e stilisti affermati.

Nata dalle menti di Amber Slooten, Kerry Murphy e Adriana Hoppenbrouwer nel 2018, The Fabricant si propone come mission quella di diventare leader della moda digitale, ponendosi come obbiettivo quello di arrivare a vestire 100 milioni di persone entro il 2025.

Lo studio (piattaforma di creazione) è stato lanciato nel novembre 2021, nell’ambito del 15° anniversario della redazione di “Dezeen 15”, una delle più popolari riviste di architettura e design di interni.

La prima collezione denominata “Season 0” ha debuttato nel Settembre 2021, grazie alle creazioni realizzate da 50 utenti invitati a sperimentare la piattaforma.

Ogni co-creazione viene emessa (in gergo “minted”) sulla blockchain Flow. Il processo di creazione nasce direttamente dagli stilisti e dai brand che introducono i master garments tridimensionali sulla piattaforma, che diventeranno i campioni utilizzabili dagli utenti, per personalizzare e rendere originali i capi virtuali da commercializzare. La particolarità ed originalità della creazione stanno nella possibilità di poter realizzare soltanto un’unica versione del pezzo, con la conseguenza che ogni prodotto non sarà semplicemente inimitabile, ma anche collezionabile.

Gli utenti una volta completata la creazione vengono riconosciuti come co-creatori con i designer dei master garments, ricevendo una parte delle royalties dalle vendite successive dei relativi NFTs, equamente divisi tra tutti gli ideatori del prodotto.

Il principio che muove la visione di The Fabricant è rimuovere ogni barriera economica e sociale, concedere a tutti l’occasione di influenzare le tendenze e promuovere le proprie idee di moda.

The Fabricant, evidentemente non pretende di sostituire l’abbigliamento reale con quello digitale, ma intende rivoluzionare il sistema moda, per esprimere le proprie identità e contribuire tutti alla costruzione di infiniti scenari possibili.

  1. Chi sono gli stilisti?

Dai sarti dei palazzi nobiliari costretti a piegare le proprie velleità artistiche, agli utenti del web con fervida immaginazione ed una semplice connessione ad Internet, il salto è incredibile.

Il concetto di “autore” nel mondo della moda è stato influenzato e declassato rispetto al mondo dell’arte o della musica, in quanto il risultato dell’attività creativa del settore soffriva (e soffre), il limite di avere necessariamente una funzione utilitaristica, rispetto ad altre tipologie di lavori puramente estetici. Malgrado diversi tentativi di elevare i capi di moda ad opere d’arte, attraverso il riconoscimento sociale o le licenze d’uso, la haute couture resta qualcosa di diverso e separato rispetto al mondo dell’arte. Sono numerose le collaborazioni che si sono viste nel tempo tra arte e moda, da Hermès e l’artista Pietro Ruffo, Salvador Dalì e Schiaparelli o ancora, Damien Hirst e Alexander McQueen, ma restano dei fenomeni particolari che esulano dal concetto di moda e stilista/disegnatore.

È indubbio che superando la prova dell’originalità richiesta per la protezione delle opere dell’ingegno, tutte le creazioni di moda verranno tutelate secondo il regime di protezione del diritto d’autore, riconoscendo agli stilisti i diritti anche morali che competono, a chi crea le opere. Più nel dettaglio, il fascio di diritti, che sono riconosciuti agli autori per legge, riguarda il diritto di rivendicare la paternità dell’opera, opporsi a qualsiasi modificazione dell’opera, nonché il diritto di ritirare l’opera dal commercio in presenza di gravi ragioni morali.

Di per sé, la definizione legislativa di “autore” è molto democratica, tutti possono essere riconosciuti come autori, non importa se si è dei professionisti o degli amatori, ciò che conta è l’originalità e novità del lavoro presentato.

Quello che le nuove case di moda digitali stanno cercando di sdoganare, però, è la definizione di stilista, cercando di far percepire le nuove forme di creazioni come opere d’arte digitali e non soltanto, come pezzi di collezioni di moda. È sicuramente più semplice nel mondo digitale, mancando la funzione pratica dei prodotti, lasciarsi guidare dalla propria visione artistica.

Ampliando il concetto di stilista ad artista digitale, tutti gli utenti che abbiano il desiderio di sperimentare, creare, inventare, potranno avere la possibilità di esprimersi senza dover passare per il giudizio impetuoso dei gatekeepers della moda, ma passando per il giudizio dei propri pari, che determineranno il successo o meno di quanto ideato e diffuso.

  1. Conclusioni

La moda digitale ha un impatto molto più forte, rispetto al lancio di una nuova collezione o alla diffusione di una nuova tendenza. Essa rappresenta una nuova possibilità.

La moda digitale permette la più ampia partecipazione possibile, la produzione di creazioni uniche ed insostituibili e le tendenze che emergono dagli stessi consumatori, che non restano più soltanto “vittime” ma “carnefici” dello stile.

Sicuramente il concetto stesso di stile verrà ripensato e forse plasmato a seconda degli scenari presi in considerazione, ma sarà la stessa comunità a decidere cosa sia “in” e cosa sia “out”.

Resta da chiedersi se nel mondo (reale o virtuale) in cui tutti si distinguono e fanno la differenza, abbia ancora senso parlare di moda e tendenze; ma è ancora tutto in divenire, un po’ come lo sono gli esseri umani, un po’ come lo è la stessa moda.

[1] G. Simmel, “La moda”, edizione 1910.

[2] Per una completa analisi sull’evoluzione storica e sociologica del fenomeno di democratizzazione della moda si veda, S. Liparuli, “La democratizzazione della moda”, ottobre 2020, disponibile qui https://www.iusinitinere.it/la-democratizzazione-della-moda-natura-o-web-29307.

[3] Direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, disponibili su https://eurlex.europa.eu/legalcontent/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32019L0790

[4] Art. 2, n. 10, Legge n. 633/1941.

[5] La Giurisprudenza interpreta questo requisito legato a considerazioni di valore, come riferibile al giudizio della critica e all’esposizione in musei o gallerie d’arte.

[6] Sul punto, H. Harkonen, N. Sarmakari, “Copyright and digital fashion designers: the democratization of authorship?”, in Journal of Intellectual Property Law & Practice, 2023, Vol. 18, n. 1.

[7] Articolo 32, D. Lgs. 30/2005 (Codice della proprietà industriale).

[8] Si veda, The Fabricant Studio https://www.thefabricant.com/about

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