Dal condono a tutto campo alla pace fiscale sugli errori formali
A cura di Massimo Pinardi
Dopo una lunga e travagliata querelle che non solo ha scosso la scena politica nazionale, ma che anche e soprattutto ha spaventato la compagine degli investitori internazionali, con disastrosi effetti sullo spread, finalmente, in data 23 ottobre 2018, il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto Legge n. 119 recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria” [1].
Tale Decreto ha introdotto alcuni istituti volti a “definire”, in modo agevolato, processi verbali di constatazione, accertamenti, avvisi di rettifica e di liquidazione, “ruoli”, affidati all’agente della riscossione, controversie tributarie nonché periodi d’imposta precedenti, attraverso una apposita dichiarazione integrativa (regolata dall’articolo 9 del decreto-legge n. 119 del 2018).
Prima di analizzare i principi generali di quest’ultimo istituto, è bene evidenziare, per ognuno degli altri, fatta eccezione per la così detta “rottamazione-ter” , le regole generali che li governano facendo presente che in sede di conversione del decreto in legge, potrebbero essere state apportate delle modifiche.
Con l’espressione Dichiarazione integrativa speciale, d’ora in avanti “DIS” , si fa riferimento ad un particolare istituto definitorio , in vero assimilabile ad un condono tradizionale , attraverso il quale i contribuenti possono spontaneamente correggere errori od omissioni, nonché appunto integrare, dichiarazioni fiscali presentate entro il 31 ottobre 2017 , sia con riferimento ad imposte sostitutive delle imposte sui redditi, a ritenute e a contributi previdenziali, sia, infine, con riferimento all’imposta regionale sulle attività produttive, Irap, e all’imposta sul valore aggiunto,IVA.
Volendoci ora soffermare su quelli che sono i principali effetti e/o implicazioni in materia di responsabilità penale , che in vero interessano maggiormente in questa sede , è opportuno precisare come la versione del decreto oggetto della presente analisi , con specifico riferimento ai profili concernenti la dichiarazione integrativa , risulti probabilmente superata in forza della recente presentazione del cosiddetto emendamento omnibus, attraverso il quale , il Governo ha operato un ulteriore cambio di rotta introducendo la misura della sanatoria degli errori formali.
Le prime “versioni” (giova precisare di bozza o schema di Decreto), risalenti, rispettivamente, al 5 e al 13 di ottobre, nulla prevedevano in tema di dichiarazione integrativa [2][3]. E’ solo con la terza versione, ossia quella circolata a partire dal 16 di ottobre, che viene offerta una compiuta, e invero controversa, disciplina dell’istituto in commento [4].
Addentriamoci ora nelle maglie dell’articolo 9 (recante “disposizioni in materia di dichiarazione integrativa speciale”) , strutturato in tredici commi , dei quali , in questa sede , interessa il primo, il nono e il decimo. Andando per ordine, il primo comma si occupava di indicare i termini entro i quali i contribuenti avrebbero potuto correggere errori od omissioni nonché integrare le dichiarazioni fiscali presentate ,per poi definire il perimetro applicativo della disposizione con riferimento alle imposte suscettibili di “condono”. Per quel che riguarda imposte sui redditi (con relative addizionali e sostitutive), IVA , IRAP e contributi previdenziali , nulla quaestio. Più delicata risultava la questione concernente l’imposta sul valore degli immobili all’estero (IVIE) e quella sul valore delle attività finanziarie all’estero (IVAFE), trattandosi, in entrambe le ipotesi, di patrimoniali tipicamente riferite a contribuenti particolarmente facoltosi.
Di natura più propriamente penalistica, sono invece le disposizioni previste dal commi 9 e 10 , dedicati appunto a disciplinare i rapporti tra dichiarazione integrativa e responsabilità penale del contribuente dichiarante. Il superato comma 9 si articolava in cinque lettere, la lettera a) escludeva la punibilità per i delitti di cui agli articoli 4, 10-bis e 10-ter del d.lgs. 74 del 2000; la lettera b) escludeva la rilevanza delle condotte previste dagli articoli 648-bis (riciclaggio) e 648-ter (Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) del codice penale, qualora commesse in relazione ai delitti cui alla lettera precedente; la lettera c) prevedeva l’applicazione del reato previsto all’articolo 5-septies del D.L. n. 167/1990 , rubricato “esibizione di atti falsi e comunicazione di dati non rispondenti al vero”; la lettera d) risultava disciplinare l’applicazione delle disposizioni in materia di prevenzione del riciclaggio , di cui al D.lgs. 231/2007; Da ultimo la lettera e) affermava che le condotte previste dall’art. 648-ter.1 (autoriciclaggio) del codice penale, non erano punite se commesse in relazione ai delitti di cui alla lettera a).
Al comma 10 , invece , si prevedeva una formula di chiusura nel senso che veniva prevista la responsabilità per chi si fosse avvalso fraudolentemente delle procedura cui al presente articolo.
Rispetto le versioni di cui sopra il decreto Legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 23 di ottobre [5] risultava maggiormente ispirato ai crismi di ragionevolezza e proporzionalità avendo , infatti , recepito alcuni fondamentali correttivi proposti tanto dall’opposizione [6]quanto dalla dottrina tutta .
Ma cosa è accaduto esattamente?
Inizialmente la misura della dichiarazione integrativa doveva prevedere una soglia molto più alta di 100.000 euro ma poi, dopo un duro tira e molla tra M5s e Lega, si era trovato l’accorto su di una dichiarazione con aliquota al 20% per un importo non superiore al 30% della dichiarazione.
Più nello specifico si era deciso di revisionare radicalmente l’articolo 9 , nel lodevole tentativo di operare un cambio rotta rispetto la direzione che stava pericolosamente adottando la disciplina, e cioè quella di un condono a tutto campo con piena copertura penale [7]. In tal senso la disciplina ad oggi pubblicata sulla gazzetta ufficiale , che, giova ripeterlo, sembrerebbe ulteriormente superata dalla nuova misura della sanatoria degli errori formali di cui si dirà meglio nel prosieguo, risultava articolata su dodici commi , ma andiamo per ordine.
Il primo comma , nel mantenere immutata lo soglia di “integrabilità” pari ad Euro 100.000 (in ogni caso non superiore al 30 % di quanto già dichiarato), non faceva più riferimento alle patrimoniali “di lusso” di cui si diceva sopra , cioè IVIE e IVAFE, ragionevolmente escluse dal campo di applicazione della DIS.
A tale correttivo si collegava la modifica operata al primo periodo del comma 8, così escludendosi la possibilità di far emergere attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute all’estero (e qui evidente il richiamo all’IVIE e IVAFE).
Ma ancora più marcato era il restyling del comma nove, del tutto rivisitato nella struttura (non più articolato su cinque lettere) e nel significato. Più nel dettaglio l’inciso “chiunque fraudolentemente si avvale “ della dichiarazione, che nella precedente versione rappresentava la clausola di chiusura di un lungo elenco di ipotesi di non punibilità, nella versione del 23 ottobre costituiva, invece , la formula di apertura del comma 9. Già da questo primo elemento è evidente come si trattasse di una disciplina decisamente più stringente di quella precedente , e in effetti alla luce delle recentissime novità pare sia questa la strada intrapresa, ma c’è di più.
Proseguendo nella lettura, il comma 9 risultava epurato del lungo elenco di ipotesi di impunità di cui si diceva sopra , venendo così riformulato: “Chiunque fraudolentemente si avvale della procedura di cui al presente articolo al fine di far emergere attività’ finanziarie e patrimoniali o denaro contante o valori al portatore provenienti da reati diversi dai delitti di cui agli articoli 2 e 3 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e’ punito con la medesima sanzione prevista per il reato di cui all’articolo 5-septies del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227. Resta ferma l’applicabilità’ degli articoli 648-bis, 648-ter, 648-ter.1 del codice penale e dell’articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 “.
Orbene, dalla infelice e cavillosa formulazione non era agevole desumere se vi fosse o meno una qualche copertura penale per il contribuente che avesse deciso di avvalersi della misura in commento. La materia penalistica , tanto nella prospettiva della formulazione delle fattispecie incriminatrici , quanto nel campo delle esimenti e della cause di esclusione della responsabilità , è indissolubilmente retta dal principio di tassatività.
Ciò posto ,la versione offertaci dal Consiglio dei Ministri del 23 di ottobre non era di certo contraddistinta da chiarezza ed intelligibilità risultando , al contrario , foriera di gravi incertezze interpretative. L’unico elemento di certezza , ulteriormente avvalorato dalla recente (e ci sia augura anche ultima) modifica introdotta , è che il filo conduttore che unisce tutti gli interventi sul decreto fiscale è rappresentato da progressivo contenimento o ripensamento della portata definitoria della misura.
Per riprendere quanto si diceva poco sopra ,a fronte di una così criptica disposizione non sorprende affatto aver assistito allo scontro fra posizioni interpretative del tutto discordanti. Su di un fronte si ponevano coloro i quali nelle maglie del novellato comma 9 leggevano una copertura penale sostanzialmente completa. Si era così sostenuta l’impunità per i reati di cui agli articoli 2 e 3 del D.Lgs. 74/2000 ( in forza della portata letterale del comma 9) nonché per i reati di cui agli articoli 10 bis, 10 ter e 10 quater (d.lgs. cit.) in forza di una lettura della disposizione in combinato disposto con l’articolo 13 del medesimo decreto (rubricato “Causa di non punibilità. Pagamento del debito tributario) [9].
Su di un piano del tutto diverso la lettura , più prudente , che dubitava della copertura penale offerta dal D.L. 119 , sopratutto in ragione dell’assenza una previsione chiara e certa in tal senso [10].
Alla luce di quanto sopra evidenziato era ragionevole aspettarsi un qualche intervento correttivo o quanto meno definitorio da parte del Governo , in vero sostanziatosi in un brusco colpo di spugna sull’articolo 9 , cassato e sostituito con la misura della sanatoria degli errori formali. La data cruciale è stata quella del 15 novembre, quando a seguito di un serrato Consiglio dei Ministri che ha visto contrapposte le due principali aree di maggioranza , Lega e M5s , è stato depositato l’emendamento omnibus [8]presso la commissione finanze del Senato. Con la legge di conversione del decreto legge 119 del 2018, collegata alla legge di bilancio, è stata infatti approvata ed inserita la cd. “sanatoria delle irregolarità formali”.
Cos’è e come funziona la sanatoria degli errori formali?
La pace fiscale degli errori formali è la recentissima misura messa a punto dal governo Conte all’interno dell’emendamento omnibus al D.L. 119/2018. Il primo dato da far rilevare è che la misura ha ad oggetto gli errori e le omissioni che non incidono sulla determinazione della base imponibile , sui controlli dell’Amministrazione , sul calcolo dell’imposta e del pagamento del tributo. Per quanto attiene al campo di applicazione può ragionevolmente sostenersi che questo coincida con quello del superato articolo 9, e cioè imposte sui redditi , IVA ed IRAP ( con esclusione cioè delle patrimoniali di lusso).
Un secondo punto fermo della mistura pare essere il limite temporale entro il quale devono essere state commesse le “irregolarità , infrazioni e inosservanze di obblighi e adempimenti di natura formale “ da parte del contribuente al fine di beneficiare della sanatoria. L’accordo è stato trovato nella data del 24 ottobre 2018. Dal punto di vista procedurale per il contribuente sarà sufficiente effettuare il versamento di una somma parti ad Euro 200 per ciascun periodo d’imposta in cui sono commesse le violazioni.
A ciò segue la precisazione che la somma complessivamente dovuta al fisco , data dalla moltiplicazione dell’importo di cui sopra per il numero di periodi d’imposta che si intende regolarizzare , dovrà essere versata in due rate di pari importo entro , rispettivamente , il 31 maggio 2019 e il 2 marzo 2020. Insorge allora un ulteriore quesito.
Quali sono errori formali sanabili con la misura ?
Come si accennava sopra si tratta di quegli errori che il contribuente può commettere nella compilazione della dichiarazione dei redditi , nella dichiarazione ai fini IRAP/IVA o ancora nel momento del versamento dei tributi. Gli errori formali possono dunque insorgere tanto nella fase della dichiarazione quanto in quella altrettanto delicata della liquidazione. Sul punto è utile richiamare quanto chiarito dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 77 del 3 agosto 2001 [11], la quale fa esplicito riferimento a due tipologie di violazioni formali:
– Violazioni formali: con tale espressione si fa riferimento a quelle irregolarità che non hanno conseguenze sostanziali in quanto non incidono sulla determinazione dell’imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo.
– Violazioni “meramente formali” : si tratta di quelle irregolarità che oltre a non averi risvolti sostanziali , permettono comunque all’Agenzia di compiere verifiche e controlli sulle dichiarazioni.
La differenza è di fondamentale importanza , in quanto solo le prime sono sanzionabili , mentre le seconde non producendo alcuna conseguenza non sono soggette a sanzioni.
Si ricordi che è sempre compito e onere dell’Agenzia definire ed inquadrare una certa irregolarità in una delle due categorie sopra richiamate .
Alla luce di quanto appena chiarito è evidente che la categoria degli errori formali risulti quella di principale interesse in questa sede. Le strade percorribili sono due , da lato la procedura del ravvedimento operoso e ora anche la nuova sanatoria degli errori formali prevista dal decreto fiscale.
Può essere utile riportare qualche esempio di irregolarità formale che il contribuente potrà sanare con la misura in esame:
– La compilazione della dichiarazione su un modello non conferme a quello approvato dal Direttore dell’Agenzia ;
– La mancata o errata compilazione dei quadri della dichiarazione previsti per l’indicazione di dati non rilevanti ai fini della determinazione degli importi dovuti;
– L’omessa o errata indicazione di dati rilevanti per l’individuazione del contribuente e del suo rappresentante.
Il decreto fiscale 2019 – testo integrale completo disponibile qui
[1] D.L. 119 del 2018 reperibile qui: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/10/23/18G00151/sg
[2] D.L. 119 del 2018 (bozza del 5/10/18) – disponibile qui
[3] D.L. 119 del 2018 (bozza del 13/10/18): bozza_dl_fiscale_2019-13_ottobre-2018.pdf
[4] D.L. 119 del 2018 (bozza del 16/10/18)
[5] si veda nota 1.
[6]Schede di lettura e dossier SS886 : http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/50807.htm
[7] Dossier pace fiscale pubblicato in “il Sole24ore” del 25/10/2018 ; Pagina 23.
[8] Fascicolo emendamenti al D.L. 119/2018 – disponibile qui
[9] “Pace fiscale con effetti penali” di Edoardo Belli Contarini ; in Italia Oggi del 7/11/2018 pag. 38.
[10] “Pax fiscale senza copertura penale si riduce l’appeal” di Giuseppe Ripa e Alessandro Lattanzi; in Italia Oggi del 25/10/2018 pagg. 1 -20; “integrativa sue male con requisiti, attenzione ai paletti” di Michele Brusaterra in Quotidiano del fisco del 19/11/2018 (Sole24plus).
[11] Circolare Agenzia delle Entrate n. 77 del 3 agosto 2001: prassi/404-circolare-n-77-e-del-03-08-2001.html
Studentessa della facoltà di giurisprudenza dell’Università degli studi di Napoli “Federico II” e tesista in diritto finanziario, è socia di Elsa Napoli.
Appassionata di tributaristica e diritto del lavoro, prende parte al progetto “Ius in Itinere” a giugno 2016, divenendone nel gennaio 2017 responsabile dell’area di diritto tributario e diritto del lavoro. Dall’ottobre 2017 è collaboratore editoriale per AITRA – Associazione Italiana Trasparenza ed Anticorruzione.
Nel futuro, un master in fiscalità d’impresa e contrattualistica internazionale.
Email: rossana.grauso@iusinitinere.it