Disconoscimento di paternità – tra favor veritas e tutela dello status filiale
Il disconoscimento di paternità è un’azione diretta a contestare il rapporto di filiazione ed è regolamentata dagli artt. 243 bis e ss c.c..
- Status di figlio
Con la riforma del 2013[1], entrata in vigore dal 7 febbraio 2014, sulla scia delle decisioni giurisdizionali e del mutato sentimento sociale, il legislatore ha eliso ogni differenza tra figli legittimi e naturali affermando testualmente “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”[2].
Quello che però ancora differisce per i predetti soggetti (figli nati nel matrimonio e figli nati fuori dal matrimonio) è il modo di acquisizione del predetto status. Se, infatti, i figli naturali possono essere riconosciuti o provare il possesso del loro stato filiale, per il figlio nato da soggetti legati da coniugio esiste la presunzione non solo di maternità ma soprattutto di paternità.
L’art. 231 c.c. stabilisce al riguardo che “il marito è padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio”.
Con il sopra richiamato intervento legislativo sono stati eliminati i limiti temporali previsti in precedenza per ritenere il figlio come nato nel matrimonio[3]; pertanto alla nascita del bambino in ogni momento del rapporto matrimoniale, si presume che il marito della madre sia anche padre.
La presunzione del concepimento in costanza di matrimonio invece sussiste solo qualora non siano ancora trascorsi 300 giorni dalla data di annullamento, di scioglimento, del divorzio, dalla pronuncia di separazione o dalla data di autorizzazione ai coniugi a vivere separatamente. Decorso tale termine, però, è concessa la prova volta a dimostrare che il figlio sia stato concepito durante il rapporto coniugale per il riconoscimento dell’avvenuta produzione dei relativi effetti ad esso connessi.
- L’azione di disconoscimento della paternità
Rilevato che per la legge il marito è presunto padre del figlio della propria moglie, non è necessario che lo stesso faccia alcuna dichiarazione o provi la sua paternità: il soggetto nato dopo la celebrazione del matrimonio, o concepito nel matrimonio, acquisisce di diritto lo status di figlio.
È però prevista l’azione di disconoscimento.
Tale azione, già in passato regolamentata dall’art. 235 c.c., oggi è disciplinata dall’art. 243 bis c.c.. La modifica sostanziale si rinviene nel fatto che prima della riforma i soggetti legittimati potevano agire solo in determinati casi[4], oggi il nuovo impianto normativo è invece volto a far emergere in ogni modo la non sussistenza del rapporto di filiazione tra padre legale e figlio.
La norma in parola, confermando che soggetti legittimati alla proposizione dell’azione sono il marito, la madre ed il figlio medesimo, stabilisce che “chi esercita l’azione è ammesso a provare che non sussiste rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre”. I motivi richiamati in precedenza dall’abrogato art. 235 c.c., si ritrovano oggi elencati ai fini della decorrenza dei termini entro cui può essere esperita l’azione.
Salva infatti l’imprescrittibilità prevista per il figlio (soggetto il cui interesse è preminentemente tutelato), l’azione può essere proposta entro sei mesi dalla madre ed entro un anno dal padre.
I predetti termini decorrono 1) dalla data di nascita del figlio o 2) dal giorno della scoperta dell’impotenza di generare (per padre e madre) o 3) dal giorno della scoperta dell’adulterio al tempo del concepimento (per il padre).
In ogni caso però l’azione per padre e madre non può essere proposta se sono trascorsi cinque anni dal giorno della nascita, e ciò a tutela della stabilità dei rapporti familiari. Tale termine è stato ritenuto da alcuni autori non legittimo, in quanto in contrasto con l’importanza della verità dei rapporti che la riforma ha atteso tutelare. Così statuendo la norma di fatto riconosce al figlio un incondizionato diritto a mantenere il proprio stato anche se non conforme alla verità biologica, compromettendo, secondo la suddetta corrente, di contro il diritto del soggetto (padre), anche se inconsapevole della non paternità.
Sull’operatività del disconoscimento, bisogna rilevare che non sussiste un orientamento preminente dei giudici di merito e di legittimità.
Con un precedente della Corte Costituzionale del 2012 è stato affermato il favor veritas: “questa Corte ritiene che la crescente considerazione del favor veritas non si ponga in conflitto con il favor minoris, poiché anzi la verità biologica della procreazione costituisce una componente essenziale dell’interesse del medesimo minore che si traduce nella esigenza di garantire ad esso il diritto alla propria identità e, segnatamente, alla affermazione di un rapporto di filiazione veridico”[5].
Orientamento seguito dalla Corte di Cassazione che, proprio dalla imprescrittibilità dell’azione riguardo al figlio, fa discendere l’importanza della discendenza biologica, in quanto connessa all’identità personale, riconosciuta come diritto fondamentale dell’individuo.
Ma in altre pronunce la Suprema Corte è intervenuta in modo lievemente difforme. Pur riconoscendo che il legislatore abbia preferito abbandonare l’impostazione volta a preservare lo status di figlio a vantaggio del favor veritas, ha affermato altresì che “rimane coessenziale all’ordinamento l’esigenza di un bilanciamento”, sussistendo pur sempre “la necessità di garantire i valori inerenti alla certezza e alla stabilità degli status”[6].
Gli Ermellini, in una particolare fattispecie in cui l’azione era stata proposta dal curatore nominato per il minore, hanno sottolineato che la conformità dello status alla realtà biologica non può ritenersi un superiore valore costituzionale e ciò anche in considerazione del fatto che l’art. 30 Cost., demandando alla discrezionalità del legislatore l’individuazione delle norme e dei limiti per la ricerca della paternità, non ha fissato alcun rapporto di preminenza tra verità biologica e verità legale.
Del resto, ribadiscono i giudici di legittimità, anche le norme sovranazionali individuano come fondamentale il bilanciamento dei contrapposti interessi di tutela del favor veritas e del mantenimento degli status e relazioni acquisiti, statuendo che “l’ingerenza della pubblica autorità nella vita privata e familiare degli individui presuppone la verifica della sua necessarietà”[7].
Valutazione necessaria anche ai fini della tutela degli interessi dei minori, anch’essi tutelati a livello europeo, ed in particolare dall’art. 6 della Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli[8], che prevede che l’autorità giudiziaria prima di assumere ogni decisione abbia l’onere di:
valutare il superiore interesse del minore;
consultare il minore direttamente qualora sia previsto dal diritto interno una capacità di discernimento del minore;
tenere in debito conto la sua opinione.
Alla luce delle predette considerazioni, secondo il predetto orientamento, non può ritenersi sussistente “un automatismo nel cogliere l’interesse del minore rispetto al principio della verità biologica della filiazione” dovendo pertanto il giudice di merito “verificare se la modifica dello status del minore risponda al suo interesse o sia per lui un pregiudizio”.
Quindi spetterà al giudice del merito analizzare caso per caso al fine determinare il giusto contemperamento tra l’interesse del minore da tutelare e la verità biologica.
[1] D. Lgs. 154/2013
[2] Art. 315 cod. civ..
[3] Il vecchio testo del primo comma dell’art. 232 c.c. prevedeva “Si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando sono trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio e non sono ancora trascorsi trecento giorni dalla data dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio”.
[4]L’art. 235 c.c., oggi abrogato, prevedeva – “L’azione per il disconoscimento di paternità del figlio concepito durante il matrimonio è consentita solo nei casi seguenti:1) se i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso fra il trecentesimo e il centottantesimo giorno prima della nascita;
2) se durante il tempo predetto il marito era affetto da impotenza, anche se soltanto di generare;
3) se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio.
In tali casi il marito è ammesso a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, o ogni altro fatto tendente ad escludere la paternità.
La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità.
L’azione di disconoscimento può essere esercitata anche dalla madre o dal figlio che ha raggiunto la maggiore età in tutti i casi in cui può essere esercitata dal padre.”
[5] Corte Costituzionale, ordinanza n. 7/2012
[6] Cassazione Civile, sez. I, sent. 8617/2017
[7] Art. 8 Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo – Diritto al rispetto della vita privata e familiare 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.
[8] Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli Approvata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata dall’Italia con la legge 20 marzo 2003 n. 77.
Avvocato civilista specializzato in contrattualistica commerciale, real estate, diritto di famiglia e delle successioni, diritto fallimentare, contenzioso civile e procedure espropriative.
Conseguita la laurea in Giurisprudenza, ha collaborato con la II cattedra di Storia del Diritto Italiano dell’ateneo federiciano, dedicandosi poi alla professione forense.
Ha esercitato prima a Napoli e poi nel foro di Milano, fornendo assistenza e consulenza a società e primari gruppi assicurativi/bancari italiani.
Attualmente è il responsabile dell’ufficio legale di un’azienda elvetica leader nella vendita di metalli preziosi, occupandosi della compliance, fornendo assistenza per la governance e garantendo supporto legale alle diverse aree aziendali.
Email: paola.minopoli@iusinitinere.it