venerdì, Marzo 29, 2024
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Espropriazione per pubblica utilità: come calcolare gli indennizzi

In base all’art. 834 c.c., l’espropriazione si può definire come quell’istituto di diritto pubblico in base al quale un soggetto, previa corresponsione di una giusta indennità, può essere privato, in tutto o in parte, di uno o più beni immobili di sua proprietà per una causa di pubblico interesse legalmente dichiarata.

L’espropriazione per pubblica utilità è espressione del potere ablatorio della Pubblica Amministrazione che, in varia misura, è legittimata a sacrificare l’interesse privato in vista di un superiore interesse pubblico che, nel caso dell’espropriazione per pubblica utilità, generalmente, consiste nell’attuazione di un’opera pubblica.

Detto potere trova la sua origine nella nostra Carta Costituzionale. Infatti, ferme restando le tutele degli interessi privati che la nostra Costituzione garantisce, l’art. 23 Cost. recita “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.

E ancora, l’art 42 co. 3 Cost., coerentemente con la norma precedentemente citata, prevede che “La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.”

Fatte queste premesse, l’istituto dell’espropriazione per pubblica utilità prevede, come già accennato, un solo “limite”. La P.A., infatti, una volta esercitato il potere ablatorio, è tenuta ad indennizzare il soggetto spogliato della propria proprietà.

Va sottolineato, dunque, come ai sensi dell’art. 37 del T.U. (D.P.R. 327/2001), l’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene. Quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l’indennità è ridotta del 25%.

Per le aree legittimamente edificate, come già prevedeva la L. 2359/1865, l’indennità è determinata nella misura pari al valore venale. Si calcola il solo valore dell’area di sedime se la costruzione è abusiva (art. 38 T.U.)

Per le aree non edificabili, attenendosi ai criteri previgenti e cioè a quelli previsti dalla L. 865/1971, il T.U. prevede che l’indennità è determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e sul valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati. Se l’area non è effettivamente coltivata, l’indennità era commisurata al valore agricolo medio, corrispondente al tipo di coltura prevalente nella zona ed al valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati (art. 40 T.U.)

In riferimento a tale ultimo profilo, si tenga presente che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 181 del 10 giugno 2011, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del criterio del valore agricolo medio (citato all’art. 40, co. 2, T.U. espropriazioni) per commisurare l’indennità dei suoli agricoli o non edificabili.

Anche per questi ultimi, dunque, come già avvenuto con le aree edificabili ed il conseguente utilizzo del criterio del valore venale, è necessario che l’indennizzo si ponga in rapporto ragionevole con il valore del bene.

Nei casi in cui è stato concluso l’accordo di cessione, o quando esso non è stato concluso per fatto non imputabile all’espropriato ovvero a questi è stata offerta un’indennità provvisoria che, attualizzata, risulta inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva, l’indennità è aumentata del 10%[1].

Ciò detto, l’indennizzo che la P.A. corrisponde anche agli indici di edificabilità o indici di fabbricabilità che costituiscono i parametri di densità edilizia riferibili ad un’area fabbricabile.

In tal senso ci si riferisce ai c.d. Piani Regolatori Generali Comunali, di cui ogni Comune deve dotarsi al fine di stabilire gli indici di edificabilità di una data area appartenente all’ente comunale che adotta il PRGC.

Per la Regione Campania trattasi di Piano Urbanistico Comunale (PUC).

L’istituto del piano regolatore venne introdotto normativamente dalla legge 25 giugno 1865 n. 2359.

La legge urbanistica nazionale (legge 17 agosto 1942 n. 1150), tuttavia, introdusse un nuovo tipo di piano regolatore con una radicale trasformazione delle sue caratteristiche, tra cui, per citarne alcune, l’assenza di un termine di validità, prima consistente in anni 25, e la necessità, da parte del Comune, di un secondo livello di attuazione, non essendo il PRG, al contrario di quanto previsto con la legge n. 2369 del 1865, direttamente attuativo.

Concluse queste premesse, va detto che il potenziale edificatorio di un lotto va calcolato, secondo le stime di ciascun Piano Regolatore, ponendo in relazione la superficie e il volume di ciascun lotto.

Non solo è necessario prestare massima attenzione alle distanze in linea d’aria che vi sono fra le costruzioni circostanti, ma bisogna anche effettuare un attento calcolo circa il coefficiente di edificabilità indicato con la sigla IF (indice di fabbricabilità).

Detto indice è costituito dal rapporto fra il volume che si può edificare sul terreno e la superficie dello stesso.

 L’ unità di misura di tale parametro è pari a mc/mq.

Questo significa, in poche parole, che bisogna costruire, per ogni metro quadrato di superficie, esattamente una certa quantità di metri cubi di volume.  Questo indice, tuttavia, spesso è accompagnato da altri importanti parametri, tra i quali troviamo il rapporto di copertura (K), ossia l’altezza massima che l’edificio potrà avere e le distanze dalla strada.

Ulteriori problematiche si ravvisano in ordine ad un PRG adottato ma non ancora approvato.

Infatti, in tali circostanza scattano le misure di salvaguardia che, come è logico che sia, vanno ad incidere anche sul calcolo degli indennizzi conseguenti ad espropriazione per pubblica utilità.

A livello statale la disciplina delle misure di salvaguardia è contenuta nell’art. 12, commi 3 e 4 del D.P.R. n° 380/01 (Testo Unico Edilizia), i quali distinguono una misura comunale ed un’altra regionale, distinte per diversità di presupposti, effetti ed autorità competente all’adozione.

Le misure di salvaguardia sono misure atte a non compromettere il territorio nel periodo tra l’adozione di uno strumento urbanistico da parte del comune e la sua approvazione.
Consistono nella sospensione di ogni determinazione sulle domande di permesso di costruire in contrasto con il piano adottato, sia esso strumento urbanistico con finalità di assetto che con finalità esecutive.

In rapporto con gli indennizzi da espropriazioni, le misure di salvaguardia fanno sì che, nel periodo in cui un PRG sia stato adottato ma non ancora approvato, si applichi la disciplina più restrittiva e rigida, per cui, nel caso in cui si debba indennizzare una data espropriazione per pubblica utilità, ci si ritroverebbe nella condizione di dover utilizzare, tra due PRG, quello con il coefficiente di edificabilità più basso.

Spesso il problema sussiste in relazione alla mera individuazione del momento storico per la valutazione della decorrenza delle indennità dovute.

Il T.U. in materia di espropriazioni prevede due momenti: 1) il decreto di occupazione; 2) il decreto di esproprio.

Quest’ultimo deve intervenire entro il termine che la P.A. ha fissato per l’esecuzione dell’esproprio.

Dal decreto di occupazione decorre l’indennità di occupazione che è ragguagliata all’indennità di esproprio, mentre dalla data del decreto di esproprio matura il diritto all’indennità di espropriazione.

L’indennità di occupazione consiste nell’attribuzione, per ogni anno di occupazione legittima, di una indennità pari agli interessi legali, da calcolarsi sulla somma liquidata per l’indennità di espropriazione.

L’indennità di espropriazione va calcolata in relazione al valore del bene, da determinarsi nei modi in precedenza illustrati, al momento dell’emissione del relativo decreto.

Da ultimo è da precisare che se il decreto di esproprio non interviene nel termine che la P.A. ha previsto, l’occupazione, originariamente legittima, diviene illegittima facendo sorgere nel privato il diritto al risarcimento danni.

[1] Delfino L., Del Giudice F., Compendio di Diritto Amministrativo, Simone, p. 366, 2016

 

 

Dott. Arcangelo Zullo

Classe 1992. Dopo aver conseguito la maurità classica, si laurea in Giurisprudenza nel 2016 alla Federico II di Napoli, con tesi in diritto penale dell'economia. Praticante avvocato presso lo studio legale Avv. Antonio Zullo & Partners. Amante del diritto connesso agli enti in tutte le sue declinazioni: dal civile al penale, dal commerciale all'amministrativo. Già collaboratore dell'area di diritto amministrativo presso la rivista Ius in itinere, è anche responsabile dell'area di Banking&Finance presso il medesimo portale di informazione giuridica. Il suo grande sogno è di affermarsi nel carriera forense e fa della passione e della determinazione le sue armi migliori. Molto attivo in politica, che vede come il principale strumento per il miglioramento della società. e-mail: angelo.zullo92@gmail.com

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