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Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Sproporzionata la pena in caso di utilizzo di servizi internazionali di trasporto o documenti falsi

Con sentenza n. 63/2022, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 3, lettera d), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), limitatamente alle parole «o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti», per violazione dei principi di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e di proporzionalità della sanzione penale di cui agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost..

È stata in questo modo accolta la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Bologna nell’ambito di un processo avente ad oggetto l’accompagnato in Italia di due bambine straniere tramite un aereo di linea e l’utilizzo di passaporti falsi.

In particolare, il giudice di merito ha ritenuto configurato il delitto di cui all’art. 12, comma 1, t.u. immigrazione, aggravato ai sensi del successivo comma 3, lettera d), in concorso con il delitto di possesso e fabbricazione di documenti falsi (art. 497-bis cod. pen.).

La pena detentiva prevista per la prima fattispecie, nella forma base, è pari alla reclusione da uno a cinque anni e subisce un sensibile incremento per le ipotesi aggravate di cui al terzo comma, essendo prevista la pena della reclusione da cinque a quindici anni, cui si aggiunge una pena pecuniaria di ingente entità.

Secondo il giudice rimettente, tale scarto sanzionatorio non sarebbe giustificato avuto riguardo al maggior disvalore delle altre ipotesi aggravate contenute nel medesimo comma 3, come l’esposizione dello straniero a pericolo per la vita o l’incolumità fisica (lett. b) o la sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti (lett. c).

La decisione della Consulta

In primo luogo, la Corte Costituzionale ricostruisce in maniera analitica le evoluzioni normative che hanno portato al delitto noto come favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Con la legge 28 febbraio 1990, n. 39, cd. legge Martelli, di conversione del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, venne introdotta la fattispecie relativa alle attività dirette a favorire l’ingresso illegale di stranieri nel territorio dello Stato, sanzionata con la pena della reclusione fino a due anni. La pena minima, in assenza di una specifica indicazione legislativa derogatoria all’art. 23 cod. pen., era pari a quindici giorni. Vi erano poi due ipotesi aggravate, integrate dal fine di lucro e dalla commissione da parte di tre o più persone, sanzionate, quanto alla pena detentiva, con la reclusione da due a sei anni.

Il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione confluì poi, strutturalmente inalterato, nell’art. 12 t.u. immigrazione con un aumento della pena detentiva massima, avendo il legislatore previsto la reclusione fino a tre anni, mantenendo il minimo di quindici giorni.

Vennero poi inserite varie aggravanti, tra cui l’utilizzazione di servizi di trasporto internazionale o di documenti contraffatti. Per tale ipotesi era prevista la reclusione da quattro a dodici anni, unitamente a una multa determinata in misura fissa per ogni straniero di cui fosse stato favorito l’ingresso.

Con la legge 12 novembre 2004, n. 271 la pena detentiva per la fattispecie di cui al comma 1 fu elevata, venendo prevista la reclusione da uno a cinque anni.

La pena detentiva oggi vigente per le ipotesi di cui al comma 3 deriva dal successivo inasprimento sanzionatorio introdotto dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, che dispose la reclusione da cinque a quindici anni e la multa di 15.000 euro per ogni persona. La giurisprudenza oggi consolidata considera tale ipotesi quale fattispecie aggravata, per la quale è ammesso il bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti ai sensi dell’art. 69 cod. pen..

Così ricostruito il quadro normativo, i giudici della Consulta aggiungono che l’ordinamento internazionale e quello comunitario impongono precisi obblighi di incriminazione in materia. Da una parte, il Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria (cd Protocollo di Palermo) prevede la necessità di fornire tutela penale alle vittime di condotte di traffico di migranti commesse a scopo di profitto. Dall’altra, per il diritto dell’Unione europea, vengono in rilievo la decisione quadro 2002/946/GAI del Consiglio e la direttiva 2002/90/CE del Consiglio, in materia di favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali.

Ciò considerato, la Consulta ricorda che “ ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. l’ampia discrezionalità di cui dispone il legislatore nella quantificazione delle pene incontra il proprio limite nella manifesta sproporzione della singola scelta sanzionatoria, sia in relazione alle pene previste per altre figure di reato (sentenze n. 88 del 2019, n. 68 del 2012, n. 409 del 1989 e n. 218 del 1974), sia rispetto alla intrinseca gravità delle condotte abbracciate da una singola figura di reato (sentenze n. 136 e n. 73 del 2020, n. 284 e n. 40 del 2019, n. 222 del 2018, n. 236 del 2016 e n. 341 del 1994)” (§ 4.1).

Tra i riferimenti giurisprudenziali, è possibile evidenziare le declaratorie di incostituzionalità, per mancanza di proporzionalità, della pena minima di otto anni di reclusione per i fatti di non lieve entità aventi a oggetto le droghe pesanti e delle pene accessorie dei delitti di bancarotta fraudolenta.

Si tratta di alcuni tra i più noti esempi del sindacato della Consulta circa la legittimità costituzionale della cornice edittale individuata dal legislatore in materia di sanzioni penali. In tale ambito è riconosciuta ampia discrezionalità legislativa, dal momento che il parametro utilizzato dalla Consulta è quello della non manifesta irragionevolezza, alla luce dei principi costituzionali di proporzionalità della pena e di rieducazione del reo.

Occorre sottolineare che il vaglio del Giudice delle leggi non presuppone la presenza di un’unica soluzione imposta dall’ordinamento (le cd. rime obbligate). La Corte Costituzionale ben può infatti rimuovere dall’ordinamento o rimodulare sanzioni che risultano intrinsecamente irragionevoli rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del reato.

Rispetto all’art. 12 t.u. immigrazione, si rileva che la formulazione è connotata da un’anticipazione della tutela: come si evince dalla locuzione «atti diretti a procurare l’ingresso illegale di stranieri», le condotte potranno assumere rilevanza penale anche in assenza di realizzazione dello scopo preso di mira dall’agente.

Quanto ai beni giuridici tutelati, oltre all’ordinata gestione dei flussi migratori, interesse tutelato già in base al primo comma della fattispecie in esame, il terzo comma si caratterizza, nel suo complesso, per la dimensione plurioffensiva dell’illecito, atteso che le ipotesi ivi contemplate comportano lesioni a beni quali la vita e l’incolumità psico-fisica dei migranti. Ancora, in relazione alla lettera d), relativa a un fatto commesso da tre o più persone in concorso tra loro, si tratta di un’ipotesi che può confluire nel diffuso fenomeno di organizzazioni criminali costituite per il traffico internazionale di migranti. Ipotesi che, come anticipato, ricade nell’obbligo comunitario di incriminazione di cui alla decisione quadro 2002/946.

Passando alla questione posta al vaglio del Giudice delle leggi, in relazione all’aggravamento di pena in caso di utilizzazione di servizi internazionali di trasporto, non viene ravvisato alcun maggior disvalore rispetto alla fattispecie base di cui al comma 1. Ciò perché né emerge l’offesa ad alcun bene giuridico ulteriore rispetto a quello tutelato dal comma 1, né si tratta di una condotta particolarmente insidiosa o tale da creare particolari difficoltà di accertamento da parte delle Autorità.

Quanto all’uso di documenti totalmente o parzialmente falsi, oppure ottenuti in modo illecito, si tratta di un reato complesso plurioffensivo, posto a tutela della fede pubblica e dell’interesse dello Stato alla corretta identificazione di chi si trova nel territorio nazionale, anche per fini di ordine e di sicurezza pubblica. Tuttavia, la quintuplicazione del limite edittale minimo e la triplicazione di quello massimo rispetto al delitto base risultano irragionevoli e manifestamente sproporzionati, alla luce di plurimi argomenti.

Oltre all’ampliarsi dello scarto per effetto delle numerose novelle legislative che hanno interessato la fattispecie nel corso degli anni, si rileva, in via sistematica, che il codice penale punisce i delitti di falsità in atti e personali con pene che, nel minimo, non oltrepassano la soglia di un anno di reclusione. Inoltre, nell’ambito dello stesso t.u. immigrazione, l’art. 6, comma 6-bis, prevede per la contraffazione o alterazione di permessi di soggiorno una cornice edittale ben più bassa, da uno a tre anni di reclusione.

Con un argomento storico-sistematico, i giudici della Consulta ricordano che con la sentenza n. 236/2016 è stato considerato manifestamente sproporzionato l’identico quadro edittale (reclusione da cinque a quindici anni) previsto dall’art. 567, secondo comma, cod. pen. relativo al delitto di alterazione di stato compiuto mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità. Si tratta di una fattispecie posta a tutela del medesimo bene giuridico, la fede pubblica, in relazione al rilevante settore dello stato civile, per il quale, tuttavia, non poteva considerarsi ragionevolmente giustificato il significativo aumento di pena rispetto alla ipotesi base di alterazione di stato.

Si è poi accennato che le fonti sovranazionali pongono una chiara distinzione tra condotte finalizzate all’ingresso di singoli stranieri e quelle poste in essere a scopo di lucro da gruppi criminali organizzati, anche ai fini di un differenziamento della tutela penale . Ciò anche in base alla considerazione per cui nel primo caso lo straniero può essere “beneficiario” della condotta illecita che ne permette l’ingresso sul territorio nazionale. Invece, nel secondo caso, egli è spesso “vittima” della condotta delittuosa, potendo configurarsi casi di trattamenti inumani e degradanti, il rischio di avviamento alla prostituzione o di sfruttamento in attività lavorative prive di qualsivoglia tutela.

Per quanto precede, la Consulta ritiene che la parificazione ai fini sanzionatori dell’uso di servizi internazionali di trasporto, di documenti contraffatti, alterati o illecitamente ottenuti alle condotte riconducibili al traffico internazionale di migranti costituisca una scelta legislativa manifestamente irragionevole.

Nemmeno, si conclude, può ritenersi che tale irragionevolezza possa essere rimossa per il mezzo del giudizio di bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti, poiché la prevalenza di queste ultime è soltanto eventuale, e, comunque, le stesse non costituiscono uno strumento volto alla legittimazione di norme costituzionalmente illegittime.

 

Fonte immagine: pixabay

 

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