Gli accertamenti tecnici non ripetibili ex art 360 c.p.p. e la prova scientifica
Nell’ambito del diritto processuale penale gli accertamenti tecnici non ripetibili, disciplinati principalmente dall’art 360 c.p.p. e dall’art. 391 decies c.p.p., sono gli accertamenti che hanno ad oggetto persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione per cause naturali o a causa della stessa attività accertativa e che, data la loro irripetibilità, sono destinati ad acquisire a tutti gli effetti valore di prova.
In tali casi, e quando debba effettuare ogni altra operazione tecnica per cui siano necessarie specifiche competenze, il Pubblico Ministero può avvalersi di consulenti tecnici, i quali non possono rifiutare la propria opera, e che possono essere autorizzati ad assistere a singoli atti di indagine.
I consulenti tecnici sono chiamati ad offrire contributi di natura tecnico-scientifica, destinati a colmare le inevitabili lacune cognitive del magistrato, specializzato in tutt’altro ambito.
L’art 360 c.p.p. disciplina in maniera specifica l’attività che, in presenza di accertamenti tecnici ritenuti non ripetibili, deve essere compiuta dal Pubblico Ministero al fine di acquisire, sin da subito, la risultanza probatoria derivante dall’analisi di una persona, cosa o luogo soggetto a repentine modifiche nel tempo.
Ciò detto sulla ratio della norma bisogna, nuovamente, evidenziare il discrimine tra accertamento tecnico ripetibile ed accertamento tecnico non ripetibile.
Per quanto attiene agli accertamenti tecnici ripetibili gli stessi riguardano tutti gli accertamenti su persone, cose e luoghi che possono essere ripetuti in qualsiasi momento senza che le risultanze probatorie possano subire modifiche dal decorso del tempo.
Di diverso tipo, come sopra riferito, sono gli accertamenti tecnici non ripetibili i quali devono essere eseguiti in tempi brevi stante la possibilità, vicina alla certezza, che l’ulteriore decorso del tempo possa comportare una modifica significativa sugli esiti degli accertamenti.
Sul punto si rappresenta che il Pubblico Ministero, qualora ritenesse che un accertamento tecnico non sia rinviabile in altro momento, deve immediatamente avvisare, senza ritardo, la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa dal reato e i difensori del giorno, dell’ora e del luogo fissati per il conferimento dell’incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici.
In proposito, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che l’omissione dell’avviso di cui sopra, all’indagato, avente ad oggetto gli accertamenti tecnici irripetibili, integra un’ipotesi di nullità di ordine generale a regime intermedio, che è sanata con l’acquisizione concordata della relazione di consulenza[1].
A fronte della comunicazione del Pubblico Ministero, l’indagato può fare riserva di richiesta incidente probatorio chiedendo, pertanto, al Giudice per le Indagini Preliminari di disporre, secondo la propria valutazione sull’irripetibilità dell’accertamento, nel contraddittorio tra le parti gli accertamenti tecnici precedentemente richiesti dal Pubblico Ministero.
La richiesta di incidente probatorio va formulata nel termine tassativo di dieci giorni con la conseguenza, quindi, che nel caso non venisse formulata nel suddetto termine il Pubblico Ministero potrà procedere ad effettuare gli accertamenti di cui si tratta.
Oltre a ciò si rappresenta che, anche nel caso in cui l’indagato facesse riserva di promuovere incidente probatorio, il Pubblico Ministero, qualora ritenesse che gli accertamenti tecnici sono indifferibili, può disattendere la richiesta dell’indagato e procedere nell’esecuzione degli stessi.
In questi casi, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che, qualora sia stata formulata riserva d’incidente probatorio, il P.M. può legittimamente disporre di procedere solo se sussiste l’oggettiva necessità di immediata esecuzione dell’indagine tecnica e cioè l’impossibilità assoluta di effettuarla, con identiche prospettive di risultato, in un momento successivo[2].
Nel caso in cui sia mancante l’oggettiva necessità di immediata esecuzione dell’indagine tecnica ed il Pubblico Ministero non motiva la propria decisione di effettuare, nonostante la richiesta di incidente probatorio, gli accertamenti tecnici, gli stessi non saranno utilizzabili in dibattimento.
Gli accertamenti tecnici sia ripetibili che irripetibili possono avere una stretta correlazione alla c.d. prova scientifica.
Per prova scientifica si intende quella prova che, partendo da un fatto conosciuto, utilizza una legge della scienza per dimostrare un ulteriore fatto da provare[3].
Nel processo penale è sempre più frequente il ricorso a leggi di tipo scientifico per l’accertamento di fatti che integrano reati o per determinare la responsabilità di chi ha agito.
L’ammissione da parte del giudice della c.d. prova scientifica deve necessariamente sottostare ai limiti ed ai divieti probatori stabiliti dagli artt. 188, 189 e 191 c.p.p.
Difatti, per quanto attiene alle prove scientifiche c.d. “atipiche”, bisogna evidenziare che le stesse sottostanno al divieto assoluto all’utilizzabilità delle stesse nel caso in cui attengono a modalità dirette a modificare, influenzare sulla libera autodeterminazione e/o ad alterare ricordi e valutazioni[4].
Tra le prove che si fondano su leggi scientifiche di più recente emersione vanno annoverate quella informatica e quella genetica.
Con lo sviluppo delle nuove tecnologie il legislatore ha sentito l’esigenza di dover disciplinare i mezzi di ricerca della prova nel settore informatico, mediante l’introduzione della legge n. 48 del 2008, al fine di poter garantire la genuinità e la non modificabilità dei dati raccolti nell’esecuzione di perquisizioni, ispezioni e sequestri.
Successivamente, con l’entrata in vigore della legge n. 85 del 2009, invece, è stata recepita la normativa internazionale sulle metodologie di estrazione e di comparazione del DNA (Deoxyribonucleic acid), aprendo così nuove prospettive nelle investigazioni.
Sul punto si rappresenta che, mediante tale normativa, è stata disciplinata la procedura di acquisizione delle tracce biologiche, operando un contemperamento tra l’interesse della collettività all’impiego di uno strumento utile per l’identificazione degli autori dei reati e quello dei privati coinvolti al rispetto della loro riservatezza.
Difatti, alla luce della suddetta normativa, è necessaria l’autorizzazione del giudice per prelevare capelli, peli o mucosa del cavo orale a persona vivente, sempre che sia assolutamente indispensabile per la prova dei fatti stante la circostanza che i summenzionati prelievi incidono nella libertà personale del soggetto cosi come tutelata dalla Costituzione italiana.
La prova scientifica ha il proprio riconoscimento all’interno del procedimento penale mediante lo strumento dell’esperimento giudiziale di cui agli artt. 218-219 c.p., della perizia cosi come disciplinato dagli artt. 220 e ss. c.p.p. oppure mediante l’accertamento tecnico che può avvenire durante la fase delle indagini preliminari[5].
Con riferimento alla perizia si rappresenta che, ai fini valutazione della stessa, deve essere garantito il contraddittorio sulla prova pertanto le parti, Pubblico Ministero, Parte Civile e Difesa dell’imputato, possono nominare i propri consulenti tecnici.
Il contraddittorio viene garantito mediante la partecipazione degli stessi i quali, proponendo il compimento di determinate indagini e formulando le proprie valutazioni cercando di promuovere le proprie conclusioni al giudice.
In fase di valutazione della c.d. prova scientifica, in tutte le sue modalità di rappresentazione, il giudice deve applicare il modello della motivazione legale e razionale accolto dal processo penale e pertanto motivare il proprio convincimento su quanto è emerso nelle valutazioni dei periti.
Sul punto, un importante pronuncia della Corte di Cassazione[6] ha stabilito la piena applicabilità dei criteri enunciate nella sentenza Daubert pronunciata dalla Suprema Corte degli USA del 1993 e che ha precisato gli indici in base ai quali si deve stabilire se un determinato metodo costituisce o meno una conoscenza “scientifica”[7].
I criteri enunciati nella sentenza della Corte statunitense sono: 1) Verificabilità del metodo. Il primo carattere che la conoscenza scientifica deve possedere è quello della verificabilità: una teoria è scientifica se può essere controllata mediante esperimenti; 2) Falsificabilità. Il secondo criterio richiede che la teoria scientifica sia sottoposta a tentativi di smentita, i quali, se hanno esito negativo, confermano la sua affidabilità; 3) Sottoposizione al controllo della comunità scientifica. Si chiede che il metodo sia stato reso noto in riviste specializzate in modo da essere sottoposto alla cd. peer review; 4) Conoscenza del tasso di errore. Occorre che al giudice sia reso noto, per ogni metodo proposto, la percentuale di errore, accertato o potenziale, che quel metodo comporta; 5) Generale accettazione. Soltanto a questo punto il giudice deve considerare se il metodo proposto gode di una generale accettazione nella comunità degli esperti. Tuttavia, si tratta di un criterio ausiliario, ma non indispensabile, poiché la scienza maggioritaria è superabile da un metodo più recente[8].
In base ai suddetti principi la Corte di Cassazione ha stabilito, di fatto, come il giudice deve
individuare affidabili leggi scientifiche applicabili nel caso concreto e finalizzate ad individuare il nesso di causalità; dopodiché, qualora si tratti di leggi statistiche, deve corroborarne l’enunciato astratto alla luce di tutti i dati che possono trarsi dal quadro probatorio concreto, ivi compresa l’esclusione dei possibili decorsi causali alternativi[9].
In conclusione, le pronunce giurisprudenziale di cui sopra, stabiliscono, in sintesi, che la valutazione della prova scientifica deve essere fondata sull’adozione del metodo scientifico, ossia di un criterio che si basi su dati validi e verificabili, che segua perciò un percorso logico‐induttivo tale che ne sia garantita l’affidabilità, per non consentire l’ingresso nel processo di un dato che faccia pervenire ad un risultato sbagliato[10].
[1] Cass., Sez. V, sentenza del 16 marzo 2015 n. 11086
[2] Cass., Sez. V, sentenza del 24 ottobre 2013 n. 43413
[3] http://www.treccani.it/enciclopedia/prova-scientifica_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/
[4] Artt. 188 e 191 c.p.p.
[5] https://www.diritto.it/la-prova-scientifica-nel-processo-penale-intervista-alla-prof-ssa-paola-felicioni-docente-di-diritto-processuale-penale-nella-facolta-di-giurisprudenza-dell-universita-degli-studi-di-firenze/
[6] Cass., sez. IV, sentenza del 17 settembre 2010, n. 43786.
[7] Tale teoria è stata ribadita successivamente anche dalla sentenza Cass., Sez. IV, sentenza del 13 dicembre 2010, n. 43786.
[8] Diritto Penale e Processo 11/2011, La Cassazione accoglie i criteri Daubert sulla prova scientifica. Riflessi sulla verifica delle massime di esperienza, commento di Paolo Tonini
[9] Stefano Zirula in “Oscillazioni nella giurisprudenza di legittimità sulle morti dia amianto” in
[10] https://www.ordineavvocatiroma.it/Documenti/La%20valutazione%20della%20prova%20scientifica.pdf
Sono un Avvocato iscritto all’Ordine degli Avvocati di Monza dal 15.10.2014.
Ho maturato un’importante esperienza in ambito di diritto penale con particolare riferimento, oltre ai reati contro la persona ed il patrimonio, ai reati di carattere tributario e fallimentare.
Sono iscritto nella lista dei difensori d’ufficio ex art. 29 comma 1 bis norme attuazione c.p.p.
Durante la mia attività professionale ho avuto modo di affrontare anche problematiche di natura civilistica in ambito di diritto di famiglia e contenzioso civile.
Credo molto nella mia professione, mi ritengo fortemente motivato a svolgere con la massima professionalità ciascun incarico, anche in situazioni di urgenza ed emergenza che mi venga assegnato. Mi reputo una persona seria ed affidabile; capace sia di eseguire la propria attività in autonomia che di interagire e collaborare nell’ambito di un lavoro di team.
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