venerdì, Aprile 26, 2024
Criminal & Compliance

Violenza sessuale e assunzione di alcol: la differenza tra “uso” e “abuso”

Nota a sentenza Cassazione Penale n. 32462 del 16 luglio 2018 (ud. 19 gennaio 2018), Sez. III, Dott. ROSI Elisabetta – Presidente, Dott. SOCCI Angelo Matteo – rel. Consigliere.

A cura di: Nunzia Pentangelo, Marianna Pollio e Augusta Rapuano. Il lavoro è frutto della comune riflessione degli autori. La stesura dei paragrafi 1 e 5 è opera di Marianna Pollio, quella dei paragrafi 2 e 4 di Nunzia Pentangelo; il paragrafo 3 è stato redatto da Augusta Rapuano e il paragrafo 6 in collaborazione da Marianna Pollio e Nunzia Pentangelo.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Il fatto; 3. Le fattispecie: violenza sessuale, violenza sessuale di gruppo e l’aggravante ex art. 609-ter c.p.; 4. Il consenso a tutela della libertà sessuale; 5. La decisione e la giurisprudenza;
6. L’opinione pubblica e considerazioni finali.

1.Introduzione

Nella sentenza n. 32462 del 16 luglio 2018 (ud. 19 gennaio 2018), la Corte di Cassazione, Sez. III, trovatasi a decidere nuovamente sulla sussistenza del reato di violenza sessuale, formula due importanti principi di diritto confermando, per una parte, l’impugnata sentenza della Corte d’Appello di Torino; per un’altra parte, annullandola con rinvio.

La Corte, infatti, conferma la condanna di due imputati per il reato di cui all’art. 609-octies c.p. (violenza sessuale di gruppo) in particolare con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica della persona offesa, in quanto colpevoli di aver stuprato una ragazza fortemente ubriaca.

Nel caso in esame è pacifico che la vittima abbia assunto alcool di sua spontanea volontà ma ciò non impedisce ai Giudici della terza sezione di dichiarare l’esistenza della “condizione di inferiorità psichica o fisica” potendo quest’ultima prospettarsi anche a seguito di assunzione di alcolici o stupefacenti, indipendentemente dal fatto che l’assunzione sia volontaria o indotta.

Come specificato successivamente in sentenza, infatti, ai fini della valutazione circa la sussistenza di un “valido consenso” al rapporto sessuale, la condizione di incapacità o incoscienza – nel caso di specie l’ubriachezza – rileva di per sé a prescindere se tale stato sia stato dolosamente provocato o derivante da una volontaria assunzione di alcol da parte della vittima, in quanto capace di incidere sul potere di autodeterminazione della persona e potendo, di contro, essere sfruttata dall’agente per il proprio soddisfacimento sessuale.

Ora, se la volontarietà dell’uso di sostanze alcoliche “incide sulla valutazione del valido consenso “ – e perciò sulla sussistenza stessa del reato – bisogna giungere alla conclusione opposta per quanto riguarda la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 609-ter c.p., comma 1, n. 2, che il Giudice di secondo grado aveva riconosciuto in capo ai due imputati.

La Corte, infatti, chiarisce come in questo caso non vi sia il rapporto di strumentalità tra l’uso di sostanze alcoliche e il reato di violenza sessuale che la norma stessa richiede, ovvero che le predette sostanze non siano  state somministrate dal soggetto attivo alla vittima al fine di procurare l’incapacità ed agevolare la commissione del reato.

2.Il fatto

La vicenda risale all’anno 2009. Due uomini di mezza età decidono di uscire a cena con una giovane ragazza bresciana. I tre trascorrono una serata allegra, allietata dal buon cibo e dallo spropositato consumo di bevande alcoliche, ma di lì a poco la serata degenera rapidamente: la donna, infatti, non essendo più in grado di autodeterminarsi per l’eccessivo consumo di alcool, si lascia convincere dai due uomini a seguirli in  albergo. Qui si consumerà il delitto: la donna viene ripetutamente abusata, costretta a subire prima un rapporto orale, e poi una penetrazione anale.

A distanza di qualche ora, la giovane donna si reca al Pronto Soccorso, dove cerca, in modo alquanto confuso, di ricostruire l’accaduto, dopodiché decide di sporgere denuncia.

La decisione del Giudice dell’udienza preliminare di Brescia sopraggiunge nel 2011: gli imputati vengono assolti in primo grado, in quanto la donna viene ritenuta inattendibile. I motivi sono molteplici: innanzitutto, la poca lucidità della donna al momento dell’esposizione dei fatti (aspetto tuttavia comprensibile in una donna abusata e reduce da una consistente consumazione alcolica), basata su un ricordo frammentato, sconnesso da un punto di vista logico; la telefonata che la donna effettua al suo aggressore, comportamento valutato, in base a delle massime di esperienza, non consono ad una persona che abbia subito una violenza sessuale; le ripetute contraddizioni delle deposizioni della giovane riguardo all’assunzione di sostanze stupefacenti (in un primo momento, dichiara di non averne assunte, deposizione poi subito smentita dalle analisi effettuate in pronto soccorso; successivamente, asserisce di aver fatto uso di cannabinoidi solo prima di entrare in ospedale); discordanza tra il referto del medico  di pronto soccorso, che attesta l’inesistenza sul corpo della persona offesa, di segni di opposta resistenza, e del s.i.t. del ginecologo, da cui si evince il contrario.

La Corte d’Appello, poi, ribalta completamente lo scenario sanzionatorio, condannando i due uomini a tre anni, per il reato di violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.) sulla base di una diversa valutazione del referto medico, lo stesso referto che in primo grado non aveva consentito la rappresentazione della avvenuta violenza, dati i leggeri segni di una flebile resistenza, acquisisce ora un’ importanza determinante per la ricostruzione della vicenda.

Il Giudice, nella valutazione della pena in concreto, applica anche l’aggravante di “aver commesso il fatto con l’uso di sostanze alcoliche”, ai sensi dell’art. 609-ter c.p., comma 1, n. 2, aggravante che va a rinvigorire le opposizioni della difesa, che, negando che qualsivoglia abuso fosse stato posto in essere, asserisce anche che la ragazza aveva volontariamente deciso di ubriacarsi, non essendo dunque possibile imputare ai loro assistiti la condizione di incoscienza autodeterminata dalla stessa.

Si pronuncia infine la Cassazione, in seguito ai ricorsi presentati dai due imputati: la Corte conferma la violenza sessuale, in quanto la donna non poteva dare un “valido consenso” alla congiunzione carnale, per lo stato di incoscienza in cui versava. Incoscienza, determinata dal consumo volontario di ingenti quantità di sostanze alcoliche, che dunque, a rigor di legge, non consentono l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 609-ter c.p., comma 1, n. 2 espressa in sede di appello. L’uso volontario delle bevande alcoliche alteranti il suo stato di coscienza va ad incidere dunque solo sulla determinazione di un consenso valido, determinando l’integrazione della fattispecie di abuso sessuale.

  1. Le fattispecie: violenza sessuale, violenza sessuale di gruppo e l’aggravante ex art. 609-ter p.

Di seguito si analizza attentamente il fulcro della vicenda, la violenza sessuale, prima ancora di parlare di una ramificazione della stessa, ovvero la violenza sessuale di gruppo.

La libertà sessuale e la violenza sessuale sono due facce della stessa medaglia; potremmo anche considerarle due punti di un triangolo equilatero al cui vertice collochiamo lo Stato, che ha sia l’onere di tutelare,sia l’onere di punire. La violenza sessuale è una specifica ipotesi di violenza privata, che si distingue per avere un peculiare disvalore. Lo schema del nuovo codice penale ha abbandonato la vecchia denominazione di “stupro”, prevedendo la vis come aggravante.1

Questa non è solo una modifica che colpisce il testo letterale della norma, ma a ragion veduta, modifica il raggio di applicazione normativo: pertanto la libertà sessuale non viene offesa solo quando viene in essere il dissenso, in quanto potrebbe essere dissenziente anche la persona non resistente perché, ad esempio, terrorizzata dagli stupratori in branco. 2

È importante specificare come sussumere il disvalore degli atti sessuali, ovviamente non rintracciabile nell’atto sessuale in sé, ma nel mezzo e quindi nella non consensualità libera.

L’articolo 609-bis c.p. unifica quattro eterogenee ipotesi :

  • atti sessuali violenti;
  • atti sessuali abusivi con abuso di autorità;
  • Atti sessuali abusivi con abuso di condizioni di infermità fisica o psichica della vittima;
  • Atti sessuali ingannatori con inganno da sostituzione di

Queste fattispecie non hanno in comune la vis bensì l’ atto sessuale non libero perché carpito con violenza, abuso, inganno.

Avendo delineato il contenuto della norma nella sua totalità, concentriamoci ora ad analizzare in particolare il numero 3, fattispecie concreta della nostra sentenza. La Corte di Cassazione conferma la sentenza della Corte d’Appello nella parte in cui si prevede la violazione dell’articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1 perché, come dimostra l’intero quadro probatorio, si sono realizzati tutti gli estremi di una violenza sessuale di gruppo. Quanto detto viene confermato dalla presenza degli elementi comuni (dell’art. 609-bis c.p.) ed in più, gli elementi differenziali consistenti nel mezzo costituito dall’abuso delle condizioni di inferiorità della vittima ( fisica o psichica).3

Con riferimento all’infermità mentale non parliamo, nel nostro caso, di patologia psichiatrica o neurologica, bensì di infermità momentanea e transitoria determinata da un fatto occasionale proprio della vittima.

L’abuso sta qui ad indicare non l’esercizio illegittimo di un potere spettante al soggetto, bensì lo sfruttamento, l’approfittamento, la strumentalizzazione ai fini sessuali dell’altrui posizione di inferiorità. 4 Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, si richiede il dolo generico ovvero la coscienza e volontà del soggetto attivo di indurre, mediante abuso delle condizioni di inferiorità fisica e psichica, la persona offesa a compiere o subire atti sessuali.

Venendo all’aggravante ex art. 609-ter c.p., comma 1, n. 2, riconosciuta in capo agli imputati dalla Corte d’Appello, la ratio di tale norma è la maggiore pericolosità, nello specifico, la particolare insidiosità delle sostanze alcoliche. Tra l’uso di detti mezzi e la costrizione o induzione prevista dall’art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1 deve esistere un rapporto strumentale/eziologico ovvero un rapporto di causa-effetto, onde l’aggravante non esiste se essi non hanno influito sull’autodeterminazione della vittima.

La Corte, pertanto, ha sancito l’inapplicabilità al caso concreto della predetta aggravante, mancandone i presupposti. Di fatto gli autori del reato non hanno indotto la vittima ad assumere sostanze alcoliche per poi abusare di lei5, al contrario la vittima consapevolmente ha scelto di assumere una quantità di alcol tale da compromettere la propria capacità psicofisica.

  1. Il consenso a tutela della libertà sessuale

Ai sensi dell’art. 609-bis c.p., comma 2, la violenza sessuale si configura anche quando il soggetto attivo induce la vittima a compiere o subire atti sessuali abusando delle sue condizioni di inferiorità fisica o psichica.

La disposizione contemplata comprende due ipotesi di violenza sessuale mediante induzione, cioè posta in essere non mediante azione diretta sulla persona offesa, ma secondo modalità specificamente descritte idonee a suggestionarne la volontà ,che risulta condizionata e non espressa liberamente.

Il consenso acquisisce dunque una posizione determinante per la configurazione del reato di violenza sessuale, contemplato dall’art. 602-bis c.p.: affinché si configuri un valido consenso, infatti, esso deve essere presente dall’inizio della congiunzione fino alla fine; inoltre deve essere libero e non condizionato.

La Cassazione ha infatti stabilito che “il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità, con la conseguenza che integra il reato di violenza sessuale la prosecuzione di un rapporto nel caso in cui il consenso originariamente prestato venga poi meno a seguito di un ripensamento o della non condivisione delle forme o modalità di consumazione dell’amplesso”. 6

A tale conclusione appare doversi pervenire sia in base al criterio giurisprudenziale della valutazione caso per caso della esistenza o meno della medesima ratio aggravatrice o attenuatrice, sia in base al criterio dottrinale (Romano) secondo cui l’inserimento di più ipotesi nel medesimo numero o comma avrebbe la funzione di escludere il concorso poiché altrimenti si attribuirebbe alle circostanze un ruolo eccessivo.

Se anche, dunque, un consenso iniziale venisse espresso, il suo venir meno durante il rapporto integra comunque il reato di cui all’art. 609-bis c.p. 7 Diverso discorso va fatto per il dissenso: non è necessario che esso si manifesti per tutto il periodo di esecuzione del delitto, essendo sufficiente che si estrinsechi all’inizio della condotta antigiuridica. Gli imputati, dunque, non possono invocare a loro giustificazione di aver agito in presenza di un consenso dell’avente diritto tacito o presunto, stante la tempestiva reazione della vittima al momento iniziale.8

Nell’ipotesi contemplata dal comma 2 dell’art. 602-bis c.p., ossia nel caso di violenza sessuale presunta, costituisce elemento strutturale della fattispecie criminosa un consenso “apparente”: la vittima sembra acconsentire all’atto sessuale, ma in realtà tale consenso è viziato dall’inganno, o nel caso oggetto della sentenza in esame, dall’abuso delle condizioni di inferiorità psichica in cui versa la persona offesa, condizioni che in tal caso sono temporanee, in quanto determinate dall’ubriachezza.

Non può inoltre trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 62 c.p., n. 5, circostanza attenuante comune prevista per l’ipotesi in cui la persona offesa abbia concorso con dolo a determinare l’evento dannoso: affinché questa possa operare, infatti, nella serie causale del fatto si deve inserire una condotta volontariamente, quindi dolosamente, posta in essere dalla vittima. 9 Nell’ipotesi in esame, il consenso carpito con abuso delle condizioni di inferiorità psichiche non può essere valutato alla stregua di un comportamento doloso posto in essere dalla vittima, essendo essa incapace di autodeterminarsi, di esprimere una volontà libera e incondizionata.

Per comprendere a pieno  la rilevanza del consenso, bisogna  considerare la ratio sottesa alla disposizione dell’art. 609-bis c.p.: la tutela della libertà sessuale, ossia la libertà di autodeterminarsi nello specifico ambito della sessualità.

Secondo autorevole dottrina, la norma tutela anche un ulteriore aspetto, quello della dignità della persona offesa, ossia “il diritto di ciascuna persona a non essere ridotta al rango di un oggetto alla mercé dei desideri sessuali altrui”.10

  1. La decisione e la giurisprudenza

La Cassazione dichiara inammissibili per manifesta infondatezza dei motivi i ricorsi presentati dagli imputati, confermando la condanna per il reato di cui all’art. 609-octies c.p. realizzato abusando delle condizioni di inferiorità psichica o fisica della persona offesa, ad accezione del solo motivo relativo alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 609-ter c.p. comma 1, n. 2, che risulta fondato.

In questa sede due sono i principi di diritto enunciati.

Riguardo al primo, la Corte afferma: “Integra il reato di violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.), con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica, la condotta di coloro che inducano la persona offesa a subire atti sessuali in uno stato di infermità psichica determinato dall’assunzione di bevande alcooliche, essendo  l’aggressione  all’altrui  sfera sessuale connotata da modalità insidiose e subdole, anche se la parte offesa ha volontariamente assunto alcool e droghe, rilevando solo la sua condizione di inferiorità psichica o fisica seguente all’assunzione  delle dette sostanze” ribadendo un concetto che più volte ha espresso con giurisprudenza costante.

Fondamentale, in questo caso, è definire cosa si intende per “condizioni di inferiorità della persona offesa”.

Sul punto la Corte non ha dubbi e chiarisce che “in tema di violenza sessuale di gruppo, rientrano tra le condizioni di “inferiorità psichica o fisica”, previste dall’art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, anche quelle conseguenti alla volontaria assunzione di alcolici o di stupefacenti, in quanto anche in tali casi la situazione di menomazione della vittima, a prescindere da chi l’abbia provocata, può essere strumentalizzata per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell’agente” riportando, a sostegno di quanto affermato, numerosi precedenti.11

In particolare, nella sentenza n. 40565/2012 la Cassazione, nel confermare la condanna per il reato di cui all’art. 609-octies c.p. con abuso delle condizioni di inferiorità psichiche e fisiche della persona offesa, riprende le linee interpretative già affermate dalla stessa Corte riguardo agli elementi costitutivi del reato di violenza sessuale, specificando quando si ha induzione e quando abuso.12 In tal senso, “l’induzione a compiere o subire atti sessuali si realizza quando, con un’opera di persuasione sottile e subdola, l’agente spinge, istiga o convince la persona che si trova in stato di inferiorità ad aderire ad atti sessuali che diversamente non avrebbe compiuto. Quanto all’abuso, è stato ribadito che lo stesso consiste nel doloso sfruttamento da parte dell’autore del reato, delle condizioni di menomazione della vittima, che viene strumentalizzata con l’obiettivo di accedere  alla  sua  sfera  intima  a  fini  di  soddisfacimento  degli  impulsi sessuali.” Quindi, concludendo, chiarisce che l’induzione ad un atto sessuale mediante abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica si realizza quando l’agente approfitta e strumentalizza tali condizioni per soddisfare le proprie voglie sessuali per cui lo stesso “fruisce” del corpo della persona offesa che, invece, viene ridotta al rango di “oggetto”.

Sul punto, la Corte si è già espressa all’indomani della riforma del 1996 (legge del 15 febbraio, n. 66), con la sentenza Sez. 3, n. 4114 del 15/02/1997 – c.c. 03/12/1996, Rv. 20732813, e vi è tornata più volte negli anni confermando sempre il proprio orientamento14.

Altra pronuncia, citata nella sentenza in esame, è la n. 45589/2017 in cui la Terza Sezione annulla con rinvio l’ordinanza impugnata dal Pubblico Ministero e con la quale, in sede di appello, il Tribunale aveva confermato il rigetto del Giudice per le Indagini Preliminari avverso la richiesta dello stesso Pubblico Ministero di custodia cautelare in carcere per il reati di cui agli artt. 609-octies (in relazione all’art. 609-bis) e 609-ter c.p. Anche in questo caso la vittima è sotto effetto di alcol e droghe assunte volontariamente ma tale circostanza viene utilizzata da ben due Giudici per dichiarare insussistenti i gravi indizi di colpevolezza e quindi, la violenza. In questa sede la Corte coglie l’occasione per soffermarsi sulle condizioni per esprimere un valido consenso al rapporto sessuale, affermando che risulta irrilevante chi abbia cagionato l’incapacità o l’incoscienza. Tale assunto viene peraltro egualmente ripreso dalla sentenza in commento. L’errore dei Giudici di merito, quindi, è stato quello di essersi soffermati soltanto sulla volontarietà dell’assunzione di alcool e stupefacenti, senza considerare se al momento dei fatti la vittima poteva essere considerata capace di esprimere il consenso.15

L’esclusione di un valido consenso, quale requisito esplicito del reato di violenza sessuale, risalta anche in altre pronunce in cui la Cassazione ha riconosciuto la sussistenza del reato di cui all’art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, nonostante l’atto sessuale sia avvenuto concordemente ma, tale consenso, sia da considerarsi in un qualche modo viziato16.

Riguardo al secondo principio di diritto desumibile dalla motivazione della sentenza in esame, i Giudici di legittimità affermano “che l’assunzione volontaria dell’alcol esclude la sussistenza dell’aggravante, poiché  la  norma prevede l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti (o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa).” “L’uso delle sostanze alcoliche” – prosegue la Cassazione – “deve essere, quindi, necessariamente strumentale alla violenza sessuale, ovvero deve essere il soggetto attivo del reato che usa l’alcol per la violenza, somministrandolo alla vittima; invece l’uso volontario, incide sì, come visto, sulla valutazione del valido consenso, ma non anche sulla sussistenza dell’aggravante.” Risulta, infatti, pacifico sia nella sentenza di merito sia nei ricorsi, lo stato di ubriachezza della persona offesa, volontariamente causato. La soluzione sembra certamente coerente con il dettato normativo che richiede “l’uso di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti” da intendersi finalizzato a causare la situazione di incapacità psichica e fisica.

Per meglio comprendere in quali casi, invece, la Corte riconosce l’esistenza dell’aggravante di cui all’art. 609-ter c.p., comma 1, n. 2, si consideri la sentenza n. 18360 del 07/05/2008, in cui la Terza Sezione, rigettando il ricorso proposto da un medico anestesista, afferma che “ricorre certamente il reato di violenza sessuale nel caso in cui lo stato di incoscienza della vittima sia stato provocato mediante la somministrazione di farmaci anestetici”. In questo caso lo stato di assoluta incapacità della vittima è determinato dall’imputato – e non una sola volta – allo scopo di compiere  la violenza17, situazione ben diversa da quella di offrire più volte vino ad una cena ad una persona già in stato di ebbrezza che però, consapevolmente, l’accetta.

Non bisogna confondere, ed è questo che la Corte pone in evidenza con la sentenza n. 32462/2018, l’approfittare dello stato di incoscienza conseguente all’assunzione volontaria di sostanze alcoliche o stupefacenti, con il determinare tale stato di incapacità allo scopo di compiere la violenza.

  1. L’opinione pubblica e considerazioni finali

La sentenza della Cassazione qui presa in esame ha posto nuovamente al centro del dibattito sociale il modo in cui i giudici e il codice penale italiano puniscono le violenze sessuali: in molti hanno ritenuto che la decisione dei giudici fatichi ad interfacciarsi con la realtà dei contesti sociali in cui operano gli abusi e, come già accaduto in passato, sembrerebbe attribuire parte di responsabilità anche alla vittima, focalizzando l’attenzione sul dato della volontaria assunzione di sostanze alcoliche, ai fini dell’esclusione dell’aggravante.

Quello della violenza sessuale, infatti, è un tema che intreccia questioni giuridiche, sentimento comune e risvolti politici, un tema molto “caldo” che facilmente dà vita a richieste di impronta giustizialista: basti pensare che in Italia il 21% delle donne tra i 16 e i 70 anni è stata vittima di violenza sessuale, di cui 652 mila vittime di stupro e 746 mila di tentato stupro.18

Ma una lettura attenta della decisione e una sua migliore valutazione libera da moralismi, può far comprendere a pieno la portata innovativa, nonché l’assoluta aderenza al dettato normativo.

In primo luogo, infatti, in ordine alla sussistenza dell’ipotesi di “abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa”, è inutile ribadire quanto già affermato da autorevole dottrina e da una giurisprudenza pacifica e costante riportata nei paragrafi precedenti, le quali riconoscono tale ipotesi anche a seguito di assunzione di alcool, sia essa volontaria o meno.

In secondo luogo, la Cassazione ha giustamente annullato la sentenza di secondo grado nella parte in cui riconosce in capo ai due imputati l’aggravante di cui all’art. 609-ter c.p. dovendo essere, per la determinazione e applicazione di tale aggravante, il soggetto attivo del reato a somministrare intenzionalmente le sostanze alcoliche al fine di commettere la violenza sessuale.

1 Per i profili storici: CAZZETTA G., Colpevole col consentire. Dallo stupro alla violenza sessuale nella penalistica dell’800, in Riv. Dir. E proc. Pen., 1997;  Praesumitur  seducta: Onestà e consenso femminile nella cultura giuridica moderna, Milano, 1999.

2 ROMANO F., La violenza sessuale: luci ed ombre nella normativa vigente e nelle prospettive di riforma, in , 1991; VENTIMIGLIA C., La differenza negata: ricerca sulla violenza sessuale in Italia, Milano,1988; SCORDAMAGLIA, La violenza sessuale di gruppo e il concorso di persone nel reato, in Giustizia Penale, 2013.

3 Per le diverse opinioni, v. NAPPI A., in Giurisprudenza Sistematica, p. 375.

4 La giurisprudenza riportava alle condizioni di inferiorità anche il sonno, parlando di condizioni di inferiorità fisica (Cass. Pen. 1970).

5 A tale conclusione appare doversi pervenire sia in base al criterio giurisprudenziale della valutazione caso per caso della esistenza o meno della medesima ratio aggravatrice o attenuatrice, sia in base al criterio dottrinale (Romano) secondo cui l’inserimento di più ipotesi nel medesimo numero o comma avrebbe la funzione di escludere il concorso poiché altrimenti si attribuirebbe alle circostanze un ruolo eccessivo.

6 Cass, Sez. III penale, sent. 4532 del 29/1/2008 (ud. 11/12/2007).

7 A tal proposito, si veda Cass., Sez. III penale, n. 37916 del 1 ottobre 2012.

8 Cass, Sez. III penale, n. 2512 del 29/1/2000.

9 Cass, Sez. III penale, n. 13710 del 14/4/2005.

10 DOLCINI E., GATTA G. L., (diretto da), Codice Penale commentato, Milano, 2015, IV edizione, p. 327.

11 Cass. Pen., Sez. III, n. 45589 del 11/01/2017 – dep. 04/10/2017, P.M. in proc. B, Rv. 27101701;  Cass.  Pen.,  Sez.  III,  n.  39800  del  21/06/2016  – dep.  26/09/2016,  C, Rv. 26775701, e Cass. Pen., Sez. III, n. 40565 del 19/04/2012 – dep. 16/10/2012, D. N., Rv. 25366701.

12 La vicenda è quella di una diciottenne indotta da un gruppo a subire e compiere vari atti sessuali sfruttando lo stato di semi-incoscienza derivante dall’uso di sostanze alcoliche. Inoltre la ragazza, che accusava un forte stato di malessere, voleva lasciare l’imbarcazione su cui si trovava con i coimputati ma con la scusa di accompagnarla in cucina sotto -coperta per farle bere dell’acqua e poi di farla riposare in una cabina, viene portata in una stanza dove si è consuma il delitto.

13 Nella pronuncia indicata, l’induzione è stata definita come l’opera di persuasione mediante il quale il soggetto passivo viene convinto a compiere o subire l’atto sessuale, e l’abuso come la distorta utilizzazione delle condizioni di menomazione da parte dell’agente.

14 Si veda Cass. Pen., Sez. III, sent. N. 47453 dell’11/12/2003 (ud. 6/11/2003), Rv. 226676; Cass. Pen., Sez. III, sent. N. 2646 del 27/01/2004 (ud. 16/12/2003), Rv. 227029 in cui afferma che si ha induzione punibile quando la condotta configuri una vera e propria sopraffazione nei confronti della vittima che soggiace al volere del soggetto attivo, ridotta a strumento di soddisfazione; conf. Cass. Pen., Sez. VI, sent. N. 40975 del 31/10/2008 (ud. 17/09/2008), Rv. 241326; e Cass. Pen., Sez. III, sent. N. 20766 del 03/03/2010 (ud. 14/04/2010), Rv. 247655 in cui la Corte aggiunge che l’ induzione si realizza quando, con un’opera di persuasione sottile e subdola , l’agente istiga o convince la persona che si trova in stato di inferiorità ad aderire ad atti sessuali che diversamente non avrebbe compiuto.

15 Cass. Pen., Sez. III, 11 gennaio 2017, n. 45589, P.m. in proc. B. Nel caso di specie, la Corte evidenzia un vizio nella motivazione dell’ordinanza impugnata in quanto “quello che rileva non è chi ha cagionato lo stato di incapacità (ovvero se a fornire alcol e droga fossero stati gli indagati al fine dell’atto sessuale, o se la ragazza lo avesse assunto volontariamente), ma se al momento degli atti sessuali la donna era o no in grado di esprimere il consenso al rapporto con i tre ragazzi”.

16 Si veda Cass. Pen., Sez. III, n. 24212 del 27/05/2004- ud. 24/04/2004, Rv. 228697 in cui la Corte afferma che, ai fini della configurabilità del reato sopra indicato, non basta accertare se la persona con cui è intercorso il rapporto abbia espresso il proprio consenso, ma anche se questo non sia la conseguenza di una strumentalizzazione della inferiorità della vittima incapace di resistere o comprendere a pieno la natura dell’atto a cui partecipa; Cass. Pen., Sez. III, n. 33761 del 03/09/2007 – ud. 09/05/2007, Rv. 237398 in cui la Terza Sezione affronta un caso in cui il consenso non poteva che essere considerato viziato e, quindi, non prestato. La vicenda è quella di una donna convinta che il suo stato di depressione , perdurante da tempo, dipendesse da un sortilegio e che indotta a credere che il sesso potesse scacciare il maleficio, si presta a compiere atti che altrimenti non avrebbe compiuto.

17 Cass. Pen., Sez. III, 7 maggio 2008, n. 18360, A.D. La vicenda è quella di un medico anestesista che induce una donna a subire atti sessuali consistiti nel denudarla, toccarla nelle parti intime del corpo in tal modo scoperte, nel porla in pose erotiche, nello scattarle numerose fotografie, mentre la parte offesa si trovava in stato di assoluta incoscienza determinato dal predetto, prima in una stanza del reparto di terapia intensiva dell’Ospedale, e poi all’interno della sua abitazione ove il ricorrente si era recato nella qualità di medico in servizio presso la ASL.

18 ALLEVA G., La dimensione del fenomeno della violenza di genere, 11 aprile 2018, in www.istat.it, https://www.istat.it/it/files//2018/03/Violenza-di-genere_Prof.-G.- Alleva.pdf

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