martedì, Dicembre 10, 2024
Litigation & Arbitration

Il danno ambientale in ambito civile

A cura di Roberta Chicone e Federica Nazzaro

 

  1. La costituzionalizzazione del diritto ambientale

L’ambiente è un bene giuridico unitario, fruibile dalla collettività e dai singoli liberamente, costituito da diverse componenti, i beni ambientali, ciascuna delle quali può essere isolatamente e separatamente oggetto di cura e di tutela.

Come a tutti noto, i danni al bene ambiente sono danni alla salute umana, al mondo animale, vegetale e all’ecosistema in generale.

Al fine di far fronte alle inevitabili conseguenze dannose non solo per l’ambiente ma soprattutto per l’uomo, i legislatori dei diversi ordinamenti nazionali nonché sovranazionali hanno legiferato in materia di tutela ambientale prevedendo una disciplina sostanziale.

Nella Costituzione italiana, la parola “ambiente” compare solo nel 2001 con la modifica dell’art. 117 (l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3) in riferimento alla distribuzione delle competenze tra Stati e Regioni.

Nello specifico il comma 2 dell’art. 117 Cost. attribuisce la competenza legislativa esclusiva allo Stato in materia di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, riservando con il successivo comma 3 alle Regioni una competenza concorrente in materia di valorizzazione dei beni ambientali.

La consacrazione dell’ambiente a valore costituzionale primario ed assoluto frutto dell’insegnamento della Corte Costituzionale[1] che, nel corso degli anni, leggendo in combinato disposto l’art. 9, comma 2, Cost. che ha ad oggetto il paesaggio, l’art. 32, comma 1, Cost. che ha ad oggetto il diritto alla salute[2] e l’art. 41 Cost. avente ad oggetto la libertà di iniziativa economica privata.

La Corte Costituzionale, nello specifico, ha affermato che l’interesse dei singoli alla tutela del bene ambiente trova fondamento nel loro diritto alla salute, dunque, l’ambiente è protetto come elemento determinativo della qualità della vita, la sua salvaguardia di conseguenza non è fine a se stessa ma risponde all’esigenza di assicurare un habitat idoneo all’esistenza umana.

Solo con l’approvazione della legge costituzionale n. 1 dell’11 febbraio 2022 recante “Modifica agli articoli 9 e 41 Costituzione in materia di tutela ambientale” il diritto dell’ambiente ha assunto una propria oggettività giuridica rilevando come bene autonomo costituzionalmente tutelato.

Nello specifico con la riforma suddetta: (i) l’art. 9 Cost. è stato modificato con l’aggiunta del comma 3 che tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni[3], mentre (ii) l’art. 41 Cost. è stato modificato aggiungendo al secondo comma il riferimento sia alla salute che all’ambiente così come segue: “l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, e con l’aggiunta al terzo comma dello svolgimento dell’attività economica anche ai fini ambientali[4].

  1. La tipizzazione dell’illecito ambientale e la tutela risarcitoria del danno ambientale

La disciplina del danno ambientale e della relativa tutela risarcitoria è stata formalizzata relativamente di recente, essendo contenuta in via generale nella parte sesta del TU ambiente, Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (dall’art. 298 bis all’art. 318 c.a.).

Secondo la definizione dettata dal codice ambientale costituisce danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto e indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima (art. 300, comma 1, c.a.). Il codice dell’ambiente precisa tra l’altro che il deterioramento, rispetto alle condizioni originarie, deve riguardare:

1) le specie viventi (flora e fauna);

2) le acque interne ed il loro stato ecologico; chimico e/o quantitativo;

3) le acque costiere ed il mare territoriale;

4) il terreno inteso come sottosuolo (art. 300, comma 2)[5].

La norma tutela il bene giuridico “salute umana”, mentre il terreno viene considerato quale mezzo di potenziale nocività, non è invece presa in considerazione l’atmosfera quale oggetto di tutela diretta contro danni ambientali[6].

Tuttavia, la tipizzazione del quadro normativo italiano della figura del danno ambientale risale ad epoca antecedente e precisamente all’emanazione dell’art. 18 alla Legge 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell’ambiente.

Con la suddetta legge per la prima volta è stata data attuazione al principio comunitario “chi inquina paga”, imputando al singolo soggetto responsabile i costi da sostenere per far fronte al danno causato all’ambiente da un’attività compiuta in violazione di legge.

Con la recente sentenza n. 3077 del 01.02.2023 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno sul punto chiarito che l’applicazione del principio “chi inquina paga” non può prescindere dall’accertamento del (i) nesso causale tra l’attività posta in essere dal soggetto e gli elementi inquinanti, e (ii) la responsabilità soggettiva per colpa o dolo del soggetto ritenuto responsabile.

La responsabilità da danno ambientale si configura dunque solo in capo a colui che abbia effettivamente cagionato o contribuito a cagionare il danno ambientale, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, con il conseguente obbligo risarcitorio. La responsabilità da danno ambientale risultava modellato, in altri termini, su quello della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. composto dagli elementi strutturali della condotta colposa o dolosa (elemento psicologico), dell’evento lesivo del bene ambiente (elemento materiale), del fatto ingiusto commesso in violazione di leggi (elemento giuridico).

Ora, come noto, l’impiego della nozione di responsabilità civile mira generalmente ad ottenere un risarcimento c.d. per equivalente, i.e. di tipo pecuniario, in relazione alla lesione dei beni tradizionali “beni o persone”. Tuttavia, la lesione del bene ambiente non è facilmente suscettibile di valutazione economica: pertanto l’art. 18 L. 349/1976 privilegiava il risarcimento in forma specifica (bonifica e ripristino della matrice ambientale compromessa) prevendendo solo in caso di impossibilità oggettiva o eccessiva onerosità del rispristino (ex art. 2058 c.c.) il risarcimento del danno ambientale per equivalente.

Nello specifico, il comma 6 dell’art. 18 L. 349/1976 stabiliva che “il giudice, ove non sia possibile una precisa quantificazione del danno, ne determina l’ammontare in via equitativa, tenendo conto della gravità della colpa individuale, del costo necessario per il ripristino e del profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali”.

Nel caso del proprietario di un’area inquinata, che non sia anche l’autore dell’inquinamento, graverà dunque sul responsabile dell’inquinamento l’obbligo di realizzare le misure di messa in sicurezza di emergenza e bonifica, essendo invece il proprietario ‘non responsabile’ tenuto esclusivamente ad adottare le misure di prevenzione[7].

La direttiva europea 2004/35/CE ha però dato indicazioni differenti in materia risarcitoria del danno ambientale adottando unicamente il modello ripristinatorio-riparatorio e non lasciando più alcuno spazio alla monetizzazione del danno ambientale.

La direttiva è stata recepita dal nostro ordinamento dal D.Lgs. n. 152/2006 (codice dell’ambiente) che, pur abrogando l’art. 18 della L. n. 349/1986 con la sola eccezione del quinto comma (relativo alla legittimazione speciale delle associazioni ambientaliste nazionali),  nella sua formulazione originaria introduceva un sistema binario di risarcimento: in caso di mancato ripristino la norma consentiva al Ministro dell’ambiente di chiedere in giudizio o tramite un’ordinanza di ingiunzione il risarcimento del danno “per equivalente patrimoniale” (artt. 311, comma 2 e 313, comma 2, c.a.).

Tuttavia, la Commissione Europea avviava nei confronti dell’Italia, ex art. 226 TCE, la procedura di infrazione n. 4679/07 a causa del non corretto recepimento di tale direttiva proprio perché, in violazione del disposto della direttiva europea 2004/35/CE, gli artt. 311, 312 e 313 del D. Lgs. n. 152/2006 consentivano ancora la possibilità di sostituire le misure di riparazione con il risarcimento per equivalente pecuniario o patrimoniale.

Si è così giunti al successivo D.L. n. 135/2009 (decreto salva infrazioni) convertito con L. 166/2009, che ha modificato l’art. 311, comma 2 c.a., stabilendo che il danno all’ambiente deve essere risarcito in via prioritaria con il ripristino (c.d. riparazione primaria) o, in mancanza, con misure di riparazione complementari previste dalla direttiva europea, indicando il risarcimento per equivalente come extrema ratio cui ricorrere solo nell’ipotesi in cui l’effettivo ripristino o l’adozione di misure di riparazione siano in tutto o in parte omesse, impossibili o eccessivamente onerose.

Nondimeno, la Commissione Europea ha nuovamente contestato all’Italia di aver mantenuto in vigore norme che consentivano la sostituzione delle misure di riparazione con i risarcimenti pecuniari e solo a seguito di quest’ulteriore contestazione, il legislatore nazionale con la Legge 97/2013 ha abrogato ogni riferimento al risarcimento per equivalente monetario del danno ambientale contenuto negli artt. 311 (sin dalla rubrica) e 313 TU ambiente.

Pertanto, attualmente il danno ambientale non può essere risarcito per equivalente pecuniario bensì attraverso misure di riparazione e con i criteri enunciati negli allegati 3 e 4 del D. Lgs. n. 152/2006, solo nel caso in cui l’adozione di misure di riparazione risulti omessa o comunque realizzata in maniera difforme o incompleta, il Ministro dell’ambiente dopo aver determinato i costi delle attività necessarie per il ripristino potrà agirà nei confronti del responsabile per ottenere il pagamento delle forme corrispondenti.

L’art. 311, comma 2, T.U. ambiente difatti statuisce espressamente che: “Quando si verifica un danno ambientale cagionato dagli operatori le cui attività sono elencate nell’allegato 5 alla presente parte sesta, gli stessi sono obbligati all’adozione delle misure di riparazione di cui all’allegato 3 alla medesima parte sesta secondo i criteri ivi previsti, da effettuare entro il termine congruo di cui all’articolo 314, comma 2, del presente decreto. Ai medesimi obblighi è tenuto chiunque altro cagioni un danno ambientale con dolo o colpa. Solo quando l’adozione delle misure di riparazione anzidette risulti in tutto o in parte omessa, o comunque realizzata in modo incompleto o difforme dai termini e modalità prescritti, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare determina i costi delle attività necessarie a conseguirne la completa e corretta attuazione e agisce nei confronti del soggetto obbligato per ottenere il pagamento delle somme corrispondenti[8].

La competenza in tema di danno ambientale spetta al giudice ordinario:

– ex artt. 311, comma 1 e 315 c.a.: nell’azione civile proposta per il risarcimento del danno ambientale[9];

– ex art. 313, comma 7. c.a.: nel giudizio promosso verso il responsabile di soggetti danneggiati nella loro salute o nei beni di loro proprietà[10];

– ex art. 317 c.a.: nelle controversie aventi ad oggetto la riscossione delle somme costituenti credito dello Stato ai sensi delle disposizioni di cui alla parte VI del c.a. nell’ammontare determinato dal ministro o dal giudice[11];

– ex artt. 304, comma 4 e 305 comma 3: nell’azione di rivalsa del ministro dell’ambiente e della tutela del territorio verso chi abbia causato o concorso a causare le spese sostenute per l’adozione delle misure necessarie ai fini di prevenzione e di ripristino del danno[12].

Legittimato ad agire per il risarcimento del danno ambientale ai sensi dell’art. 311, comma 1, c.a. è in via esclusiva il Ministro dell’ambiente con il patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato, che potrà agire per il recupero del danno ambientale alternativamente attraverso un’azione giudiziale o attraverso una procedura amministrativa finalizzata all’emanazione di un’ordinanza da parte del Ministro dell’ambiente attraverso la procedura ex artt. 312 e ss. c.a.

La procedura amministrativa di autotutela, alternativa all’ordinaria azione giudiziale, prevede l’espletamento di un’istruttoria che ha come finalità l’emissione di un’ordinanza ministeriale di ripristino ambientale a titolo di risarcimento in forma specifica (art. 313, comma 1, c.a.). In sede istruttoria il c.a. all’art. 312 concede al Ministro nuovi e penetranti poteri ispettivi che arrivano a comprende perquisizioni domiciliari e personali[13].

Tuttavia, occorre rilevare che in caso di adozione da parte del Ministro dell’ordinanza suddetta, e dunque agendo in via amministrativa, non si potrà procedere nel giudizio ordinario per il risarcimento del danno ambientale, salva la possibilità dell’intervento in qualità di persona offesa dal reato nel giudizio penale[14].

Del pari, il Ministro dell’ambiente potrà decidere di agire in via giudiziale dinanzi il giudice ordinario, anche esercitando l’azione civile in sede penale per il risarcimento del danno in forma specifica o eventualmente per equivalente patrimoniale (ex art. 311, comma 1, c.a.)[15], rinunciando all’azione in via amministrativa.

L’azione civile si avvia con la notifica dell’atto di citazione ad opera del Ministro dell’Ambiente, difeso ex lege dall’Avvocatura dello Stato, dinanzi il Tribunale competente per territorio secondo il foro in cui è ubicata l’area esposta o compromessa dall’illecito ambientale[16].

In ogni caso, l’azione pubblica per il risarcimento del danno ambientale non esclude il diritto dei singoli soggetti danneggiati, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio per la tutela dei diritti ed interessi lesi, diversamente in caso di avvenuto risarcimento del danno non possono essere ammesse azioni concorrenti da parte di altre autorità (art. 313, comma 7, c.a.)[17].

Sul punto si segnala quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 126 del 2016: “In base a quanto previsto dall’art. 313, comma 7, del codice dell’ambiente, la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali spetta non solo al Ministero ma anche all’ente pubblico territoriale e ai soggetti privati che per effetto della condotta illecita abbiano subito un danno risarcibile ai sensi dell’art. 2043 del codice civile, diverso da quello ambientale. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che non sussiste alcuna antinomia reale fra la norma generale di cui all’art. 2043 cod. civ. e la norma speciale di cui all’art. 311, comma l, del d.lgs. n. 152 del 2006”.

Tra i danni alla sfera del singolo soggetto, conseguenza del danno ambientale, vengono in rilievo non solo quelli di natura patrimoniale quali quelli del proprietario del bene danneggiato (si pensi ad es. al proprietario del fondo su cui è avvenuto lo sversamento di rifiuti), ma soprattutto i danni di natura non patrimoniale relativi lo stato di salute del singolo soggetto, il danno biologico e le relative sofferenze morali, al riguardo si segnala che la giurisprudenza ha riconosciuto ex art. 2059 c.c. il risarcimento del c.d. danno da patema d’animo connesso dal timore per il singolo individuo per le ripercussioni sul proprio stato di salute dovute dall’esposizione alle sostanze tossiche di un disastro ambientale (cfr. Cass. n. 11059/2009).

Con riferimento, infine, al termine di prescrizione dell’azione per il risarcimento del danno ambientale, occorre rilevare che rientrando nel genus dell’illecito da fatto illecito è soggetto al termine di prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c., e inizierà a decorrere dal momento in cui le conseguenze dannose saranno rimosse dal responsabile del danno, ciò in quanto il danno ambientale ha natura di danno permanente, e come tale, perdurerà fino a quando non sarà rimosso[18].

Tuttavia, se nel giudizio penale sia stata emessa sentenza con condanna del responsabile anche al risarcimento dei danni nei confronti del danneggiato, costituitosi parte civile, la successiva azione volta alla definizione del quantum del danno sarà soggetta ex art. 2953 c.c. al termine di prescrizione decennale, con decorrenza dalla data in cui la sentenza di condanna sia divenuta irrevocabile[19].

In conclusione

Il danno ambientale rappresenta l’opportunità per il civilista di esercitare un’accurata analisi sulle tecniche risarcitorie esperibili alla luce del d.lgs. n. 152/2006 parte sesta (artt. 299-318).

Come suddetto sin dall’inizio si è dubitato che gli strumenti privatistici possano rappresentare una soluzione idonea per la protezione giuridica dell’ambiente ove gli interessi sottesi non risultano riferibili sempre ad un determinato soggetto.

I limiti del diritto privato, in ambito del diritto ambientale, sono riconducibili alla struttura degli istituti codicistici ove si manifesta l’inadeguatezza verso strumenti che vanno ben oltre la sfera individuale.

L’esigenza di disposizioni specifiche sulla responsabilità civile per il danno ambientale deriva dal fatto che le regole poste a tutela della persona e della proprietà non consentono di imporre il risarcimento per la lesione di interessi all’integrità dell’ambiente che, anche in ragione della loro natura collettiva, non sono oggetto di diritti tradizionali.

Il vecchio art. 18 della L. n. 349/1986, confermando tale assunto, ha difatti riconosciuto due diversi tipi di tutela ambientale: una di tipo privatistico, garantita dall’art. 2043 c.c. con riferimento al danno alla persona e una di natura pubblicistica volta a tutelare il diritto della collettività.

Tale prospettiva non è mutata a seguito dell’approvazione del TU ambiente. Non vi è dubbio difatti che sia il vecchio art. 18 della L. n. 349/1986 sia il nuovo art. 311 TU ambiente danno preferenza al risarcimento in forma specifica piuttosto che al risarcimento per equivalente monetario.

Sin dall’inizio, dunque, il legislatore ha avvertito la necessità di porre in secondo piano la monetizzazione del danno ambientale per una serie di ragioni quali, ad esempio, la difficoltà di quantificare la compromissione dell’ambiente, la sorte delle somme pagate a titolo di risarcimento del danno che dovrebbero essere vincolate al ripristino.

Per tali ragioni attuare dall’inizio l’azione di ripristino ponendo a carico dell’impresa inquinante i relativi costi ha il pregio di perseguire risultati ottimali ben diversi dalla preferenza accordata in ambito civile al risarcimento per equivalente.

Mentre nel sistema della responsabilità civile, difatti, si ha una tendenziale corrispondenza tra la funzione riparatoria a favore dei danneggiati e la funzione deterrente nei confronti dell’autore dell’illecito, nella responsabilità ambientale tale relazione non si avverte come necessaria.

È fatto noto che la funzione risarcitoria presenta molti profili di criticità in quanto non è automatica, non è completamente satisfattiva, non tiene conto dei disagi che le vittime subiscono in conseguenza del danno subito.

L’illecito ambientale potrebbe rappresentare l’occasione per rivisitare l’idea di una funzione riparatoria del danno alla persona in favore di una funzione sanzionatoria.

[1] C. Cost. n. 71 del 26 aprile 1971, Corte cost. 15-5-1987, n. 167, in Giur. Cost. 1987, 121; Corte cost. 25-5-1987, n. 191, in Foro it., 1988, 331; Corte cost. 28-5-1987, n. 210, cit.; Corte cost. 30-12-1987, n. 641, cit.; Corte cost. 14-7-1988, n. 800, in Giur cost. 1988, 3811; Corte cost. 15-11-1988, n. 1031, cit.; Corte cost. 16- 3-1990, n. 127, in Riv. giur. amb., 1990, 303; Corte cost. 9-12-1991, n. 437, in Le Regioni, 1992; Corte cost. 11-3-1993, n. 79, in Riv. giur. amb., 681; Corte cost. 23-2-1994, n. 54, in Giur. cost., 326

[2] C. Cost. n. 71 del 26 aprile 1971

[3] Art. 9 Cost: “1. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. 2. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.

[4] Art. 41 Cost: “1. L’iniziativa economica privata è libera. 2. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. 3. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.

[5] Art. 300 c.a.: “1. È danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima.

  1. Ai sensi della direttiva 2004/35/CE costituisce danno ambientale il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato:
  2. a) alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica, che recepisce le direttive 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979; 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991 ed attua le convenzioni di Parigi del 18 ottobre 1950 e di Berna del 19 settembre 1979, e di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, recante regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, nonché alle aree naturali protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive norme di attuazione;
  3. b) alle acque interne, mediante azioni che incidano in modo significativamente negativo su:

1)  lo stato ecologico, chimico o quantitativo o il potenziale ecologico delle acque interessate, quali definiti nella direttiva 2000/60/CE, fatta eccezione per gli effetti negativi cui si applica l’articolo 4, paragrafo 7, di tale direttiva, oppure;

2)  lo stato ambientale delle acque marine interessate, quale definito nella direttiva 2008/56/CE, nella misura in cui aspetti particolari dello stato ecologico dell’ambiente marino non siano già affrontati nella direttiva 2000/60/CE;

  1. c) alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel mare territoriale mediante le azioni suddette, anche se svolte in acque internazionali;
  2. d) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente.”

[6] Cfr. “Diritto dell’ambiente”, P. Dell’anno, 2022.

[7] Cfr. “News n. 29 del 2 marzo 2023 a cura dell’Ufficio del massimario” in Giustizia Amministrativa.

[8] Comma così modificato dall’art. 5-bis, comma 1, lett. a), D.L. 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla L. 20 novembre 2009, n. 166 e, successivamente, dall’art. 25, comma 1, lett. g), L. 6 agosto 2013, n. 97.

[9] Art. 331, comma 1, c.a.: “Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare agisce, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto”. Art. 315 c.a.: “Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare che abbia adottato l’ordinanza di cui all’articolo 313 non può né proporre né procedere ulteriormente nel giudizio per il risarcimento del danno ambientale, salva la possibilità dell’intervento in qualità di persona offesa dal reato nel giudizio penale”.

[10] Art. 313, comma 7, c.a.: “Nel caso di intervenuto risarcimento del danno, sono esclusi, a seguito di azione concorrente da parte di autorità diversa dal Ministro dell’ambiente e della tutela territorio e del mare, nuovi interventi comportanti aggravio di costi per l’operatore interessato. Resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi”.

[11] Art. 317 c.a.: “1. Per la riscossione delle somme costituenti credito dello Stato ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto, nell’ammontare determinato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare o dal giudice, si applicano le norme di cui al decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112.

  1. Nell’ordinanza o nella sentenza può essere disposto, su richiesta dell’interessato che si trovi in condizioni economiche disagiate, che gli importi dovuti vengano pagati in rate mensili non superiori al numero di venti; ciascuna rata non può essere inferiore comunque ad euro cinquemila.
  2. In ogni momento il debito può essere estinto mediante un unico pagamento.
  3. Il mancato adempimento anche di una sola rata alla sua scadenza comporta l’obbligo di pagamento del residuo ammontare in unica soluzione.
  4. Le somme derivanti dalla riscossione dei crediti in favore dello Stato per il risarcimento del danno ambientale disciplinato dalla presente parte sesta, ivi comprese quelle derivanti dall’escussione di fidejussioni a favore dello Stato, assunte a garanzia del risarcimento medesimo, sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere integralmente riassegnate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze ad un pertinente capitolo dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per essere destinate alla realizzazione delle misure di prevenzione e riparazione in conformità alle previsioni della direttiva 2004/35/CE ed agli obblighi da essa derivanti”.

[12] Art. 304, comma 4, c.a.: “Se l’operatore non si conforma agli obblighi previsti al comma 1 o al comma 3, lettera b), o se esso non può essere individuato, o se non è tenuto a sostenere i costi a norma della parte sesta del presente decreto, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha facoltà di adottare egli stesso le misure necessarie per la prevenzione del danno, approvando la nota delle spese, con diritto di rivalsa esercitabile verso chi abbia causato o concorso a causare le spese stesse, se venga individuato entro il termine di cinque anni dall’effettuato pagamento”.

Art. 305, comma 3, c.a.: “Se l’operatore non adempie agli obblighi previsti al comma 1 o al comma 2, lettere b) o c), o se esso non può essere individuato o se non è tenuto a sostenere i costi a norma della parte sesta del presente decreto, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha facoltà di adottare egli stesso tali misure, approvando la nota delle spese, con diritto di rivalsa esercitabile verso chi abbia causato o comunque concorso a causare le spese stesse, se venga individuato entro il termine di cinque anni dall’effettuato pagamento”.

[13] Art. 312 c.a.: “1. L’istruttoria per l’emanazione dell’ordinanza ministeriale di cui all’articolo 313 si svolge ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241.

  1. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per l’accertamento dei fatti, per l’individuazione dei trasgressori, per l’attuazione delle misure a tutela dell’ambiente e per il risarcimento dei danni, può delegare il Prefetto competente per territorio ed avvalersi, anche mediante apposite convenzioni, della collaborazione delle Avvocature distrettuali dello Stato, del Corpo forestale dello Stato, dell’Arma dei carabinieri, della Polizia di Stato, della Guardia di finanza e di qualsiasi altro soggetto pubblico dotato di competenza adeguata.
  2. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per l’accertamento delle cause del danno e per la sua quantificazione, da effettuare in applicazione delle disposizioni contenute negli Allegati 3 e 4 alla parte sesta del presente decreto, può disporre, nel rispetto del principio del contraddittorio con l’operatore interessato, apposita consulenza tecnica svolta dagli uffici ministeriali, da quelli di cui al comma 2 oppure, tenuto conto delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente, da liberi professionisti.
  3. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, al fine di procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche anche in apparecchiature informatiche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento del fatto dannoso e per l’individuazione dei trasgressori, può disporre l’accesso di propri incaricati nel sito interessato dal fatto dannoso. Gli incaricati che eseguono l’accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono. Per l’accesso a locali che siano adibiti ad abitazione o all’esercizio di attività professionali è necessario che l’Amministrazione si munisca dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente. In ogni caso, dell’accesso nei luoghi di cui al presente comma dovrà essere informato il titolare dell’attività o un suo delegato, che ha il diritto di essere presente, anche con l’assistenza di un difensore di fiducia, e di chiedere che le sue dichiarazioni siano verbalizzate.
  4. In caso di gravi indizi che facciano ritenere che libri, registri, documenti, scritture ed altre prove del fatto dannoso si trovino in locali diversi da quelli indicati nel comma 4, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare può chiedere l’autorizzazione per la perquisizione di tali locali all’autorità giudiziaria competente.
  5. È in ogni caso necessaria l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente per procedere, durante l’accesso, a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l’esame dei documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali sia stato eccepito il segreto professionale.
  6. Di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte all’interessato o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute, nonché le sue dichiarazioni. Il verbale deve essere sottoscritto dall’interessato o da chi lo rappresenta oppure deve indicare il motivo della mancata sottoscrizione. L’interessato ha diritto di averne copia.
  7. I documenti e le scritture possono essere sequestrati soltanto se non sia possibile riprodurne o farne constare agevolmente il contenuto rilevante nel verbale, nonché in caso di mancata sottoscrizione o di contestazione del contenuto del verbale; tuttavia, gli agenti possono sempre acquisire dati con strumenti propri da sistemi meccanografici, telematici, elettronici e simili”.

[14] Art. 315 c.a.: “Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare che abbia adottato l’ordinanza di cui all’articolo 313 non può né proporre né procedere ulteriormente nel giudizio per il risarcimento del danno ambientale, salva la possibilità dell’intervento in qualità di persona offesa dal reato nel giudizio penale”.

[15] Art. 313, comma 1, c.a.: “Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare agisce, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto”.

[16] Cfr. “Il danno ambientale”, Roberto Francesco Iannone, Pacini Giuridica, 2023.

[17] Art. 313, comma 7, c.a.: “Nel caso di intervenuto risarcimento del danno, sono esclusi, a seguito di azione concorrente da parte di autorità diversa dal Ministro dell’ambiente, nuovi interventi comportanti aggravio di costi per l’operatore interessato. Resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi”.

[18] Cfr. “Il danno ambientale. Tutela ambientale, responsabilità, determinazione del danno”, Prof. R. F. Iannone, Pacini Giuridica.

[19] Idem nota 14.

Lascia un commento