Il Digital Object Identifier (DOI): un “codice” a difesa delle opere
Il Digital Object Identifier (DOI): un “codice” a difesa delle opere
Una delle maggiori difficoltà legate alla difesa delle opere di ingegno è sempre stata l’ideare dei sistemi che potessero efficacemente ricondurre la stessa al legittimo autore.
Numerose sono state le soluzioni elaborate, stante anche il crescente sviluppo della rete Internet e dei diversi sistemi, informatici e non, tramite i quali la diffusione delle opere rischia di diventare “incontrollabile”.
In particolare, si sono fatti prepotentemente strada diversi tipi di sistemi di autentificazione e di identificazione delle opere creative le quali, pur operando “dall’esterno” rispetto all’opera, sono strettamente inerenti alla stessa, fornendo una consistente garanzia di protezione a lungo termine.
Caratteristica principale di tali sistemi è l’inclusione di un gran numero di informazioni, quali nome dell’autore, anno e luogo di pubblicazione ecc,, il cui fine è fungere da deterrente nei confronti della violazione dei diritti riconosciuti agli autori.
Ciò detto, non bisogna pensare che tali soluzioni siano unicamente frutto di un’azione degli ultimi anni. Già nell’ambito della Legge sul diritto d’autore n. 633 del 22 aprile 1941, infatti, il legislatore ha ben pensato di predisporre degli strumenti ad hoc i quali, avendo oramai circa 80 anni, potrebbero essere definiti come i più “tradizionali” a disposizione.
Ad esempio, ai sensi dell’art. 8 della succitata Legge [1], la firma autografa, recante il “vero” nome dell’autore o il suo pseudonimo, se apposta su opere prodotte in un unico esemplare ha l’effetto di attribuire la paternità dell’opera al firmatario.
Stesso effetto, ossia l’attribuzione di paternità, viene inoltre riconosciuto anche nei confronti di chi viene “annunciato come tale nella recitazione, esecuzione, rappresentazione o radio-diffusione dell’opera stessa” e, quindi, anche in caso di diffusione in rete delle stesse.
Ancora, gli artt. 105 e 106 della Legge sul diritto d’autore affermano che costituisce prova dell’identità delle opere il deposito di una copia delle stesse presso la SIAE, cui è affidata la cura del “registro pubblico generale delle opere protette”. [2]
Circa i sistemi di identificazione più “nuovi”, invece, forse i più conosciuti, possono sicuramente essere citati il codice ISBN (acronimo per International Standard Book Number), che opera nel campo editoriale, ed il Digital Object Identifier (DOI).
Alla luce della particolarità di quest’ultimo sistema, pare opportuno soffermarsi sulle caratteristiche dello stesso.
Nel tentativo di fornire un’utile definizione dello stesso, va precisato che con DOI si fa riferimento ad uno standard per identificare un’opera oggetto di proprietà intellettuale nell’ambito della rete tramite un’immediata, se non simultanea, associazione ai relativi dati identificativi, c.d. metadati.
Occorre evidenziare che il DOI è, di fatto, un numero o, rectius, un codice alfanumerico composto da due elementi, un prefisso ed un suffisso, tra loro separati dal simbolo slash (/) [3]. Da solo, però, il DOI non avrebbe tutta questa funzionalità, essendo solo un numero, da cui la necessità di rendere disponibili delle informazioni aggiuntive circa l’opera associatagli.
Per “aiutare” questo codice, quindi, entrano in gioco i citati metadati ossia, in parole povere, dati che parlano di altri dati.
È in questa possibilità di fornire informazioni aggiuntive sull’opera associata tramite l’utilizzo della rete Internet, per l’appunto, che il sistema DOI si differenzia da altri sistemi di catalogazione e/o identificazione.
Tale procedimento di rinvio, denominato risoluzione, di fatto implica la possibilità per qualunque utente del DOI System di cliccare su un link che lo rinvierà automaticamente ad un diverso sito web, sul quale potrà trovare una serie di elementi identificativi dell’opera. Questi ultimi, ovverosia i nostri metadati, sono definiti come persistenti, il che implica che insistono sull’opera finché questa esiste o, quantomeno, è legata ad un codice DOI, senza inficiarne, però, in alcun modo la modificabilità.
Se è, infatti, ovvio che informazioni quali nome del primo titolare dell’opera o il nome della stessa restino fissi nel tempo, è altresì pacifico che l’opera possa circolare e che, di conseguenza, sia importante garantire ai registranti la facoltà di aggiornare i metadati delle proprie pubblicazioni in caso di necessità.
Relativamente a tale meccanismo, tuttavia, occorre precisare che ciò che il DOI identifica non è necessariamente l’insieme di metadati cui l’utente viene rinviato tramite risoluzione. È ben possibile, infatti, che un DOI non risolva all’oggetto identificato ma solo a delle informazioni stabilite, ad esempio, dall’editore.
Circa la risoluzione, inoltre, pare opportuno aggiungere che la stessa è resa possibile dall’utilizzo della tecnologia Handle System [4], sviluppata dal CNRI [5] (Corporation for National Research Initiatives), ed è utilizzabile liberamente da qualunque utente DOI.
Fissato il concetto di metadati ed il loro stretto legame con il DOI, giova ora esaminare quelli che sono i veri caratteri di quest’ultimo.
Anzitutto, esso nasce per essere “interoperabile”, ossia essere compatibile con tutte, o, quantomeno, con la maggior parte, delle tecnologie passate, presenti e future.
In secondo luogo, il nome DOI, ossia il codice alfanumerico formato da prefisso e suffisso, è persistente, nel senso che, se pure un titolo o l’ubicazione del materiale possono essere modificati, il nome non cambia. In pratica, un nome DOI, come un diamante, è “per sempre”.
Lo stesso, inoltre, non soltanto, come risulta palese dal sistema di risoluzione già menzionato, è abilitato a cooperare con altri dati provenienti da fonti diverse, ma è anche estensibile, nel senso che vi si possono aggiungere nuovi servizi o caratteristiche tramite la sua piattaforma che, si precisa, è totalmente indipendente.
Creato dall’American Association of Publishers (AAP) nel 1996, dal 1998 il sistema è stato affidato alla International DOI Foundation (IDF). L’IDF sostiene lo sviluppo e la promozione del sistema DOI quale infrastruttura comune per la gestione dei contenuti, senza fini di lucro, ed è l’organo di governo e gestione della federazione delle agenzie di registrazione che forniscono servizi di identificazione digitale degli oggetti (DOI) e registrazione, ed è la registrazione autorità per la norma ISO (ISO 26324) per il sistema DOI [6].
La maggior parte dei nomi DOI, quindi, non è emessa direttamente dall’IDF ma da agenzie di registrazione esterne che assegnano nomi a vari clienti. Ovviamente, per poter fare ciò, queste agenzie pagano all’IDF delle c.d. tasse operative, rimanendo comunque la supervisione del sistema da parte della fondazione. Già dai primi anni 2000, in ogni caso, è stato possibile rilevare come il DOI abbia effettivamente avuto successo visto che il numero di nomi DOI esistenti superava i tre milioni.
Al fine di creare un nome DOI, si rileva, non è necessario prendere parte ad una procedura eccessivamente complicata, anche se ciò dovesse essere fatto direttamente tramite un’agenzia.
Ad esempio, sul sito ufficiale dell’agenzia mEDRA, che dal 2003 fornisce servizi di registrazione DOI a editori, università, centri di ricerca e intermediari, sono chiaramente indicati i vari passaggi da seguire[7]:
- Compilazione ed invio di un modulo per richiedere un account, con possibilità di indicare il tipo di documenti (in questo caso) cui si intende assegnare il DOI;
- Attendere di essere contattati dall’ufficio commerciale, il quale, svolte le verifiche del caso, presenterà una copia del contratto di adesione al servizio di registrazione DOI;
- Siglare il contratto, in seguito al quale verrà fornito il prefisso.
A questo punto, ottenuto il famoso prefisso del nome DOi, si passerà agli ultimi steps, ossia stabilire il suffisso di quest’ultimo, compilare i relativi metadati scegliendo il tipo di oggetto da identificare in conformità con l’ONIX DOI Metadata Schema [8] e, infine, inviare questi ultimi all’agenzia, così portando a compimento la registrazione.
Esaminata la rilevanza dei sistemi di identificazione, avendone indicati tanto di tradizionali quanto di moderni, occorre notare, tuttavia, che la loro funzione è, di fatto, limitata. Se l’animus alla base della loro realizzazione è fornire un mezzo di tutela efficace alle opere dell’ingegno, alla prova de fatti essi assolvono alla sola esigenza di individuare con esattezza la paternità della creazione, senza poter in alcun modo impedire che la stessa possa essere copiata o diffusa illegalmente. In pratica, non sembrerebbero essere, quantomeno da soli, un valido avversario per i pirati informatici.
Parrebbe quindi necessario accompagnare all’identificazione strumenti appositi, ossia difese tecniche, idonei ad opporsi al fenomeno della pirateria informatica.
Tra questi, opportuna menzione va sicuramente fatta ai contrassegni, c.d. bollini, la cui funzione, per l’appunto, è quella di garantire la quantità delle copie legittimamente in circolazione. La finalità di tali strumenti è, pertanto, puramente impeditiva nei confronti di condotte di diffusione illegali di copie dell’opera.
Non che il contrassegno possa impedire materialmente la copia non autorizzata dell’opera, però funge da deterrente alle violazioni del diritto di riproduzione che, come noto, spetta all’autore dell’opera dell’ingegno.
In Italia, la Legge sul diritto d’autore nomina in tre articoli, il 181 bis, il 171 bis ed il 171 ter [9] [10]il contrassegno. Inizialmente stabilendo che, a meno che l’autore non apponga la sua firma autografa su ciascun esemplare dell’opera, il contrassegno deve essere apposto dalla SIAE, con gli altri due articoli la predetta L.d.A. disciplina specificatamente le conseguenze sanzionatorie comminate dal legislatore alla luce della violazione della disciplina dello stesso sulle varie tipologie di opere.
Nell’ambito della diffusione digitale delle opere, invece, appare necessario creare delle protezioni più complesse, omnicomprensive tanto del momento identificativo quanto dell’utilizzo delle opere protette.
È infatti abbastanza scontato, anche se tristemente, che la semplice intimazione a non copiare un’opera non sia da sola sufficiente a far desistere individui mossi da “cattive intenzioni”. Occorrerebbe, pertanto, sviluppare strumenti tecnici di difesa che impediscano in concreto non solo la riproduzione illegale delle opere oggetto degli efficaci, seppur da soli non sufficienti, sistemi di identificazioni pensati a tutela delle stesse.
[1] art. 8 Legge sul diritto d’autore n. 633 del 22 aprile 1941, disponibile qui: https://www.altalex.com/documents/codici-altalex/2014/06/26/legge-sul-diritto-d-autore
[2] artt. 105 e 106 della Legge sul diritto d’autore n. 633 del 22 aprile 1941, disponibile qui: https://www.altalex.com/documents/news/2014/06/23/disposizioni-comuni#titolo3
[3] Cfr. definizione DOI disponibile qui: https://publications.europa.eu/code/it/it-240400.htm
[4] Tecnologia Handle System, disponibile qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Handle_System
[5] CNRI, sito ufficiale disponibile qui: https://www.cnri.reston.va.us/
[6] Cfr. International DOI Foundation, sito ufficiale disponibile qui: https://www.doi.org/
[7] Cfr. sito ufficiale mEDRA, “come registrare un DOI”, disponibile qui: https://www.medra.org/it/guide.htm#:~:text=Per%20registrare%20i%20DOI%20con,in%20italiano%2C%20inglese%20e%20tedesco.
[8] ONYX DOI Metadata Schema, definizione disponibile qui: https://www.medra.org/it/schema.htm
[9] Artt. 171 bis e 171 ter della Legge sul diritto d’autore n. 633 del 22 aprile 1941, disponibile qui: https://www.altalex.com/documents/news/2014/06/23/disposizioni-comuni#titolo3
[10] art. 181 bis Legge sul diritto d’autore n. 633 del 22 aprile 1941, disponibile qui: https://www.altalex.com/documents/news/2011/02/17/enti-di-diritto-pubblico-per-la-protezione-e-l-esercizio-dei-diritti-di-autore#titolo5
Dott.ssa Valentina Ertola, laureata presso la Facoltà di Giurisprudenza di Roma 3 con tesi in diritto ecclesiastico (“L’Inquisizione spagnola e le nuove persecuzione agli albori della modernità”). Ha frequentato il Corso di specializzazione in diritto e gestione della proprietà intellettuale presso l’università LUISS Guido Carli e conseguito il diploma della Scuola di specializzazione per le professioni legali presso l’Università degli Studi di Roma3. Nel 2021 ha superato l’esame di abilitazione alla professione forense. Collaboratrice per l’area “IP & IT”.