Il limite quantitativo in materia di subappalto rispetta i principi Europei? La parola alla Corte di Giustizia
Con l’ordinanza n.148/2018[1] pubblicata il 19 gennaio, la prima sezione del TAR Lombardia ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale[2] se «i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49[3] e 56[4] del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), l’articolo 71[5] della direttiva 2014/24[6] del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, il quale non contempla limitazioni quantitative al subappalto, e il principio euro unitario di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell’articolo 105, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, secondo la quale il subappalto[7] non può superare la quota del 30% dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi, o forniture».
La decisione dei giudici meneghini è stata presa a seguito del ricorso presentato dalla Vitali S.p.A. contro l’esclusione disposta a suo carico da Autostrade per l’Italia S.p.A. nell’ambito di una procedura ristretta[8] per l’affidamento dei lavori di ampliamento della quinta corsia dell’Autostrada A8.
La documentazione di gara prevedeva espressamente la possibilità di affidare alcune categorie di lavori (se non possedute direttamente dal concorrente) in subappalto ad imprese qualificate.
Nonostante ciò, la commissione, rilevato il superamento del limite del 30% previsto dal comma 2 dell’art. 105 del Codice dei Contratti, aveva deciso di escludere la ricorrente per violazione della predetta disposizione.
Dunque, con l’ordinanza in esame giunge, finalmente, al vaglio della Corte di Giustizia uno dei profili più discussi della nuova disciplina in materia di subappalto, già finita nel mirino degli operatori del settore ed oggetto di osservazioni da parte della giurisprudenza sia nazionale che europea.
Il limite del 30% dell’importo complessivo del contratto imposto in materia di subappalto viola i pricipi sanciti a livello Europeo?
Secondo gli operatori del settore la risposta è affermativa ed infatti, già durante la fase di stesura del D.Lgs. n. 50/2016, l’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) aveva presentato un esposto alla Commissione Europea al fine di verificare la coerenza tra le nuove norme che si stavano per formare e la vigente Direttiva 2014/24/UE.
Per avvalorare la tesi dell’incompatibilità, nell’esposto veniva citata una sentenza della Corte di Giustizia che aveva bocciato le norme che in Polonia obbligano le imprese vincitrici di appalti ad eseguire in proprio almeno il 25% delle opere. (Caso Wroclaw)[9]
In questa sentenza la Corte era arrivata al punto di statuire che «il ricorso al subappalto ai sensi della Direttiva 2004/18 è in linea di principio illimitato».
La Commissione Europea (Direzione Generale Mercato interno), in risposta all’ANCE, con lettera n. 1572232 del 30/3/2017, aveva evidenziato come le norme sul subappalto contenute nel nuovo codice dei contratti fossero in contrasto con le norme e la giurisprudenza Ue[10], invitando, dunque, le Autorità Italiane a correggere le disposizioni interessate in modo conforme ai principi comunitari.
Nonostante questa “raccomandazione”, il testo definitivo del correttivo al codice dei contratti pubblici non ha modificato l’impostazione sostanzialmente iniziale del subappalto, lasciando inalterato il limite del 30% stabilito dall’articolo 105, comma 2, terzo periodo del D.Lgs. n. 50/2016.
Tuttavia i dubbi sulla legittimità del limite quantitativo al subappalto restano aperti e proprio questo ha spinto i giudici del TAR Lombardia con l’ordinanza in esame a chiedere l’intervento della Corte di Giustizia al fine di sciogliere una volta per tutte il nodo della questione.
La motivazione dell’ordinanza si apre mettendo in luce le conclusioni raggiunte dal Consiglio di Stato con i pareri n. 855/2016 e n. 782/2017;
Con il primo i giudici di Palazzo Spada, pronunciandosi sull’emanando D.Lgs. 50/2016, hanno osservato che il legislatore Nazionale potrebbe porre, in tema di subappalto, limiti di maggior rigore rispetto alle direttive europee, che sarebbero giustificati da pregnanti ragioni di ordine pubblico, di tutela del mercato del lavoro e della trasparenza[11].
Nel successivo parere, la sezione consultiva del Consiglio di Stato, dopo aver dato atto della giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui il diritto Europeo non consente agli stati membri di porre limiti al subappalto ha sottolineato come tale giurisprudenza si fosse formata in vigenza della precedente direttiva 2004/18/CE, mentre la 2014/24/CE (nuova direttiva in materia di appalti pubblici) avrebbe spinto per una maggiore trasparenza e tutela giuslavoristica[12].
La conferma, nel decreto correttivo 56/2017, del limite al subappalto sarebbe giustificato alla luce dei principi di sostenibilità sociale, di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone, i quali possono giustificare restrizioni alla libera concorrenza e al mercato.
I giudici Milanesi prendono le distanze dalla lettura fornita dal Consiglio di Stato sottolineando in primo luogo, come l’articolo 71 della direttiva appalti consenta l’introduzione di previsioni più restrittive sotto diversi aspetti, ma non contempli, invece, alcun limite quantitativo al subappalto.
Il TAR richiama, poi, la giurisprudenza della Corte di Giustizia già formatasi sotto la vigenza delle precedenti direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, da cui traspare un sostanziale favor per il subappalto, che incentiva la concorrenza «più ampia possibile» e «l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici» e uno sfavore per le limitazioni all’istituto che possono «ostacolare, scoraggiare o rendere meno attraente la partecipazione degli operatori economici costituendo una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi»[13].
In un’altra occasione, i giudici europei in modo ancora più chiaro hanno precisato che «una clausola che impone limitazioni al ricorso a subappaltatori per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare la capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe risulta incompatibile con la direttiva 2004/18»[14].
Dal confronto tra legislazione nazionale e normativa e giurisprudenza europea in materia di subappalto, il TAR giunge alla conclusione che la prima possa non essere compatibile con i principi sanciti dalle seconde.
Il Tribunale, inoltre, ricorda come la Corte di Giustizia abbia chiarito che una restrizione alla libertà di stabilimento e alla prestazione dei servizi «può essere giustificato qualora esso persegua un obiettivo legittimo di interesse pubblico e purché rispetti il principio di proporzionalità, vale a dire, che sia idonea a garantire la realizzazione di tale obiettivo e non vada oltre quanto necessario a tal fine».
I giudici dubitano che il limite previsto dal comma 2 dell’articolo 105 D.Lgs. 50/2016 possa ritenersi legittimo alla luce del richiamato principio di proporzionalità.
Il collegio osserva come, sia l’art. 71 della direttiva che l’art. 105 del Codice dei Contratti «prevedono una serie di obblighi informativi e di adempimenti procedurali, per effetto dei quali l’impresa subappaltatrice può oggi ritenersi assoggettata a controlli analoghi a quelli svolti nei confronti dell’impresa aggiudicataria», potendo ad esempio la stazione appaltante conoscere in anticipo le parti del contratto oggetto di subappalto e l’identità dei soggetti che eseguiranno le relative prestazioni.
Il TAR conclude, dunque, sostenendo che «nel descritto contesto normativo, la misura drastica della limitazione quantitativa del subappalto al 30% dell’importo complessivo del contratto non sembra rappresentare lo strumento più efficace ed utile … al soddisfacimento dell’obiettivo di assicurare l’integrità del mercato dei contratti pubblici, dal momento che tale obiettivo si ritiene possa considerarsi già adeguatamente soddisfatto per mezzo delle nuove previsioni che consentono di effettuare verifiche e controlli più pregnanti rispetto al passato, finalizzate a garantire che il subappalto venga affidato, in condizioni di trasparenza, ad operatori capaci ed immuni da controindicazioni».
Analizzate, dunque, le motivazioni dell’ordinanza , non resta che attendere la pronuncia della Corte di Giustizia la quale, valutata la questione pregiudiziale di compatibilità tra normativa nazionale ed europea in materia di subappalti, potrebbe decidere di aprire una formale procedura di infrazione[15] con conseguenze assolutamente negative per l’Italia.
[1] Già anticipata dal TAR Lombardia con sentenza non definitiva n. 28 del 5 gennaio 2018.
[2] Il rinvio pregiudiziale fa parte delle procedure che possono essere esercitate dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE).
Questa procedura è aperta ai giudici nazionali degli Stati membri, i quali possono adire la Corte per interrogarla sull’interpretazione o sulla validità del diritto europeo nell’ambito di una causa pendente.
[3] «Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate.
Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.
La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali».
[4]« Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione.
Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono estendere il beneficio delle disposizioni del presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e stabiliti all’interno dell’Unione».
[5] …«Il rafforzamento delle disposizioni riguardanti le centrali di committenza non dovrebbe in alcun modo escludere le prassi attuali riguardanti gli appalti congiunti occasionali, ossia sistemi di acquisizione meno sistematici e istituzionalizzati o la prassi consolidata di ricorrere a prestatori di servizi che preparano e gestiscono le procedure di appalto a nome e per conto di un’amministrazione aggiudicatrice e seguendo le sue istruzioni. Alcuni elementi dell’appalto congiunto dovrebbero, al contrario, essere precisati, dato il ruolo importante che esso può svolgere, non da ultimo in collegamento con progetti innovativi …»
[6] Direttiva CE sugli appalti pubblici che abroga la direttiva 2004/18/CE.
[7] Il subappalto è, in estrema sintesi, quel contratto, derivato dall’originario contratto di appalto, mediante il quale l’appaltatore principale affida ad un soggetto terzo (c.d. subappaltatore) l’esecuzione in tutto o in parte dell’opera, o del servizio o della fornitura già oggetto del contratto di appalto, concluso a monte dall’appaltatore (c.d. contratto principale).
Il subappalto disciplinato, in origine, dall’articolo 118 del D.Lgs. 163/2006 è oggi disciplinato dall’articolo 105 del D.Lgs. 50/2016, come modificato dal D.Lgs. 56/2017.
[8] Ai sensi dell’articolo 61 del D.Lgs. n. 50/2016.
[9] Corte di Giustizia dell’UE, sez. III, 14 luglio 2016, C-406/14, Wroclaw, in Foroit., 2016, Iv, 389.
[10] In particolare gli uffici di Bruxelles hanno sottolineato come a livello europeo il subappalto sia regolato principalmente dall’articolo 71 della Direttiva 2014/24/UE e dalle pronunce della Corte di Giustizia con il principale obiettivo di rimuovere gli ostacoli alla libera circolazione delle merci, alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi, nonché di facilitare la partecipazione delle PMI nelle procedure di appalto.
Norme di recepimento dichiaratamente restrittive in materia di appalto , come quelle adottate dall’Italia, sono in contraddizione con tali obiettivi. In particolare la disciplina di cui all’articolo 105 del Codice Italiano dei contratti pubblici sembra creare un sistema in cui il subappalto è, in linea generale, vietato con meccanismi che risultano prima facie molto preoccupanti.
[11] In particolare il Consiglio di Stato ha affermato che «il maggior rigore nel recepimento delle direttive deve, da un lato, ritenersi consentito nella misura in cui non si traduce in un ostacolo ingiustificato alla concorrenza; dall’altro lato ritenersi giustificato (quando non imposto) dalla salvaguardia di interessi e valori costituzionali, ovvero enunciati dall’art. 36 del TFUE».
[12] Il Consiglio di stato ha, infine, affermato che «la complessiva disciplina delle nuove direttive, più attente, in tema di subappalto, ai temi della trasparenza e della tutela del lavoro, in una con l’ulteriore obiettivo, complessivamente perseguito dalle direttive, della tutela delle micro, piccole e medie imprese, può indurre alla ragionevole interpretazione che le limitazioni quantitative al subappalto, previste dal legislatore nazionale, non sono in frontale contrasto con il diritto europeo».
[13] CGUE, Sez. V, 5 aprile 2017, C-298/15.
[14] CGUE, Sez. III, 14 luglio 2016, C-406/14.
[15] La procedura di infrazione (chiamata anche ricorso per inadempimento, nella fase contenziosa della procedura) è un procedimento a carattere giurisdizionale eventuale, disciplinato dagli articoli 258 e 259 TFUE, volto a sanzionare gli Stati membri dell’Unione europea responsabili della violazione degli obblighi derivanti dal diritto comunitario.
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