Il punto sul subappalto tra la normativa nazionale e comunitaria
Il nuovo Codice dei contratti pubblici, introdotto con il D.lgs. n. 50/2016, in continuità con le Direttive Europee n. 23, 24 e 25, ha regolamentato l’intera materia degli appalti pubblici, abrogando il precedente Decreto legislativo del 12 aprile 2006, n. 163.
Di rilievo sono state le novità che il nuovo Codice ha introdotto sulla disciplina del subappalto, di cui all’art. 105 del D.lgs. n. 50/2016.
Ai sensi dell’art. 105, c. 2, del suddetto Decreto legislativo, il subappalto è un contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto d’appalto stipulato con la Stazione appaltante.
L’articolo in questione ripropone, solo in parte, la disciplina normativa contenuta nell’art. 71 della Direttiva 2014/24/UE, dalla quale si evince chiaramente che la ratio del subappalto trova fondamento nel favorire, nelle procedure di gara, la partecipazione delle piccole e delle medie imprese (PMI), avvalorando il principio del favor partecipationis[1] che regola l’intera procedura di evidenza pubblica.
Il legislatore nazionale, nel recepire la medesima disposizione normativa, ha dovuto fare i conti con la realtà nazionale, prevedendo dei limiti percentuali stringenti al subappalto, al fine di prevenire e ridurre i fenomeni di infiltrazione criminale in un settore appetibile come quello degli appalti pubblici.
Per tale ragione, l’art. 105, comma 2, terzo periodo, del Codice degli appalti ha sancito che il subappalto non può superare la quota del 30% dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi e forniture[2].
Un ulteriore elemento di novità che è stato inserito nel medesimo articolo è quello concernente la c.d. terna dei subappaltatori. In particolare, l’art. 105, comma 6, del Codice degli appalti dispone che gli operatori economici sono obbligati a presentare nelle loro offerte una terna di subappaltatori e, in ipotesi di più tipologie di prestazioni, la terna dei subappaltatori è richiesta con riferimento a ciascuna tipologia di prestazione omogenea prevista nel bando di gara.
Inoltre, l’art. 105, comma 9, del D.lgs. n. 50/2016 vieta, in via assolutamente generale, che le prestazioni subappaltate possano essere oggetto di un ulteriore contratto di subappalto.
Da ultimo, l’art. 105, comma 4, lett. a), del predetto Decreto legislativo sancisce che l’offerente in una determinata procedura di gara, risultato aggiudicatario dell’appalto, possa fare ricorso ai subappaltatori, purché quest’ultimi non abbiano partecipato alla gara medesima.
La normativa interna del subappalto, così sommariamente descritta, non ha ricevuto l’apprezzamento dei Giudici comunitari, in quanto considerata dagli stessi in evidente contrasto con i principi euro unitari che disciplinano l’intera procedura di evidenza pubblica[3].
Pertanto, con nota n. 2273/2018 del 24 gennaio 2019, la Commissione Europea ha inviato alle Autorità Italiane una lettera di costituzione in mora, segnalando che diverse disposizioni contenute nel nuovo Codice degli appalti, tra cui quella concernente il contratto di subappalto, non appaiono conformi alla disciplina dettata dal legislatore comunitario.
In particolare, la Commissione ha contestato l’art. 105 del D.lgs. n. 50/2016 nella parte in cui prevede un limite del 30%, in virtù del fatto che tale limitazione quantitativa risulta, di fatto, incompatibile con i principi che impongono di facilitare la partecipazione delle piccole e medie imprese, violando le direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, le quali non prevedono un limite obbligatorio all’importo dei contratti che può essere subappaltato.
Al centro del mirino della predetta nota, c’è anche l’obbligo per gli operatori economici di indicare la terna dei subappaltatori, che andrebbe a porsi in evidente contrasto con il principio di proporzionalità di cui agli artt. 18 e 71 della Direttiva 2014/24/UE.
Inoltre, la Commissione Europea sostiene che il divieto per i subappaltatori di fare a loro volta ricorso ad altri subappaltatori andrebbe non solo a ledere il principio di proporzionalità, ma anche quello di parità di trattamento, invocato dall’art. 71 della Direttiva 2014/24/UE, e ribadito dall’art. 88 della Direttiva 2014/25/UE e dall’ art. 42 della Direttiva 2014/23/UE.
La procedura di infrazione ha richiamato l’attenzione non solo dei giudici amministrativi, ma anche del legislatore nazionale, che ha cercato di dare una prima risposta concreta alle criticità riscontrate dalla Commissione Europea con il d.l. n. 32/2019, c.d. Decreto Sblocca Cantieri.
Il predetto decreto ha modificato il limite generale del subappalto, aumentandolo dal 30% al 50% dell’importo contrattuale, ha eliminato la previsione relativa all’indicazione della terna obbligatoria dei subappaltatori in sede di offerta e, da ultimo, ha abolito il divieto di subappaltare l’appalto al soggetto che avesse partecipato alla procedura di gara.
Successivamente, la Legge n. 55/2019, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 140 del 17 giugno 2019, non ha convertito quanto stabilito dal Decreto Sblocca-Cantieri, ma ha sospeso la disciplina di cui all’art. 105 del D.lgs. n. 50/2016, e, nel contempo, ha introdotto, nell’art. 1, comma 18, delle disposizioni “provvisorie” e “transitorie” in materia di subappalto, nelle more di una complessiva revisione del Codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50, fino al 31 dicembre 2020.
Il legislatore, nella piena convinzione che entro il 31 dicembre 2020 riuscirà a varare una completa revisione del Codice dei contratti pubblici, ha ridotto in via temporanea, rispetto alla previsione contenuta nel d.l. n. 32/2019, il limite quantitativo del subappalto al 40%. La Legge ha sospeso, inoltre, l’applicazione degli artt. 105, comma 6, e 174 del D.lgs. n. 50/2016, concernenti l’obbligo di indicazione della terna dei subappaltatori.
A circa tre mesi di distanza dalla pubblicazione della suddetta legge, la Corte di Giustizia, a seguito della questione pregiudiziale avanzata dal TAR Lombardia[4], con la sentenza della Sez. V del 26 settembre 2019, ha stabilito che “osta alla normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi”.
La Corte di Giustizia, nella parte motivazionale della sentenza de qua, sostiene che la normativa italiana, che impone dei limiti percentuali al contratto di subappalto, si pone in netta contraddizione con gli artt. 49 e 56 del TFUE e con la Direttiva 2014/24/UE.
In particolare, la Corte osserva che la Direttiva 2014/24/UE si pone l’obiettivo di tutelare la libera circolazione delle merci, la libertà di stabilimento, la libertà di libera prestazione dei servizi nonché la libertà di concorrenza negli appalti pubblici, al fine di garantire nell’aggiudicazione delle commesse pubbliche le piccole e le medie imprese (PMI).
Sulla base di tali principi, la CGUE contesta a chiare lettere le restrizioni nazionali che non possono trovare giustificazione nell’esigenza del legislatore nazionale di contrastare il fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nelle commesse pubbliche, sostenendo che misure meno restrittive della concorrenza, tra le quali la verifica della sussistenza di motivi di esclusione in capo ai subappaltatori relativi in particolare alla partecipazione a organizzazioni criminali, alla corruzione o alla frode, sarebbero di per sé idonee a raggiungere l’obiettivo di tutela dell’ordine pubblico perseguito dal legislatore italiano.
Secondo i Giudici europei “anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno criminoso, una restrizione come quella di cui trattasi nel procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo” in quanto non residua alcuno spazio per una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore.
Sulla scorta di quanto sin qui esposto, la Legge n. 55/2019, che come già anticipato ha innalzato al 40% il limite del subappalto, si pone in netto contrasto con la statuizione dei Giudici comunitari e ciò dovrebbe portare il legislatore nazionale ad intervenire tempestivamente con un nuovo correttivo che consenta di allineare la normativa interna a quella dell’Unione.
Inoltre, il mancato adeguamento alla normativa comunitaria porterebbe la Commissione Europea a dare seguito alla costituzione in mora oggetto della nota n. 2273/2018 e, quindi, emettere un parere motivato sull’inadempimento dello Stato Membro dagli obblighi nascenti dai Trattati comunitari, tradotti nella Direttiva 2014/24/UE.
[1] Raganelli Biancamaria “PMI, Procurament e favor partecipationis”, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2017, fasc. 3-4, pp. 839-878.
[2] Gentile Massimo, “Il subappalto nel nuovo codice: aumentano limiti, vincoli e dubbi applicativi”, in Appalti e contratti, 2016, fasc. 6, pp. 43-47. Balocco Giovanni, “La riforma del subappalto e il principio della concorrenza” in Urbanistica e appalti, 2017, fasc. 5, pp. 621-625.
[3] Giovanni Balocco, “La riforma del subappalto e principio di concorrenza”, in Urbanistica e appalti, 2017, fasc. 5, pp. 621-625; Pierluigi Mantini, “Il subappalto italiano rinviato alla Corte di Giustizia Europea”, in GiustAmm.it, 2018, fasc. 3, pp. 28.
[4] Ordinanza n. 148 del 19 gennaio 2019.
Cristina si laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, con una tesi in diritto amministrativo dal titolo “I criteri di aggiudicazione degli appalti pubblici e il Green Public Procurement”, con la votazione di 110/110 e lode. Ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato, il tirocinio presso la Terza Sezione del Consiglio di Stato e uno Stage presso l’Autorità Nazionale Anticorruzione, occupandosi principalmente di misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione.
Attualmente è iscritta al Master Anticorruzione presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e ha conseguito il titolo di Avvocato