Il know-how nel contratto di franchising: decisione AGCM Benetton S.r.l. e Benetton Group/ Miragreen s.r.l.
Il 17 novembre 2020 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM)[1] apriva un’istruttoria nei confronti delle società di abbigliamento Benetton S.r.l e Benetton Group in quanto accusate di abuso di dipendenza economica in relazione ad un contratto di franchising.
L’abuso di dipendenza economica, come è noto, viene definita dalla Legge 18 giugno 1998 n.192 , all’art. 9 come “ […] la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi.[…]”.
A seguito della segnalazione dell’amministratore unico di Miragreen s.r.l. (franchisee), ex rivenditore della società Benetton, veniva contestata una condotta economica abusiva da parte di Benetton, che costringeva Miragreen s.r.l. a far cessare la propria attività.
In particolar modo, le due società avevano stipulato due contratti di franchising con identico contenuto. Ad avviso del segnalante detti contratti includevano clausole che avrebbero “ostacolato, se non addirittura impedito, lo svolgimento della propria attività aziendale fino a far cessare la stessa”[2]. Secondo il rivenditore, da un lato le clausole inserite nel contratto avrebbero comportato oneri tali da determinare una sua dipendenza economica nei confronti di Benetton; dall’altra il Contratto stesso avrebbe consentito a Benetton di poter abusare della propria posizione, gestendo discrezionalmente gli ordini a suo carico da destinare al punto vendita di Miragreen s.r.l.
Nel primo caso, occorre tuttavia segnalare che, così come emerge dal provvedimento, Miragreen versava già in una posizione debitoria non imputabile a Benetton ma derivante da un inadempimento ad obblighi di pagamento, con la conseguenza che detto indebitamento non è stato, poi, considerato quale presupposto di una situazione di dipendenza economica.
Nel secondo caso, ossia della gestione discrezionale degli ordini da parte di Benetton, secondo l’AGCM[3], l’applicazione discrezionale delle clausole segnalate avrebbero impedito al franchisee di gestire autonomamente la propria attività economica. Se gli ordini erano stati definiti da Benetton, sia dal punto di vista quantitativo che dal punto di vista della tempistica, la naturale conseguenza era un’impossibilità per Miragreen di gestirli in autonomia in base alle proprie esigenze.
Secondo il segnalante, tra l’altro, vi è stato un ulteriore comportamento abusivo da parte di Benetton che ha esercitato un controllo sul budget stagionale dell’affiliato, sull’ampiezza del magazzino, sul riassorbimento delle merci, sulle modalità degli ordini.
Tenuto conto del forte impatto sul mercato della società Benetton, a seguito della suddetta segnalazione, l’AGCM[4] ha aperto un’istruttoria antitrust al fine di tutelare la concorrenza nel mercato: per tali ragioni si rendeva necessario l’intervento da parte dell’AGCM ma, di regola, ivi si rammenta, la competenza a decidere i casi di abuso di dipendenza economica spetta al giudice ordinario ex art. 9 , comma 3, L.n.192/1998.
Tra le ragioni a sostegno dell’intervento dell’AGCM vi era la palese violazione delle c.d. le clausole standard che si ritrovano in qualsiasi contratto di franchising[5]. Questo ha, chiaramente, destato particolare preoccupazione tra le imprese che gestiscono reti di franchising.
In realtà, le clausole in questione sono in realtà clausole standard che si ritrovano in qualsiasi contratto di franchising, utilizzate non solo in Italia ma anche a livello internazionale, che sono state addirittura validate, sotto il profilo antitrust, dalla Corte di giustizia nel caso Pronuptia [6]
Le clausole standard, nel caso che ci occupa, non sembrano creare condizioni di ingiustificato squilibrio, considerata la posizione di imprenditore che riveste il franchisee, che dovrebbe aver avuto l’opportunità di valutare attentamente il testo del contratto, a fronte degli obblighi di disclosure[7], prima della firma.
Solo nel caso in cui le clausole porrebbero Benetton in una posizione di eccessivo squilibrio con il suo franchisee sarebbe allora configurabile un caso di abuso di dipendenza economica.
Bisogna però tener conto che nel nostro ordinamento vige il principio dell’autonomia contrattuale, in virtù del quale le parti potrebbero anche prevedere delle clausole che determinino un certo squilibrio tra esse. Vale che, di per sé, il contratto di franchising sia già, per sua natura, “sbilanciato” a favore del franchisor, sia per mantenere l’immagine comune tra tutti i punti vendita sia perché l’investimento del franchisee è ridimensionato rispetto all’ipotesi in cui dovesse avviare un’attività nuova senza la conclusione di un accordo del genere. In ogni caso il franchisee è tutelato da un’apposita legge sul franchising [8], che impone al franchisor di consegnare al franchisee , almeno 30 giorni prima della firma del contratto, specifiche informazioni ( sul marchio, sulla rete ecc).
Non siamo ancora a conoscenza della decisione da parte dell’AGCM ma possiamo concludere che le sue decisioni sono del tutto infondate, soprattutto per il fatto che le clausole in oggetto, come già detto, sono clausole standard applicabili a tutti i tipi di contratti di affiliazione commerciale, pertanto non è nemmeno configurabile una reale dipendenza economica tra le parti. Le clausole non sembrano creare condizioni di ingiustificato squilibrio, considerata la posizione di imprenditore che riveste il franchisee , il quale si assume il rischio economico.
Infine, come anticipato, l’Autorità Antitrust può intervenire solo allorquando si intende tutelare la concorrenza. A bene vedere la posizione di Benetton nel mercato non è così rilevante da richiedere un simile intervento e le relative clausole contenute nei suoi contratti sono conformi alla normativa antitrust applicabile, non potendosi così configurare una violazione della stessa.
Il caso di specie ha ad oggetto si un abuso di dipendenza economica (come meglio definita sopra) ma legato ad una precedente conclusione di un contratto di franchising. Per tale motivo sarebbe opportuno delineare gli aspetti rilevanti di un simile accordo, concentrandosi, in particolar modo, sul concetto di know-how, il cui profilo della essenzialità o meno è oggetto di discussione in dottrina e in giurisprudenza.
Il franchising, secondo un’accezione economico-sociale, è lo strumento attraverso il quale vengono commercializzati dei prodotti o dei servizi. Questi vengono poi distribuiti mediante la c.d. vendita al dettaglio[9] attraverso una rete di punti vendita indipendenti. Nonostante l’indipendenza di questi punti vendita, il loro obiettivo è quello di mostrarsi agli occhi del pubblico dei consumatori come un’unica catena che offre gli stessi beni o servizi, con l’uso di tecniche di vendita particolari (know-how commerciale) messe a punto dal franchisor.[10]( affiliante). Quest’ultimo è il titolare di prodotti o servizi il cui uso viene concesso al franchisee(affiliato).
Esistono diverse categorie di franchising : industriale, di distribuzione e di servizi.
In quest’ultimo caso, diversamente dal contratto di franchising di distribuzione, il franchisee assume la facoltà di utilizzare il marchio del franchisor potendo così vendere servizi e non prodotti.
Il contratto di franchising di servizi può riguardare, oltre a ristoranti ed alberghi, la locazione di autoveicoli[11], i mediatori di immobili[12], le palestre[13].
Nel franchising di distribuzione, il franchisor dopo aver sperimentato nel mercato la propria formula commerciale[14], trasmette tecniche e know-how all’affiliato. E’ evidente il vantaggio della conclusione di un simile contratto per un neo-imprenditore, il quale si trova con un “bagaglio” di conoscenze già predisposte e accertate e un’affidabilità da parte dei consumatori già consolidata.
Infine, con il franchising industriale il franchisor concede al franchisee la licenza di fabbricazione dei prodotti venduti, oltre al marchio, la tecnologia, la tecnica su come produrre e l’assistenza costante. A differenza del franchising di distribuzione , in quello industriale al franchisee viene concesso di utilizzare i brevetti.
E’ stato citato il know-how (c.d. pakage) come elemento caratterizzante tutti i contratti di franchising. Nonostante ciò talvolta questo può mancare nell’accordo (o è puramente apparente); ciò che dà valore al franchising (e rende tale contratto interessante per il franchisee) è la forza dell’immagine (ed in particolare del marchio, o marchi) che caratterizza la rete[15].
Il know-how è definito dal legislatore nella legge n. 129/2004[16] come “patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e prove eseguite dall’affiliante”[17]; da questa nozione è possibile dedurre che si tratta di quell’insieme di informazioni, di regola, non soggette a tutela brevettuale, o perché non è possibile effettuarla o sulla base di una scelta del possessore.
La disciplina del contratto di franchising dispone che l’affiliato debba versare un corrispettivo configurato in canone di entrata o royalties per l’utilizzo del marchio, per la riproduzione della sua formula commerciale, della sua immagine e per l’approvvigionamento dei prodotti. L’affiliato avrà in uso marchio e insegna del franchisor, potendo così avvalersi della sua esperienza e del suo know-how e distribuendo i suoi prodotti a fronte del corrispettivo versato.
Sebbene la dottrina maggioritaria consideri il know-how elemento essenziale del contratto di franchising, una recente sentenza della Corte di Cassazione (n.11256/2018) ha sancito che non è da considerarsi tale. La decisione è stato frutto di un lungo processo cominciato nel 2013 con la sentenza n. 2400, con la quale il giudice di prime curie accogliendo la domanda dell’affiliato, dichiarò la nullità del contratto di affiliazione -collaborazione con oggetto la locazione dell’azienda-bar, per indeterminatezza dell’oggetto. Proposto, da parte della società affiliante, ricorso in Corte d’Appello, l’accoglimento è stato solo parziale. E’ stato, difatti, soltanto ridotto il quantum.
Giunti in Corte di Cassazione, questa ha considerato il caso piuttosto complesso asserendo che :
“[…] da un lato, la pretesa assoluta mancanza di determinazione del contenuto del know-how in contratto, che renderebbe nulla la relativa clausola; dall’altro, la natura di contenuto accessorio del know-how rispetto al contratto di franchising, che potrebbe quindi sussistere anche senza detto elemento.”
Tenuto conto dell’assoggettamento del contratto di franchising alla legge n.129/2004
“ occorre muovere dalla definizione normativa contenuta dall’art. 1, comma 3, lett. a) della detta legge, secondo cui si intende “per know-how, un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato.”
In conclusione, l’elemento del know-how è da considerarsi elemento non essenziale del contratto di franchising considerato anche che, la stessa legge all’art.1 comma 1 chiarisce che:
“ L’affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi.”
Avendo chiare queste considerazioni, sarà comunque fondamentale per il franchisor analizzare con estrema cura tale elemento, preferibilmente affidandosi ad esperti che siano in grado di indagare se il patrimonio di conoscenze che vorrebbe concedere agli affiliati:
– sia veramente dotato delle caratteristiche che la legge n. 129/2004 prevede per il know-how[18];
– sia descritto e individuato con sufficiente chiarezza e precisione.
Per un soggetto che si accinge all’avviamento di un’attività commerciale è, quindi, necessario scegliere in piena consapevolezza se aprire un’attività in modo autonomo e indipendente, oppure se optare per l’affiliazione ad unfranchising già presente all’interno del mercato.
Per quanto riguarda, invece, i mezzi attraverso i quali il franchisor trasferisce il know-how al franchisee questi sono il c.d. manuale operativo[19] e la formazione.
Il manuale operativo è un insieme di linee guida di regola consegnato al franchisee alla sottoscrizione del contratto, e racchiude una serie di istruzioni che l’affiliato deve seguire per aprire e gestire l’attività di franchising secondo le strategie operative, le informazioni confidenziali e le conoscenze tecniche impartite dal franchisor.
Attraverso la formazione vengono trasmesse agli affiliati non soltanto le conoscenze tecniche (riguardanti il prodotto, le tecniche di vendita, etc.) ma anche e soprattutto tutte quelle conoscenze pratiche non descrivibili né formalizzabili nel manuale operativo, che possono essere apprese dagli affiliati esclusivamente attraverso il contatto diretto con il formatore.
È bene sottolineare che la formazione predisposta dal franchisor riveste una duplice rilevanza:
– è parte integrante del know-how trasmesso all’affiliato;
– costituisce un obbligo contrattuale per il franchisor, pertanto, se questi risulterà inadempiente, sarà responsabile verso il franchisee.
Caratteristiche fondamentali del know-how sono: segretezza, sostanzialità e individuabilità.
Per segretezza si intende “non generalmente noto né facilmente accessibile”.[20] Affinché le nozioni trasmesse dall’affiliante all’affiliato siano qualificabili come know-how occorre che le stesse non siano liberamente acquisibili altrove, cioè non siano state divulgate o, quantomeno, che la loro acquisizione da parte di terzi sia notevolmente più onerosa per l’affiliato.
L’aspetto sostanziale del know-how, invece, deve comprendere le “conoscenze indispensabili all’affiliato per l’uso, per la vendita o la rivendita, la gestione o l’organizzazione dei beni o servizi contrattuali”[21]. Le informazioni trasmesse dall’affiliante devono essere quindi tali da costituire un’utilità economica effettiva per l’affiliato, da cui questi non possa prescindere per l’esercizio della propria attività nella rete in franchising.
Infine, il know-how deve essere individuato, cioè “descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità”[22]. Questa caratteristica permette all’affiliato di conoscere nel dettaglio la formula commerciale trasferitagli e di verificare il rispetto dei requisiti di segretezza e sostanzialità. Si tratta tuttavia di un onere formale che risponde anche ad un interesse dell’affiliante, che sarà, così, in grado di controllare se l’affiliato eventualmente utilizzi il know-how al di là dello scopo contrattuale, o, cessato il contratto, lo utilizzi per sé o per altri.
In conclusione è possibile considerare che, a fronte dei possibili aspetti negativi del contratto di franchising, sebbene difetti un’esplicita scelta dell’Associazione italiana di categoria a favore delle procedure extragiudiziali, questa sia, plausibilmente, la strada di gran lunga più praticata anche nel nostro Paese nella conduzione dei conflitti.
[1] L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è un’autorità amministrativa indipendente italiana, con funzione di tutela della concorrenza del mercato. Essa decide in maniera autonoma rispetto al potere esecutivo. L’autorità può procedere ad istruttorie o indagini conoscitive, che possono concludersi in una diffida o una sanzione amministrativa.
[2]https://www.agcm.it/dotcmsCustom/getDominoAttach?urlStr=192.168.14.10:8080/41256297003874BD/0/48279B1997A00E84C125863000566EF7/$File/p28447.pdf
[3] III VALUTAZIONI, punto n.23.
[4] E’ competenza dell’AGCM intervenire allorquando le condotte abusive influirebbero sulla concorrenza del mercato.
[5] Un elenco esaustivo delle clausole contenute nel contratto di franchising tra Miregreen s.r.l. e Benetton è contenuta nell’articolo seguente al punto 4. https://blog.ilcaso.it/news_1054/09-02-21/Note_critiche_sull%E2%80%99istruttoria_aperta_dall%E2%80%99AGCM_contro_Benetton_per_abuso_di_dipendenza_economica_nel_franchising
[6] CGUE, sent. del 28/1/1986 – causa C-161/84, Pronuptia de Paris GmbH contro Pronuptia de Paris Irmgard Schillgallis. Racc. 1986 00353.
[7] Nel capoverso successivo si riporta la Legge sul franchising con il relativo obbligo in capo al franchisor di fornire al franchiseeobblighi di informazione prima della firma nel contratto.
[8] Legge 6 maggio 2004, n. 129 Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale, GU Serie Generale n. 120 del 24/05/2004, ELI: www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2004/05/24/004G0161/sg .
[9] Ossia la vendita dei prodotti direttamente al consumatore finale
[10] Fabio Bortolotti, Manuale di diritto della distribuzione-Volume II, CEDAM, pag.54.
[11] Trib.Taranto, 17 settembre 2003, soc. Paperoga c. soc Avis autonoleggio, in Foro it., 2003, I,c.3439.
[12] Trib.Milano, 13 novembre 1989, Studio Trezzano 2 s.a.s. c. ILFI s.r.l., in Giur. Merito, 1991,I p.1078.
[13] Trib.Milano, 23 Novembre 1994, Soc.A.B.Sportsman Club c.Soc.Squash Vico, in Giur.it, 1996, I, 2, c.382.
[14] La legge non fornisce una definizione di “formula commerciale” ma parla esclusivamente di “un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale”. Ciò non toglie che questo elemento sia fondamentale nel contratto di franchising; senza di esso non si potrebbe nemmeno configurare un simile accordo. E’ bene sottolineare che il franchisor concede al franchisee solo il diritto di fare uso di questa formula e non la titolarità della stessa. E’ difatti particolarmente importante il termine “insieme” utilizzato dalla legge, in quanto per aversi il contratto in esame dovrà essere concesso in uno tutto il c.d. package e non uno solo degli elementi.
[15] Per un caso di franchising caratterizzato dal marchio più che dal know-how, v. Trib.Lecce,2 febbraio 1990, Pantaleo c. soc. Benetton, in Giur.comm., 1990, II,p.1034.
[16] Il franchisee, quale parte debole del contratto, è tutelata dalla suddetta legge, attraverso l’imposizione al franchisor di consegnare al franchisee almeno 30 giorni prima della sottoscrizione del contratto, specifiche informazioni relative al franchisor, al marchio, alla rete, ecc., oltre al testo del contratto. Sempre in base a tale normativa, Il contratto deve, tra l’altro indicare: “l’ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso che l’affiliato deve sostenere prima dell’inizio dell’attività; le modalità di calcolo e di pagamento delle royalties; l’eventuale indicazione di un incasso minimo da realizzare da parte dell’affiliato” ed altre informazioni specificamente elencate.”
[17] Art.1, L.129/2004, lett.a) “ per know-how, un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante, patrimonio che e’ segreto, sostanziale ed individuato; per segreto, che il know-how, considerato come complesso di nozioni o nella precisa configurazione e composizione dei suoi elementi,non e’ generalmente noto ne’ facilmente accessibile; per sostanziale, che il know-how comprende conoscenze indispensabili all’affiliato per l’uso, per la vendita, la rivendita, la gestione o l’organizzazione dei beni o servizi contrattuali; per individuato,che il know-how deve essere descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialita’
[18] Per approfondimenti sul punto leggi l’articolo di Emiliano De Luise, https://www.iusinitinere.it/contratto-franchising-le-novita-della-l-1292009-552.
[19] A titolo di esempio, un manuale operativo dovrà contenere le seguenti voci: 1) Presentazione dell’affiliante 2) Caratteristiche del franchising e della propria formula 3) Apertura dell’attività 4) Gestione dell’attività 5) Gestione personale 6) Formazione ed assistenza.
[20] L.129/2004,art.3, comma 1, lettera g.
[21] L.129/2004,art.3,comma 1, lettera g.
[22] L.129/2004,art.3,comma 1, lettera g.
Classe 1994, Claudia Tortorici è un avvocato del foro di Catania che si occupa prevalentemente di diritto societario, commerciale e proprietà intellettuale. E’ Vice- responsabile dell’area di Fashion law della rivista giuridica Ius in itinere, grazie alla quale riesce a dedicarsi alle sue passioni.