Il contratto di franchising e le novità della L. 129/2004
Il contratto di franchising (o di affiliazione commerciale) è un contratto mediante il quale un’impresa (il franchisor o produttore o impresa-madre o affiliante) concede a un’altra impresa (franchisee o rivenditore o impresa-figlia o affiliato )il diritto di commercializzare i suoi prodotti e servizi mediante i propri segni distintivi (insegna,ditta e marchio), dietro il pagamento una tantum di una quota d’ingresso (font fee ) e il pagamento periodico nella forma di una percentuale sul fatturato (royality) o di una somma fissa o di entrambe. Tale fattispecie contrattuale si è sviluppata gradualmente negli Stati Uniti a partire dagli anni trenta fino a ottenere un grandissimo successo negli anni cinquanta, quale strumento contrattuale prediletto nella creazione e crescita delle catene di fast-food. Prima di analizzare dal punto di vista normativo le caratteristiche del contratto di franchising, bisogna però chiedersi quali siano le ragioni che spingono il franchisor e il franchisee alla sua stipula. Da un lato, il franchisor può ottenere uno sviluppo più rapido della propria attività tramite il riparto del rischio di impresa e dei costi con l’affiliato;dall’altro,il franchisee può usufruire di una “formula d’impresa” già collaudata e quindi beneficiare della fama e della notorietà di un prodotto o di un servizio già affermatosi sul mercato e che ha già trovato una sua cerchia di consumatori affezionati. Come molti altri contratti nati al di fuori del nostro Paese, anche il franchising per molto tempo è stato un contratto atipico, privo cioè di un’apposita disciplina legislativa; e come molte altre volte in cui il legislatore non è intervenuto, sono state dottrina e giurisprudenza che hanno dovuto elaborare una nozione di tale contratto, avendo come unici riferimenti la prassi e un atto normativo comunitario, il Regolamento della Commissione della Comunità europea sugli accordi di franchising del 30 novembre 1988. In particolar modo,sulla base di questi, si distinguevano tre diversi tipi di franchising a seconda del loro oggetto:
–Franchising di distribuzione in cui il rivenditore rivende determinati prodotti in un locale che ha l’insegna e l’immagine del produttore.
–Franchising industriale (o di produzione) in cui il rivenditore stesso produce quel bene sulla base della formula del produttore e lo rivende sotto il suo marchio.
–Franchising di servizi in cui il rivenditore offre un servizio sotto i segni distintivi del produttore.
Finalmente il 6 maggio 2004 con la l. 124 il legislatore ha colmato tale lacuna, dando anche una definizione di tale contratto: l’art 1,infatti, lo definisce come “contratto,comunque denominato, fra due soggetti giuridici economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio,allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi”. Da questo e dagli articoli seguenti, emerge la ricostruzione di tale contratto come sinallagmatico, cioè a prestazioni corrispettive, formale,perché la forma scritta è richiesta a pena di nullità e di durata, in quanto esso può essere sia a tempo indeterminato che a tempo determinato. Tuttavia, la l. 124 sottrae la determinazione della durata del contratto alla piena autonomia delle parti:infatti, essa prescrive una durata minima pari al tempo necessario per consentire all’affiliato di ammortizzare l’investimento e comunque a tre anni. La norma giustamente vuole tutelare la posizione dell’affiliato che sostiene costi significativi per intraprendere la propria attività, ma nel farlo non prevede una sanzione specifica nel caso in cui venga convenuta una durata inferiore rispetto a quella minima prevista dalla legge. La durata del contratto è rilevante poi in relazione alla tutela dell’affiliato che con la cessazione del rapporto potrebbe perdere tutta la propria cilentela: se il contratto è a tempo determinato,egli infatti potrebbe essere pregiudicato dal mancato rinnovo del contratto; se,invece, il contratto è a tempo indeterminato potrebbe essere pregiudicato dalla volontà dell’affiliante di non voler più continuare la relazione contrattuale,dato il potere che la legge gli conferisce di sciogliere unilateralmente il contratto (cd. recesso ad nutum). Proprio per tali ragioni, il legislatore è intervenuto dettando una compiuta regolamentazione della fattispecie contrattuale anche al fine di tutelare le aspettative di entrambe le parti prevedendo, ad esempio, la continuazione del rapporto (cd. ultrattività) per la tutela dell’affiliato o il ritiro delle merci da parte del produttore per la tutela dell’affiliante stesso. Alla tutela delle aspettative delle parti, si possono ricollegare anche le numerose previsioni in tema di obbligazioni a loro carico. Ad esempio:
-Il franchisor ha ad l’obbligo di concedere l’uso dei segni distintivi,di trasmettere il know-how, di prestare i servizi di assistenza e consulenza anche per l’addestramento del personale.
-Il franchisee ha l’obbligo di non trasferire la sede dell’impresa, di osservare la massima riservatezza in ordine al contenuto dell’attività anche dopo la cessazione del rapporto, di usare l’insegna e il marchio dell’affiliante, di rispettare determinati standards di qualità.
Tuttavia,seppur il legislatore ha previsto un contenuto tipico di tale contratto resta dubbio,in assenza di una specifica previsione di legge, se per le parti sia possibili discostarsi da tale contenuto e nell’esercizio della loro autonomia privata dare luogo a schemi atipici e ,nel caso, quale sia la sorte dei contratti stipulati in difetto di tali elementi. Per il momento, a tali interrogativi è solo l’incertezza della dottrina e della giurisprudenza che può dare risposta, essendo necessario ancora una volta l’intervento (più attento) del nostro legislatore.
Emiliano De Luise è uno studente della facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli Federico II che ha di recente conseguito la sua laurea con votazione 110 e lode con plauso della commissione/110. Appassionatosi a diversi settori del diritto commerciale, tra cui IP, M&A e Capital Markets, auspica ora una carriera nell’avvocatura d’affari.