La cessione del contratto
La cessione del contratto è istituto disciplinato dall’art. 1406 c.c., laddove si stabilisce che “ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta”. Preliminarmente pare opportuno sottolineare che è argomento, quello della cessione del contratto, che ha offerto molteplici spunti di discussione sia in relazione al suo oggetto, sia in relazione alla causa. In via di prima approssimazione possiamo affermare che la cessione del contratto è un contratto che determina il subingresso di un soggetto ( c.d. cessionario) nella posizione contrattuale di un altro soggetto (c.d. cedente).
Sicuramente, il punto più discusso in dottrina circa l’istituto de quo è l’oggetto della cessione, a riguardo, infatti, alcuni ritengono che oggetto della cessione sia il contratto stesso, altri, invece, ai fini della determinazione dell’oggetto valorizzano gli effetti che dal contratto scaturiscono, altri affermano che oggetto della cessione è il rapporto fondamentale, altri, ancora, la qualità di parte. A riguardo, attenta dottrina, contestando tutte le teorie appena citate afferma che l’oggetto della cessione sono i rapporti attivi e passivi trasferiti dal cedente al cessionario, quindi, il subingresso del cessionario nei rapporti attivi e passivi che promanano dal contratto a prestazioni corrispettive. Si badi, inoltre, che la cessione del contratto può essere cumulativa o sostitutiva. Per quanto concerne la prima figura, la stessa si ha quando si trasferiscono al cessionario le situazioni attive e passive, dunque, i crediti ed i debiti, ma rimane in capo al cedente il debito. In questi casi si parla di cessione del contratto con accollo cumulativo, difatti, il debito rimane in capo al cedente oltre ad essere trasferito al cessionario.
Diversamente, nella seconda ipotesi di cessione del contratto, c.d. sostitutiva, i crediti e i debiti, dunque, le situazioni attive e passive, sono trasferite interamente al cessionario, e il cedente perde, così, definitivamente la titolarità delle situazioni attive e passive. Da ciò, è più agevole comprendere perché per la determinazione dell’oggetto della cessione bisogna fare affidamento sulla teoria dei trasferimenti, laddove la cessione del contratto è rappresentata come trasferimento delle vicende che nascono dal contratto originario e non come trasferimento dell’intero contratto. Ciò che è oggetto di trasferimento è il rapporto, non l’atto originario che, invece, rappresenta mero titolo costitutivo dell’entità che viene trasferita, degli effetti del rapporto. Di talché, la cessione del contratto viene prospettata come cessione di credito, accollo di debito e vicenda traslativa del debito e del credito, cioè dei rapporti che sono nati dal contratto originario[1]. Dunque, per tale teoria si deve parlare, in riferimento alla cessione del contratto, di successione nei diritti e nei doveri e nei diritti potestativi e nei doveri di soggezione che derivano dal contratto.
Così, il subingresso del cessionario nei rapporti del cedente scaturenti dal rapporto originario rappresenta l’effetto nell’effetto, difatti, se l’effetto è frutto della fattispecie e l’effetto della fattispecie è il costituirsi del rapporto (originario), lo stesso si è esaurito insieme alla fattispecie, ma permane il rapporto, c.d. l’effetto nell’effetto, ossia i diritti e i doveri corrispettivi. Altro aspetto foriero di problemi, che ha generato non poche discussioni dottrinali, ha riguardato l’individuazione della causa del contratto di cessione. A riguardo, alcuni autori sostenevano che la causa della cessione del contratto fosse una causa propria, determinata, fissa e caratteristica che consisteva nel sostituire il cessionario al cedente. Tuttavia, attenta dottrina, ha obiettato che così facendo, ravvisando nella sostituzione la causa della cessione del contratto, non si faceva altro che confondere la causa con un aspetto del tipo, difatti, la sostituzione descrive meramente la vicenda dell’atto e non può assurgersi a causa dello stesso. Altri ancora sostenevano che la causa del contratto de quo si sviluppava in due momenti, si distingueva, così, il negozio avente ad oggetto la cessione del rapporto contrattuale e il negozio con cui si attuava la cessione stessa, il c.d. negozio di cessione in senso stretto. Il primo riguarda i rapporti tra cedente e cessionario, il secondo i rapporti tra cessionario e ceduto e, quindi, riguarda il negozio di trasmissione di cessione. Tuttavia, per quanto affascinante, detta impostazione attribuisce al negozio di trasmissione la qualità di atto astratto – frutto di un obbligo assunto con il contratto precedente obbligatorio che produce un atto di trasmissione astratto che sarà esso stesso produttivo dell’effetto del trasferimento – e, per ciò solo, non è accoglibile nel nostro ordinamento che, com’è noto, ha accolto il principio della causalità degli atti negoziali, cui consegue la nullità dei contratti privi di causa, quale elemento essenziale dell’operazione negoziale.
Anche in questo caso, a fronte di siffatte impostazioni, viene in aiuto la teoria dei trasferimenti, laddove si attribuisce alla causa della cessione del contratto una causa traslativa, difatti, soffermandosi sugli interessi concreti delle parti[2] si evince che vi è un vero e proprio interesse allo scambio, al trasferimento, e, in più, la causa traslativa è desumibile anche dagli strumenti usati per la cessione, cessione di credito e accollo di debito, che hanno causa traslativa. Ciò posto, pare ora opportuno proseguire nell’analisi dell’operazione de qua, soffermandosi in particolare sul valore del consenso del ceduto, ex art. 1406 c.c. Il quesito nasce, evidentemente, dalla locuzione “purché l’altra parte vi consenta” di cui all’ultima parte del I comma dell’art 1406 c.c. A riguardo, pare doveroso premettere l’estraneità del ceduto al regolamento contrattuale di cessione, difatti, il cessionario può assumere il debito del cedente in cambio dei rispettivi crediti in due modi: a) con un accollo interno dei debiti; b) con un accollo esterno o cumulativo, quindi, aperto all’adesione dell’accollatario (ceduto). Tanto nell’una, quanto nell’altra ipotesi il negozio tra cedente e cessionario attua uno scambio attivo di crediti e passivo di debiti, con la differenza che nella prima ipotesi (sub a) il cessionario dovrà tenere indenne il cedente dal peso dei debiti con accollo meramente interno; viceversa, nella seconda ipotesi (sub b), il cedente trasferisce al cessionario i crediti e come corrispettivo della cessione il cessionario si assume i debiti del cedente obbligandosi, non più solo nei rapporti interni con il cedente, ma direttamente verso il ceduto.
Anche in questo caso però il ceduto è estraneo, difatti, melius re perpensa, continuano a coesistere due diversi piani di interessi: un primo piano di interessi tra cedente e cessionario, che riguarda la fase in cui si attuano le trattative ed è la c.d. fase perfezionativa; un secondo piano di interessi, esterno, sottoposto al meccanismo giuridico della condizionalità incidente sul piano della sola efficacia e non anche su quello della validità. Dunque, la cessione del contratto è contratto bilaterale e si perfeziona attraverso il mero consenso tra cedente e cessionario e il consenso del ceduto rileva solo ai fini dell’efficacia di una fattispecie già valida. Di talché il consenso del ceduto riguarda la c.d. fase collaterale, quella dell’efficacia. Il consenso del ceduto, quindi, vale come accettazione di una fattispecie in sé già valida, e tanto ciò è vero perché già solo nella fase perfezionativa si producono determinati effetti, vale a dire il subingresso del cessionario nei debiti e nei crediti del cedente, per cui il consenso del ceduto riguarda gli effetti che scaturiscono dal suo consenso, ossia la liberazione del cedente.
[1] Cfr., R. CICALA, “Il negozio di cessione del contratto”, Edizioni scientifiche italiane, 2016.
[2] Coerentemente alla pronuncia della Corte di Cassazione sulla c.d. causa in concreto, Cass., 10490/2006.
Elena Ficociello nasce a Benevento il 28 luglio del 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica presso l’istituto “P. Giannone” si iscrive alla facoltà di giurisprudenza Federico II di Napoli. Si laurea il 13 luglio del 2017, discutendo una tesi in diritto processuale civile, relativa ad una recente modifica alla legge sulla responsabilità civile dello Stato-giudice, argomento delicato e problematico che le ha dato l’opportunità di concentrarsi sui limiti dello ius dicere. A tal proposito, ha partecipato all’incontro di studio organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura presso la Corte di Appello di Roma sul tema “La responsabilità civile dei magistrati”. Nell’estate del 2016, a Stasburgo, ha preso parte al master full time “Corso Robert Shuman” sulla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, accreditato dal Consiglio Nazionale Forense, convinta che un buon avvocato, oggi, non può ignorare gli spunti di riflessione che la giurisprudenza della Corte EDU ci offre.
Adora viaggiare e già dai primi anni di liceo ha partecipato a corsi di perfezionamento della lingua inglese, prima a Londra e poi a New York, con la Greenwich viaggi.
È molto felice di poter collaborare con Ius in itinere, è sicuramente una grande opportunità di crescita poter approfondire e scrivere di temi di diritto di recente interesse.
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