martedì, Marzo 19, 2024
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La distruzione del patrimonio culturale e religioso come crimine di guerra: caso Al Mahdi

Farà giurisprudenza la sentenza resa dalla Corte Penale Internazionale (CPI) al termine del processo contro Ahmad Al Faqi Al Mahdi, esponente della milizia islamica Ansar Dine, il quale ha confessato di aver distrutto nove mausolei, una
moschea antica e numerosi manoscritti, considerati patrimonio dell’Umanità (Conv. Unesco 1972).

Una sentenza storica perchè, per la prima volta dinanzi a un tribunale penale internazionale, l’imputato era accusato di distruzione del patrimonio culturale e e religioso, qualificato come crimine di guerra.

Il caso

La CPI ha avviato un’indagine formale il 16 gennaio 2013, per indagare sui presunti crimini che si sono verificati nell’anno precedente, nel corso di un conflitto armato nel nord del Mali. La Corte, il 28 settembre 2015, ha emesso un mandato d’arresto nei confronti di Al-Mahdi per aver intenzionalmnete diretto attacchi contro monumenti ed edifici di culto nell’antica città di Timbuctu.
“La distruzione ed appropriazione di beni, non giustificate da necessità militari e compiute su larga scala illegalmente ed arbitrariamente” viene considerato come crimine di guerra dall’art 8.2 dello Statuto della CPI.
Peraltro, la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato (Aja,1954), all’Art. 1 delle Disposizioni generali, considera come beni culturali: (a) i beni, mobili o immobili, di grande importanza per il patrimonio culturale dei
popoli, come i monumenti architettonici, di arte o di storia, religiosi o laici; le località archeologiche; i complessi di costruzione che, nel loro insieme, offrono un interesse storico o artistico; le opere d’arte, i manoscritti, libri e
altri oggetti d’interesse artistico, storico, o archeologico; nonché le collezioni scientifiche e le collezioni importanti di libri o di archivi o di riproduzione dei beni sopra definiti; (b) gli edifici la cui destinazione principale ed effettiva è di conservare o di
esporrei beni culturali mobili, quali i musei, le grandi biblioteche, i depositi di archivi, come pure i rifugi destinati a ricoverare, in caso di conflitto armato, i beni culturali; (c) i centri comprendenti un numero considerevole di beni culturali, definiti, detti “centri monumentali”.

D’altra parte, il tema dei crimini di guerra si intreccia con il tema dei diritti umani. La peculiarità delle norme che mirano a contrastare tali crimini, è quella di far sorgere una responsabilità in capo alla persona fisica che li commette. Infatti, l’art. 25.3 dello Statuto della CPI, rispettivamente alla lettera a e b, afferma che una persona è penalmente responsabile e può essere punita per un reato di competenza della Corte, quando commette tale reato a titolo individuale o insieme ad un un’altra persona o tramite un’altra persona e, quando ordina, sollecita o incoraggia la perpetrazione dello stesso.

In virtù dei riferimenti normativi accennati, il 27 settembre del 2016 l’imputato è stato condannato a nove anni di reclusione come co-autore di crimini di guerra commessi a Timbuctu, tra il 30 giugno e l’11 luglio 2012.

La pena inflitta ad Al Mahdi non è stata particolarmente pesante, perché la Corte ha considerato alcune circostanze come attenuanti: l’ammissione della colpevolezza, da un lato, e il pentimento del jihadista, dall’altro, sono i due elementi che hanno veicolato la decisione della Corte in tal senso.

Tuttavia, negli ultimi anni, la distruzione del patrimonio culturale durante i conflitti è divenuta una tattica di terrore e di attuazione di una “pulizia” cultural-religiosa. Una tattica oramai consolidata a tal punto che la Corte stessa ha sentito l’esigenza, attraverso un’interpretazione piuttosto larga rispetto al disposto normativo, di punire la distruzione del patrimonio culturale e religioso.

 

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