La figura dell’amministratore di condominio
La figura dell’amministratore di condominio è stata ampiamente rimaneggiata con la legge n. 220 dell’11 dicembre 2012.
In primo luogo, bisogna dire che per ciò che concerne la figura dell’amministratore, vi sono dei requisiti irrinunciabili:
- Devono avere il godimento dei diritti civili;
- Non devono essere stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione o l’amministrazione della giustizia […];
- Non devono essere stati sottoposti a misure di prevenzione divenute definitive, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione;
- Non devono essere interdetti o inabilitati;
- Il loro nome non deve risultare nell’ elenco dei protesti cambiari
La perdita di uno di questi requisiti, implica la cessazione dell’incarico, in quanto, ciascun condomino può convocare l’assemblea per la nomina del nuovo amministratore, senza ricorre a nessuna formalità.
Inoltre, qualora ci si avvalga di un amministratore professionista e quindi, esterno al condominio, sono richiesti altri due requisiti:
- Deve aver conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado;
- Deve aver frequentato un corso di formazione iniziale e svolgere attività di formazione periodica in materia di amministrazione condominiale.
Il legislatore, ha inoltre previsto che: per coloro i quali hanno svolto attività di amministratore di condominio per almeno un anno, nell’arco dei tre anni precedenti alla data di entrata in vigore della legge, è consentito svolgere l’attività, anche in mancanza dei requisiti alle lettere F) e G), resta però, l’obbligo di formazione periodica.
In ultimo, la legge prevede che: possono svolgere l’incarico di amministratore di condominio anche società come al titolo V del libro V del codice civile, in questo caso però, è richiesto che i requisiti siano posseduti dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condominii a favore dei quali la società presta i servizi.[1]
Per ciò che concerne la classificazione della figura dell’amministratore del condominio, grande risonanza ha avuto la disputa sul come definire tale figura e su come considerare il rapporto tra amministratore e condominio.
Come statuito dalla Corte di Cassazione a sezioni unite “…Il condominio non raffigura un «ente di gestione», ma una organizzazione pluralistica e l’amministratore rappresenta immediatamente i singoli partecipanti, nei limiti del mandato conferito secondo le quote di ciascuno”[2]. Tale sentenza ha superato definitivamente quell’indirizzo che individuava nell’amministratore una figura di rappresentanza organica dell’ente condominio.
La stessa riforma del 2012 ha accolto tale indirizzo, con l’esplicita previsione di cui all’art. 1129 comma 3 ed 11, dove si parla di atti compiuti “nell’esercizio del mandato” e di “revoca del mandato”.
Inoltre, il comma 15 dell’art. 1129 prevede: “per quanto non disciplinato dal medesimo articolo, si applicano le disposizioni di cui alla sezione I del capo IX del titolo III del libro V del codice civile” facendo rifermento, dunque, alla disciplina del mandato.
Vi è da precisare che tale rappresentanza, per la natura giuridica stessa del condominio, è limitata dalla legge, non essendo generica come quella prevista per gli amministratori delle società commerciali.
L’amministratore viene nominato dall’assemblea con delibera, cioè con un atto collettivo ed anche se non tutti i condòmini lo hanno nominato, egli, nell’esercizio delle sue funzioni, è tenuto a rappresentarli tutti indistintamente.
In particolare, quello dell’amministratore è un mandato generale, dunque non comprende gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione a meno che non siano espressamente indicati.
Tale situazione comporta una responsabilità quando il mandatario eccede i limiti del suo mandato, infatti, il compimento di un atto, che eccede i limiti del mandato resta a carico di questo ultimo, se il mandante non lo ratifica successivamente.[3]
Per ciò che concerne la durata dell’incarico questa è di un anno e si intende rinnovato per uguale durata, dunque, ove non venga deliberato diversamente dall’assemblea l’incarico si rinnoverà automaticamente per un altro anno.[4]
In merito alla cessazione dell’incarico: l’amministratore può rinunciare all’incarico, anche prima della scadenza annuale; tali dimissioni si configurano come un atto unilaterale ricettizio, in quanto non necessitano dell’accettazione dell’assemblea.
L’amministratore cessato è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso e dovrà eseguire solo le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni, senza diritto ad ulteriori compensi, dunque, tale attività non è da considerare in regime di prorogatio.[5]
L’amministratore può anche essere revocato prima dello scadere dell’incarico.
La revoca dell’amministratore può essere deliberata in ogni tempo dall’assemblea, con la maggioranza prevista per la sua nomina oppure con le modalità previste dal regolamento di condominio
Dalla riforma stessa è stato previsto che in caso di revoca da parte dell’autorità giudiziaria, l’assemblea non può nominare nuovamente l’amministratore revocato.
L’assemblea può adire all’autorità giudiziaria (su ricorso di ciascun condomino) nei casi dove si presentino gravi irregolarità fiscali, come ad esempio mancata ottemperanza all’obbligo di apertura ed utilizzazione del conto corrente condominiale.
Una volta verificatasi una situazione del genere, il legislatore ha previsto che il singolo condomino possa adire all’assemblea per la revoca dell’amministratore, in caso di mancata revoca egli potrà rivolgersi all’autorità giudiziaria ed in caso di accoglimento della domanda avrà rivalsa per le spese nei confronti del condominio che a sua volta potrà rivalersi nei confronti dell’amministratore revocato.
[1] Art 71bis legge 220/2012.
[2] Corte di Cassazione, sentenza a Sezioni Unite 9148/2008.
[3] Art .1711 c.c.
[4] Art. 1129 c.c., comma 10.
[5] Art. 1129 c.c., comma 8.