lunedì, Marzo 18, 2024
Criminal & Compliance

La modifica dell’art. 4 bis della legge sull’Ordinamento Penitenziario all’esito dell’entrata in vigore della legge n. 3/2019

A cura di: avv. Roberto Tedesco

Riassunto degli interventi giurisprudenziali più rilevanti

Una tra le tematiche giuridiche che sta raccogliendo numerosi contributi giurisprudenziali e dottrinali è sicuramente la modifica apportata all’art. 4 bis della legge 354 del 1975 (legge sull’Ordinamento Penitenziario) da parte della nuova normativa introdotta con la legge n. 3 del 2019 c.d. “spazzacorrotti”.

Ebbene l’art. 4 bis della legge sull’Ordinamento Penitenziario disciplina i particolari casi di esclusione della concessione dei benefici penitenziari per i condanni di determinati reati, c.d. ostativi, considerati di particolare pericolosità sociale[1].

 In questi casi, al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, il Pubblico Ministero, anche nei casi di condanna inferiori ad anni 4, darà immediata esecuzione alla pena detentiva con la conseguenza che il condannato non potrà usufruire del termine per poter richiedere modalità alternative dell’esecuzione della pena, previste dalla legge penitenziaria.

Fatta questa debita premessa, si analizzeranno di seguito le effettive modifiche e le conseguenti implicazioni derivanti dall’entrata in vigore della normativa di cui alla legge n. 3 del 2019.

La normativa in esame introduce una modifica sostanziale della disciplina di cui all’art. 4 bis della l. 354/1975 nella parte in cui prevede che i soggetti condannati per i reati di cui agli articoli 314 c. 1 c.p., 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater c. 1, 320, 321, 322, 322-bis del codice penale, non possano beneficiare del regime di espiazione alternativa della pena detentiva[2]. Pertanto, le fattispecie criminose di cui si tratta rientrano a tutti gli effetti nei c.d. “reati ostativi” cosi come gli altri reati che, però, hanno una portata di pericolosità sociale sicuramente maggiore.

Quindi, a seguito dell’entrata in vigore della legge, l’ordine di esecuzione, emesso a seguito di condanna definitiva per i reati contro la Pubblica Amministrazione sopra elencati, non potrà essere sospeso, cosi come previsto dall’art. 656 c.p. per le condanne inferiori ad anni 4 di reclusione, con la conseguenza che il condannato dovrà immediatamente eseguire la pena all’interno di un istituto carcerario.

Tra le problematiche principali che possono essere riscontrate nella normativa in analisi vi è sicuramente la mancata previsione, da parte del legislatore, di un regime intertemporale di applicazione della normativa.

Difatti, a seguito dell’entrata in vigore della normativa de qua, numerosi tribunali si sono pronunciati sul punto, anche con interpretazioni differenti.

La prima pronuncia sul tema è stata quella del Tribunale di Napoli, il quale, trovandosi a doversi pronunciare sulla revoca di un ordine di esecuzione precedentemente emesso al momento dell’entrata in vigore della normativa de qua, riteneva che l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative non hanno carattere di norme sostanziali, ma semmai processuali, e pertanto non può essere applicato l’art. 2 c.p. in tema di successione di leggi. Tali norme, però, soggiacciono al principio del “tempus regit actum”, con la conseguenza, quindi, che non può essere disposta la revoca di un provvedimento di sospensione dell’esecuzione emesso precedentemente all’entrata in vigore della legge 3 del 09 gennaio 2019[3].

Sul punto, successivamente, si è pronunciato anche il Tribunale di Como, Ufficio Gip, il quale ha ritenuto che, pur trattandosi di norme di carattere processuale, le stesse hanno una incidenza sostanziale sulla natura afflittiva della pena e, pertanto, “…sotto il profilo del diritto intertemporale, è che le conseguenze dell’applicazione di tale norma per colui che ha commesso il fatto prima della sua approvazione, si riverberano in fatto, non semplicemente sulla modalità di esecuzione della pena, ma sulla stessa natura della sanzione che nella sua fase iniziale impone la detenzione anche se il soggetto risulterà meritevole di una misura alternativa…”[4].

Anche in questo caso, oltre a segnalare la mancata previsione di un regime intertemporale relativamente all’applicazione ed esecuzione della pena, il Tribunale di Como decideva di sospendere l’ordine di esecuzione immediato emesso dalla Procura rilevando, di fatto, una violazione dell’art. 117 Cost. integrato dall’art. 7 CEDU nonché gli art. 25 c. 2 Cost. e l’art. 2 c.p.

A seguito delle suddette pronunce dei Tribunali di merito, è intervenuta una sentenza della Corte di Cassazione la quale, confermando la natura processuale della legge 3/2019, ha stabilito che “…le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, sono considerate norme penali processuali e non sostanziali e, pertanto, ritenute soggette – in assenza di una specifica disciplina transitoria – al principio tempus regit actum e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall’art. 2 cod. pen. e dall’art. 25 Cost. …[5].

Alla luce dei summenzionati orientamenti giurisprudenziali di merito e di legittimità si percepisce che la modifica all’art. 4 bis O.P. è immediatamente applicabile a tutti gli atti successivi all’entrata in vigore della legge, per tale motivo, quindi, l’ordine di esecuzione di una pena sotto i quattro anni relativa ai reati indicati dalla legge c.d. spazzacorrotti, non sarà sospeso se emesso dopo l’entrata in vigore della stessa.

In ragione del summenzionato principio giurisprudenziale il Tribunale di Napoli, la Corte d’Appello di Lecce e il Tribunale di Sorveglianza di Venezia hanno formulato una questione di legittimità costituzionale sull’art. 6 comma 1 lett. B della Legge 9 gennaio 2019 n. 3 nella parte in cui, ampliando il novero dei reati ostativi includendovi i reati contro la Pubblica Amministrazione, ha mancato di prevedere un regime intertemporale, per contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 27, 111 e 117 Costituzione[6].

Oltre a ciò, la Corte d’Appello di Lecce ha segnalato, come peraltro fatto anche dal Tribunale di Como, che la mancanza di un regime intertemporale comporta anche la violazione dell’art 7 della CEDU[7].

Infine, il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha pronunciato un’ordinanza contenente una questione di illegittimità costituzionale dell’art. 6 comma 1 lett. B della Legge 9 gennaio 2019 n. 3 poiché in contrasto con i principi di cui agli artt. 3 e 25 della Costituzione nonché con la normativa CEDU.

Oltre a ciò il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha espresso un interessante considerazione relativamente alla natura della norma giuridica di cui si tratta asserendo che la c.d. spazzacorrotti “…ha inciso, per dichiarata volontà dei suoi promotori, proprio sull’inasprimento del trattamento sanzionatorio per i colpevoli di delitti contro la P.A. con il preciso intento di politica criminale di rendere effettivo l’ordinario ricorso alla pena detentiva carceraria in quelle ipotesi in cui, nella normalità dei casi, i condannati potevano aspirare dallo status libertatis alla concessione di una pena non detentiva. Non si tratta, quindi, di modifiche intervenute sulle mere modalità esecutive della pena detentiva (come potrebbero essere quelle, in ipotesi, introdotte per limitare il numero di telefonate o di colloqui esterni per i corruttori), ma di una vera e propria trasformazione della tipologia di pena eseguibile (che da meramente limitativa della libertà diventa radicalmente privativa della libertà personale) con l’obiettivo di un inasprimento della sanzione stessa»[8].

Alla luce delle suddette ordinanze appare evidente che la Corte Costituzionale dovrà valutare se “introdurre” un regime intertemporale funzionale a garantire la certezza del diritto e dell’esecuzione della pena, cercando anche di far comprendere se tale modifica normativa ha carattere esclusivamente processuale, quindi sottoposta al principio del tempus regit actum, oppure se contiene principi di diritto sostanziale e quindi in che modo poter contemperare detta normativa con un efficace regime intertemporale di applicazione delle norme attinenti l’esecuzione della pena.

[1] Tra i reati individuati dall’art. 4 bis ci sono i reati di associazione mafiosa (e qualsiasi reato nel quale viene contestata l’aggravante del c.d. “metodo mafioso”, i reati di rapina e di estorsione aggravata, i reati associativi finalizzati alla commissione dei delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I di cui i reati associativi in ambito di stupefacenti, i reati di violenza sessuale di cui agli artt. 09-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies c.p.

[2] All’articolo 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni: a)  dopo  le  parole:  «collaborino  con  la  giustizia   a   norma dell’articolo 58-ter della presente legge» sono inserite le seguenti: «o a norma dell’articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale»; b) dopo le parole: «mediante il compimento  di  atti  di  violenza, delitti di cui agli articoli» sono inserite le seguenti: «314,  primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis,».

[3] Trib. di Napoli, Settima Sezione Penale, Collegio C., ordinanza emessa in data 28.02.2019

[4] Tribunale di Como, Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari, ordinanza emessa in data 08.03.2019.

[5] Cass. Sez VI, del 14.03.2019 n. 12541.

[6] Tribunale di Napoli, Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari, ordinanza del 02 aprile 2019

[7] Corte d’Appello di Lecce, Sezione Unica Penale, ordinanza del 27.03.2019 (depositata il 04 aprile 2019)

[8] Tribunale di Sorveglianza di Venezia, ordinanza del 02.04.2019 (depositata il 08 aprile 2019). Commento dell’ordinanza su www.giurisprudenzapenale.com

Fonte immagine: www.pixabay.com

Lascia un commento