La protezione del know-how dopo il d. lgs. n. 63/2018
Premesse
La rilevanza del know–how, e dei segreti commerciali, quale valore competitivo per le aziende è ormai consolidata. Ciò è vero specialmente per l’Italia, nella cui economia fatta da tante imprese manifatturiere di alta qualità il know–how gioca un ruolo molto rilevante.
Nella pratica, queste espressioni indicano da un lato le conoscenze tecniche relative ai metodi e ai processi per la preparazione di prodotti industriali (come la celebre formula segreta della Coca–Cola), e dall’altro quelle concernenti la struttura organizzativa dell’azienda ed inerenti quindi ad un piano più prettamente commerciale e business dell’attività di un’impresa (come in particolare le liste clienti e le tecniche di marketing).
Al pari degli altri diritti di proprietà industriale infatti, quali marchi, brevetti e design, anche il know–how detenuto da un’impresa contribuisce in maniera considerevole alla determinazione del suo valore e del suo patrimonio.
A livello normativo, l’ordinamento italiano dedica due norme alla specifica tutela di queste informazioni: gli artt. 98 e 99 del codice della proprietà industriale (c.p.i.). Inoltre, anche le regole che reprimono la concorrenza sleale exart. 2598 del codice civile (c.c.) possono essere invocate per ottenere una protezione[1].
Su un diverso piano legislativo, accanto a quello della tutela, si segnala che il know–how in Italia gode di una disciplina tributaria di favore tramite il c.d. Patent Box, che coinvolge anche i brevetti ed il design. Esso vuole essere un incentivo agli investimenti in ricerca e sviluppo che conducono alla realizzazione di diritti di proprietà intellettuale, tramite la concessione di agevolazioni fiscali sui redditi derivanti dallo sfruttamento degli stessi.
A livello europeo, la necessità di garantire una tutela efficace ed anche uniforme all’interno del mercato unico ha spinto alla emanazione della direttiva (UE) 2016/943 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, “sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti”[2].
A seguito dell’intervento europeo, il 7 giugno 2018 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica il Decreto Legislativo 11 maggio 2018, N. 63, varato dal governo in attuazione della detta direttiva[3].
Il Decreto peraltro, emanato due giorni prima della scadenza fissata al 9 giugno per il recepimento della direttiva negli Stati membri, è entrato in vigore nel nostro ordinamento il 22 giugno 2018.
Con l’attuazione della direttiva sono state apportate alcune modifiche al c.p.i. ed al codice penale (c.p.). Come si vedrà, le modifiche introdotte lasciano nondimeno intatto per larga parte l’impianto di tutela giuridica che il nostro Paese dedicava a questa materia, mettendo a disposizione dei titolari dei segreti alcuni strumenti nuovi e che vanno a rafforzare una disciplina già (robusta e) presente.
Il D. Lgs. N. 63/2018
Innanzitutto, a seguito dell’intervento, su di un piano linguistico non si parlerà più di informazioni segrete (la terminologia tradizionale con cui nel nostro c.p.i. si indicavano le informazioni e le conoscenze tutelate), bensì di know–how e di segreti commerciali (o “trade secrets”), seguendo il titolo della direttiva europea.
Da un punto di vista sostanziale poi, i canonici requisiti i) della segretezza, ii) del valore economico, e iii) della adozione di misure di protezione ragionevolmente idonee a mantenere segrete le informazioni, già presenti nell’art. 98 c.p.i., restano immutati nell’art. 3 del D. Lgs., sulla definizione dei nuovi segreti commerciali, e destinato a sostituire il primo.
L’importanza dei segreti commerciali quale quid pluris competitivo è dunque la giustificazione della protezione conferita dalla legge. Il carattere di assetconcorrenziale si desume dal valore economico della informazione in quanto segreta e, pertanto, in quanto sottoposta a misure preordinate a garantirne e preservarne la segretezza. Naturalmente infatti, una volta che l’informazione cessi di essere segreta entrando nella disponibilità di tutti gli operatori, il vantaggio sul mercato che essa attribuisce al suo titolare si perde, e così anche il suo valore economico.
La segretezza è inoltre da intendersi in senso relativo e non assoluto, poiché l’art. 98 c.p.i. (sia nella originaria formulazione che in quella introdotta con il D. Lgs. in esame) la ritiene sussistente quando le informazioni “non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore”[4], contribuendo così ad allargare il perimetro delle informazioni tutelabili.
Le fattispecie di illeciti prese di mira dalla disciplina sono elencate dall’art. 4 del D. Lgs., e anch’esse restano inalterate rispetto al previgente art. 99 c.p.i.. Esse sono i) l’acquisizione, ii) l’utilizzo e iii) la divulgazione abusiva dei segreti, ossia non autorizzata dal titolare né frutto di un’autonoma ed indipendente (e perciò lecita, come si vedrà) attività di ricerca, sviluppo e programmazione aziendale.
Tuttavia, sempre con riferimento all’art. 4 del Decreto e dunque con riguardo al nuovo art. 99 c.p.i., si segnala che l’àmbito di tutela viene ampliato tramite l’aggiunta di due nuovi commi. Infatti vengono punite non più soltanto le condotte che dolosamente costituiscano un’illecita acquisizione, rivelazione o utilizzazione dell’informazione, bensì anche quelle che vengano compiute con colpa. Inoltre, e sempre nella nuova formulazione dell’art. 99 c.p.i., il commercio (produzione, commercializzazione, offerta, esportazione, importazione e stoccaggio) di merci che incorporano un segreto viene equiparato ad un illecito utilizzo del medesimo ad opera del soggetto che svolge la detta commercializzazione, qualora questi sia, o avrebbe dovuto essere, a conoscenza che la progettazione, le caratteristiche, la funzione, la produzione o la commercializzazione beneficiano significativamente dei segreti commerciali acquisiti, utilizzati o rivelati illecitamente.
Sul piano di una maggiore incisività della tutela, una ulteriore novità apportata dal D. Lgs. riguarda poi i poteri del giudice in relazione ai procedimenti aventi ad oggetto l’illecita acquisizione, rivelazione o utilizzazione.
L’art. 5 del Decreto, che ha introdotto il nuovo art. 121-terc.p.i., mira infatti ad evitare che con i detti procedimenti possano essere rivelate e divulgate le informazioni su cui verte il giudizio, vanificando gli sforzi profusi per mantenere riservate le conoscenze.
L’art. 121-terc.p.i. consente infatti al giudice di vietare con provvedimento “l’utilizzo o la rivelazione dei segreti commerciali che ritenga riservati” ad ogni soggetto coinvolto nel giudizio, tra cui le parti, i propri consulenti, i difensori, ecc.. Il provvedimento è poi destinato a perdere efficacia qualora i) una sentenza passata in giudicato accerti che i segreti erano privi dei requisiti exart. 98 c.p.i., oppure ii) nel caso in cui i segreti diventino noti e facilmente accessibili all’interno del settore di riferimento.
Sempre l’art. 5 del Decreto, al suo paragrafo terzo, prevede che il giudice possa adottare i “provvedimenti, che nel rispetto dei principi regolatori del giusto processo, appaiono più idonei a tutelare la riservatezza dei segreti commerciali oggetto di causa”.
Un intervento che concerne le sanzioni irrogabili dal giudice con la sentenza che accerta la violazione del diritto si ha con l’art. 6 del D. Lgs., che ha modificato l’art. 124 c.p.i., e prevede che in alternativa alla inibitoria e all’ordine di ritiro dal commercio il giudice possa disporre il pagamento di un indennizzo su richiesta della parte interessata.
Similmente, l’art. 8 del D. Lgs. stabilisce come il giudice possa, alternativamente all’applicazione delle misure cautelari, autorizzare la continuazione dell’utilizzo dei segreti commerciali previa idonea cauzione per l’eventuale risarcimento dei danni subìti dal legittimo detentore.
Il calcolo delle predette somme sarà verosimilmente da effettuarsi tramite il riferimento alla giusta royaltyprevista per il legittimo utilizzo del segreto.
La tutela dei segreti tuttavia non si limita alla disciplina industrialistica, ma comprende anche un presidio a livello penale. L’art. 9 del D. Lgs. sostituisce l’art. 623 c.p. e ora punisce con la reclusione fino a due anni chiunque, venuto a conoscenza del segreto per ragione della sua posizione, “li rivela o li impiega a proprio o altrui profitto”. E’ inoltre previsto un aumento della pena se il fatto illecito relativo ai segreti è compiuto con strumenti informatici, data la maggiore pericolosità del mezzo che favorisce una più rapida e diffusa divulgazione dell’informazione[5].
Si può rilevare che le modifiche più significative del D. Lgs. di recepimento della direttiva riguardino da un lato l’ampliamento della tutela tramite la previsione degli illeciti colposi, e non più solo dolosi. Per altro verso, rappresentano un passo in avanti anche le misure specificamente dirette a tutelare la riservatezza dei segreti nel corso dei procedimenti. Si tratta di poteri che vengono conferiti al giudice e che questi può azionare per limitare l’accesso ai segreti oggetto del giudizio, per alcuni dei quali è richiesta una specifica istanza della parte interessata a preservarne la segretezza.
Le dette misure a disposizione dei giudici erano già previste nella direttiva europea, nell’art. 9 di questa, e la preoccupazione del legislatore europeo di renderle parte della strategia armonizzatrice in questa materia è da ricollegare alla doverosa presa di coscienza della sempre più crescente importanza che le informazioni segrete ricoprono nel mercato comunitario ed internazionale quale veicolo di competitività e di capacità evolutiva di un’impresa. Di qui la necessità di una tutela anche nell’ambito dell’attività giudiziaria, nella quale le cause aventi ad oggetto la illecita acquisizione delle informazioni segrete sono destinate a diventare un ulteriore strumento di salvaguardia del patrimonio aziendale.
Occorre inoltre evidenziare come la protezione in parola sia illimitata nel tempo, a differenza degli altri diritti di proprietà industriale che invece sono soggetti a precisi limiti temporali o ad obblighi di rinnovo per estenderne la durata. Inoltre, la protezione è assolutamente gratuita, non essendo soggetta ad alcuna formalità come la registrazione o il deposito. Queste caratteristiche rendono il know–how una alternativa appetibilealle imprese che vogliano ricorrervi per tutelare alcune formule o procedimenti tecnici che potrebbero essere anche oggetto di un brevetto.
Infine, la necessità di trovare un punto di equilibrio tra la tutela dei titolari delle informazioni in questione da un lato, e la libertà di ricerca e di espressione del resto degli operatori economici e della collettività dall’altro, rende necessario individuare anche dei casi in cui le informazioni e le conoscenze che rientrano nella tutela in parola possano essere autonomamente raggiunte ed utilizzate dalle imprese e dalle persone fisiche[6], soprattutto in un mercato ispirato ai principii della libera concorrenza.
La direttiva UE 2016/943, che il D. Lgs. ha recepito, si era preoccupata di elencare le eccezioni ai casi in cui l’acquisizione, la rivelazione e o l’utilizzo dei segreti siano illecite tramite l’art. 6. Le dette eccezioni includono i) la scoperta o la creazione indipendente; ii) l’osservazione, lo studio, lo smontaggio o la prova di un prodotto o di un oggetto messo a disposizione del pubblico o di cui il soggetto che perviene alla informazione si trovi nel legittimo possesso (c.d. reverse engineering); iii) l’esercizio dei diritti di espressione e di informazione dei cittadini dell’Unione, e di quello alla consultazione dei lavoratori situati nell’Unione, purché detto esercizio sia conforme alle consuetudini e al diritto comunitario e nazionale.
Negli usi, si tratta principalmente delle ipotesi in cui non vi è alcuna violazione delle leali pratiche commerciali che devono regolare lo svolgimento delle attività economiche, ed in cui è frequente che attività di R&D conducano a scoprire e rivelare determinate tecniche, formule ecc..
Naturalmente, la liceità di tali fattispecie, che venivano già ammesse in giurisprudenza, non è messa in discussione dal nuovo D. Lgs., e pertanto esse continueranno a rappresentare un presidio ed un incentivo per la ricerca e la sperimentazione.
Conclusioni
Si può dire che il nostro ordinamento fosse già ben preparato per quanto riguarda la tutela del know–how e dei segreti commerciali, tanto da potersi collocare in questo settore “tra i più efficienti d’Europa”[7]. Ciò è infatti dimostrato dalla natura dei cambiamenti che il D. Lgs. ha apportato, i quali hanno preservato sostanzialmente intatta la struttura della protezione delle informazioni segrete rinvenibile negli artt. 98 e 99 c.p.i., sui requisiti per accedere alla tutela[8] e sulle ipotesi di illecito, andando così unicamente a rafforzare una protezione che già funzionava. La direttiva ha infatti introdotto elementi che consentono al know–how di godere di una tutela adeguata ed armonizzata a livello europeo, ma molti dei quali erano già presenti nell’ordinamento italiano. Non può dunque dirsi (ed è un vanto per il nostro Paese, almeno in questo caso) che l’Italia abbia dovuto allineare la propria disciplina a standard di protezione maggiori e più sofisticati. In particolare, come si è visto, sono da segnalare l’ampliamento della tutela tramite l’aggiunta di due commi all’art. 99 c.p.i. sulle fattispecie di illeciti punibili, il conferimento al giudice di poteri più incisivi nel corso dei procedimenti volti a garantire la segretezza delle informazioni, ed un inasprimento della tutela in sede penale.
[1]In passato, e fino al 1996, quanto fu introdotto l’art. 6-bisdelle legge sulle invenzioni sulla spinta degli accordi TRIPS, la tutela delle informazioni in questione era prevista unicamente nei confronti dell’imprenditore concorrente tramite le regole della concorrenza sleale, rinvenibili nel c.c..
Per una ricostruzione approfondita della disciplina nazionale sulle informazioni segrete si veda D. De Angelis in M. Scuffi-M. Franzosi, Diritto Industriale Italiano– Tomo I, 2014, p. 894 ss..
[2]Il testo della direttiva è reperibile tramite il link .
[3]Il testo del D. Lgs. è reperibile tramite il link http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/06/07/18G00088/SG.
[4]Sul requisito della segretezza si veda in particolare Trib.Milano 14/02/2012, in Giur.ann.dir.ind., 2012, p. 665) ove si afferma che “Il requisito della segretezza delle informazioni necessario alla tutela di cui all’art. 98 c.p.i. non impone che si tratti di informazioni diversamente irraggiungibili dal concorrente, essendo sufficiente che la loro sottrazione comporti un risparmio di tempi e costi rispetto ad una loro autonoma acquisizione.”.
[5]La disposizione concernente la tutela penale è il frutto di una scelta autonoma del legislatore italiano, non essendo essa presente all’interno del testo della direttiva.
[6]Al proposito un cenno va fatto alla posizione degli exdipendenti che abbiano contribuito alla elaborazione dell’informazione e ne siano quindi venuti a conoscenza e rispetto ai quali è necessario assicurare la possibilità di continuare a servirsi delle proprie esperienze accumulate. Si veda al riguardo Trevisan & Cuonzo, Proprietà intellettuale, industriale e IT, 2017, p. 428.
[7]Come afferma Cesare Galli, in “Segreti Commerciali: in G.U. il D. Lgs. 63/2018 sulla protezione del know-how”, Il Quotidiano Giuridico – 8 giugno 2018. L’articolo integrale è reperibile tramite il link http://www.quotidianogiuridico.it/documents/2018/06/08/segreti-commerciali-in-g-u-il-d-lgs-63-2018-sulla-protezione-del-know-how.
[8]In particolare, resterà fondamentale la dimostrazione di aver adottato le misure idonee a mantenere la informazione segreta.
Edoardo, dopo la maturità classica, si è laureato con 110/110 cum laude presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Bologna nel 2016, con tesi in Comparative Copyright Law. Nell’anno 2015/2016 ha conseguito inoltre un LLM in Intellectual Property & Information Law presso il Dickson Poon School of Law del King’s College di Londra.
Dopo aver collaborato con il dipartimento IP di uno studio legale internazionale, svolge attualmente la pratica forense in uno studio boutique specializzato in Proprietà Industriale e Intellettuale, materie nelle quali ha deciso di focalizzare i propri interessi professionali e di studio.
Oltre ad essere appassionato di Intellectual Property, tra i suoi interessi vi sono la musica, leggere e il jogging.