La riforma Fischler (2003): il volto nuovo della politica agricola comune
Una politica distorcente
La Politica Agricola Comune (PAC), istituita con il Trattato di Roma del 1957 (artt. 39 e seguenti), agiva nell’intento di mantenere alti i prezzi della produzione agricola interna (in particolare, latte e prodotti caseari) con il fine di accrescere i redditi degli agricoltori e migliorare il tenore di vita nelle aree rurali, ritenute maggiormente colpite dalle gravi conseguenze del secondo conflitto mondiale.
La dimensione strutturale dell’economia – il 26% della popolazione europea era occupato nell’agricoltura alla metà degli anni ’50, con il massimo del 34% raggiunto dall’Italia, nel meridione – e l’importanza di sostenere una produzione poco competitiva a livello internazionale attraverso sussidi alla produzione e all’esportazione furono i motivi che portarono a impegnare gran parte delle risorse del bilancio comunitario alla Politica Agricola Comune, finanziata attraverso il FEOGA (Fondo europeo di orientamento e garanzia agricola, diviso in due sezione, di orientamento, cioè ristrutturazione del mercato agricolo europeo, di garanzia, ossia di sostegno ai prezzi); ad esempio, nel 1979 il 75% delle risorse fu destinato al finanziamento di tale politica. I costi in termini di bilancio erano dunque molto alti, cosa che portò la Gran Bretagna a ribellarsi a ulteriori aumenti, in quanto non beneficiaria di tale intervento.
Tuttavia, in un mondo, che andava globalizzandosi, non era nemmeno accettabile la sopravvivenza di simili aiuti pubblici e di un protezionismo in campo agricolo, bloccando di fatto le esportazioni dai Paesi del terzo mondo, che necessitavano di mercati di sbocco per le proprie merci per potersi sviluppare. Oltretutto, l’Europa negli anni ’90 non era più quella uscita dalla guerra: l’agricoltura rivestiva un ruolo sempre minore. Per questi motivi fu necessaria una riforma negli anni ’90 (Riforma MacSharry), che sicuramente ebbe il merito di aprire il mercato agricolo comune alla concorrenza internazionale[1] riducendo i sussidi; inoltre, adeguò la produzione alla domanda eliminando il problema delle eccedenze, che negli anni erano state assorbite per mantenere alto il livello dei prezzi, e tentò di non far pesare più sui consumatori europei i costi di una politica poco produttiva. Molti prodotti, però, furono esclusi dalla riforma e rimanevano le quote latte prorogate fino al 2015; inoltre le compensazioni ai produttori per la perdita dei vantaggi connessi ai sussidi sui prezzi rendevano il sistema molto complesso. Si ritenne necessario agire sulla struttura della PAC e in ciò la riforma Fischler, nel 2003, risultò un successo.
Cosa cambia dal 2003
L’assetto della politica agricola comune è stato radicalmente modificato con i regolamenti 1782 e 1783/2003/CE del Consiglio, su indicazione dell’allora Commissario europeo per l’Agricoltura e lo Sviluppo rurale, Franz Fischler. Finisce così l’epoca dei sussidi legati alla produzioni (c.d. decoupling): le imprese agricole, piccole o grandi, sono destinatarie di pagamenti unici diretti, calcolati in modo diverso sulla base di pagamenti ricevuti nel corso di un periodo storico di riferimento o sulla base di una media di pagamenti effettuati in una regione o in uno Stato membro.
Tali pagamenti sono condizionati, tuttavia, al rispetto di standard ambientali e di protezione degli animali, di sicurezza alimentare e di sicurezza sul posto di lavoro, di buone condizioni agronomiche ed ecologiche, che vanno sotto il nome di cross compliance. Ciò avviene nell’ottica di una maggiore tutela del consumatore e alla luce degli obiettivi di un’Europa più verde e di una crescita sostenibile a basse emissioni di carbonio. Infatti, a presidio di tali vincoli, sono previste sanzioni pecuniarie per gli agricoltori dell’importo dal 10 al 100% dei pagamenti ricevuti.
Principalmente si trattò di una riforma necessaria, per rendere più competitiva la produzione agricola a livello internazionale, giacché si riteneva insostenibile la sopravvivenza – pur residuale – di certi strumenti di protezione che non facevano altro che alterare le dinamiche del mercato. La questione delle eccedenze, abbastanza sofferta dalle istituzioni comunitarie, andava risolta semplicemente realizzando una liberalizzazione completa del settore agricolo, cessando i sostegni alla produzione e ai prezzi, che in questo modo potevano essere decisi solo dal mercato (sia interno che internazionale). Molte aziende dovevano convertire la produzione, se necessario, per rimanere sul mercato, perché i loro prodotti non potevano più essere assorbiti dal mercato (la domanda per loro era quasi inesistente) e tutte iniziavano a lavorare per migliorare gli standard di produzione, concentrandosi sulla qualità del prodotto, che nella strategia della Commissione era di primaria importanza al fine di consentire una maggiore tutela del consumatore.
Per questa ragione, dal 2003, i pagamenti servono agli imprenditori agricoli per istruirsi, per migliorare il know-how a disposizione sui nuovi metodi di coltivazione, buona gestione della terra, alimentazione sicura e controllata degli animali e tanto altro. Una riforma, che ha avuto il merito di presentare vantaggi sia per produttori che per consumatori – sono state effettivamente ridotte del 70% i sussidi all’agricoltura che causavano distorsioni del mercato – ma vale la pena ricordare che ha avuto successo nello scongiurare ulteriori distorsioni, soprattutto nella configurazione dei bilanci comunitari futuri, che si sarebbero manifestate, data la struttura originaria della politica agricola comune, dopo l’ingresso dei PECO (Paesi dell’Europa centro-orientale) nell’Unione Europea (2004), i quali hanno fatto aumentare il peso dell’agricoltura nell’economia europea, con punte del 16-18% della forza lavoro totale attiva, in Lituania e Polonia[2] e livello dei prezzi piuttosto basso (il che avrebbe costretto l’Unione a intervenire per rialzarli).
[1] G. Laschi, La Politica Agricola Comune (PAC), in: E. Calandri, M.E. Guasconi, R. Ranieri, Storia politica e economica dell’integrazione europea dal 1945 ad oggi, 2015
[2] F. Fauri, L’Unione Europea. Una storia economica, 2017
Dottore in scienze politiche, relazioni internazionali e studi europei presso l’Università di Bari, attualmente in fase di completamento degli studi di relazioni internazionali. Collaboratore dell’area di diritto internazionale, con particolare interesse per il diritto e le politiche dell’Unione Europea.