lunedì, Dicembre 2, 2024
Labourdì

“Le faremo sapere”. La disciplina legale per un colloquio di lavoro che rispetti la legge.

Il colloquio di lavoro rappresenta lo strumento che più di tutti permette di  conoscere realmente il candidato e le sue competenze,  ma occorre sapere che non tutte le domande poste  sono lecite e ,soprattutto, che alcune informazioni –molto spesso carpite indirettamente –  non dovrebbero essere il fondamento della decisione attraverso cui si seleziona un candidato anziché un altro. Nel migliore dei mondi possibili, la selezione dovrebbe avvenire sulla base di una lista di competenze, attitudini e capacità  intese come necessarie per lo svolgimento della prestazione lavorativa e, di conseguenza,  come requisiti indispensabili da ricercare nel candidato.

L’atteggiamento del datore di lavoro che intende porre in essere una ricerca col fine preciso di scoprire quanto più possibile sul candidato che gli si presenta dinanzi, è più che comprensibile dato che si preoccupa di tutelare la produttività (anche a lungo termine) della propria azienda. Tuttavia, pur volendo comprendere tutto ciò, tale atteggiamento non può mai essere giustificato se, come vedremo, oltrepassa alcuni limiti normativi.

I limiti sono definiti da una norma che esiste dal 1970. È l’articolo 8 dello Statuto dei Lavoratori, rubricato “Divieto di indagini sulle opinioni”, in cui leggiamo: E’ fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore.

Il datore di lavoro, infatti, può assumere solo quelle informazioni che siano rilevanti per valutare la capacità del candidato a svolgere non una generica mansione, ma quella per la quale verrebbe successivamente concluso il contratto di lavoro. E ciò anche qualora ci fosse il consenso espresso del candidato.

Egli potrà infatti richiedere le certificazioni che attestano le competenze dichiarate nel proprio curriculum dal candidato, ma non potrà pretendere un certificato sullo stato di famiglia né formulare domande relative a tale ambito. Purtroppo accade frequentemente che esaminando una donna, le si chieda se è sposata o se intenda avere figli. La ragione è presto detta: l’esaminatore sta valutando quanto tempo la candidata potrà dedicare al lavoro non solo adesso, ma soprattutto in futuro. Sta cercando di evitare l’assunzione di possibili soggetti che poi usufruiranno di una maternità, o di un congedo che, alla luce di quella concezione di produttività suddetta, sarebbero lesivi dell’efficienza aziendale.

Alla luce di questi distorti ragionamenti che molto spesso generano discriminazioni tra sessi è utile quindi rammentare il “codice delle pari opportunità”, decreto legislativo entrato in vigore nel 2006, in cui si legge che:

E’ vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, indipendentemente dalle modalita’ di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attivita’, a tutti i livelli della gerarchia professionale.

La discriminazione di cui al comma 1 e’ vietata anche se attuata:

  1. attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza;
  2. in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l’appartenenza all’uno o all’altro sesso.

È così vietato fare annunci di ricerca del personale indicando la fascia d’età o il sesso preferiti (ad esempio: «Cercasi segretaria di età compresa tra i 25 ed i 40 anni» e «Cercasi coppia cinquantenne, senza impegni familiari») in quanto discriminatori sulla base del sesso e dell’età.

Parimenti discriminatoria e inopportuna è la domanda con cui si chiede quali festività vengono osservate dal candidato o quella relativa alle proprie idee politiche. Anche in questo caso le proprie credenze religiose e i propri ideali non dovrebbero essere un criterio di selezione in favore di un candidato piuttosto che un altro. Parte della dottrina sostiene che la domanda può essere lecita se inerente ad una posizione lavorativa all’interno di una testata giornalistica palesemente orientata politicamente e religiosamente, ma a giudizio di chi scrive, risulta fuorviante pensare che in presenza di tal evidenza, un soggetto con idee o credenze confliggenti possa candidarsi per essere assunto.

Inoltre anche la richiesta del certificato dei carichi pendenti, che permette di conoscere l’esistenza di eventuali procedimenti penali  in corso a carico del candidato è illecita. Stavolta però oltre che violare l’art. 8 dello Statuto dei lavoratori, la domanda risulta discriminatoria sulla base dell’art 27 della Costituzione, poiché come contemplato nello stesso: “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”

Per questo motivo quando vengono fatte domande che esulano dalla sfera lavorativa, per rientrare in quella dei dati sensibili, si può evitare di rispondere. Anzi si consiglia domandare l’utilità del quesito ai fini della mansione che eventualmente si andrà a svolgere o della posizione lavorativa che si andrà a ricoprire. Ben comprendendo che sarebbe poco utile scegliere di mentire, poiché si può facilmente intuire che qualora vengano poste tali domande, che dimostrano la totale assenza di serietà e correttezza, tali assenze si ripresenteranno anche nella realtà lavorativa quotidiana. Nel caso ovviamente in cui il candidato fosse cosi (s)fortunato da essere assunto.

Dott. Vincenzo Santoro

Classe 1992. Laureato in giurisprudenza alla Federico II nel 2016 con una tesi in diritto penale dell'economia,praticante avvocato presso più di uno studio legale. Gli piace tenersi in costante aggiornamento sul diritto italiano e su come le leggi incidano sulla nostra vita quotidiana. Al di fuori della vita professionale si è dedicato ad attività di intrattenimento e informazione: oltre a scrivere per Ius in Itinere, infatti, ha condotto anche dei programmi sulla web-radio. Affronta le situazioni sia come una sfida che come un modo per migliorarsi giorno dopo giorno. Adora i telefilm a sfondo legale di cui è un patito assoluto. Il suo motto? “La verità è relativa. Scegline una che funzioni.” La cosa che più gli piace di questo lavoro? Tutto

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