L’evoluzione della concezione del bene giuridico – II parte
Questo è il secondo di una serie di articoli volti a ricostruire l’evoluzione della concezione del bene giuridico attraverso l’analisi della dottrina per come sviluppatasi nel corso degli anni, anche con riferimento al contributo fornito da studiosi stranieri, con particolare riferimento alla scuola tedesca.
La categoria del bene giuridico, nella sua funzione dommatica, interessa e coinvolge l’elaborazione scientifica delle dottrine generali del reato, i cui contenuti riflettono scelte di politica criminale ricollegabili alla teoria del bene giuridico, inteso in senso teleologico-valutativo[1]. Si pensi alla pena, la cui concezione di «ultima ratio della politica sociale» e di difesa sussidiaria di beni giuridici[2], perfettamente coordinata col principio di proporzione, ha come conseguenza una riduzione dei legittimi oggetti di tutela alle «condizioni minime» della convivenza civile[3].
Gli orientamenti che si sono susseguiti nel corso degli anni hanno privilegiato talora la funzione dommatico-sistematica del bene giuridico, talaltra quella politico-criminale. Tuttavia, il periodo del rafforzamento di una teoria positivistico-formalistica del bene giuridico ha posto le basi per l’affermazione della cd. concezione metodologica[4], la quale portò all’estremo il processo di formalizzazione. Tale concezione prende le mosse da un sostanziale disinteresse rispetto al sostrato materiale del bene giuridico, partendo dal presupposto che esso sia estraneo rispetto al processo interpretativo delle norme. Il processo di revisione critica proprio degli esponenti della concezione metodologica sfocia in un sostanziale ridimensionamento dell’autonomia del bene giuridico: il concetto di bene giuridico, secondo costoro, degrada a semplice formula abbreviatrice del concetto di scopo della norma penale, individuabile attraverso un’attività di interpretazione. Corollario di questa teoria è la progressiva erosione della funzione critica del bene giuridico, dal momento che essa si presta ad appoggiare le scelte di tutela trasposte nell’ordinamento positivo[5].
La maggior parte delle legislazioni penali considera il bene giuridico come criterio sostanziale per la classificazione delle varie specie di delitti, strutturando la sistematica della parte speciale partendo dai beni giuridici effettivamente tutelati. Se, però, compete alla politica criminale operare una valutazione critica di tali beni già assunti all’interno del codice penale, mettendo in discussione anche le scelte operate dal legislatore, dal punto di vista dommatico la vicenda si incentra sulla necessità di ricavare dal corpus normativo rappresentato dalle singole fattispecie incriminatrici il novero dei beni giuridici tutelati dall’attuale sistema. Alla luce di una dimensione prettamente politica, considerato che l’intervento penale trova la sua legittimazione sul piano etico-politico nella finalità di tutela di un bene giuridico, occorre analizzare la questione da diverse angolazioni. Innanzitutto, è necessario verificare se il principio di offensività operi nel nostro ordinamento e in che misura[6]; quali tipologie di beni il diritto penale deve o è in grado di tutelare e contro quali offese; se esistono o meno parametri vincolanti idonei a stabilire cosa sia socialmente dannoso; se esistono dei vincoli per il legislatore nella scelta dei beni da tutelare e in che misura; sulla base di quali criteri identificare i beni giuridici penalmente tutelabili.
La teoria secondo cui il compito del diritto penale è quello di proteggere i beni giuridici, ossia l’affermazione del principio di necessaria offensività del reato, si pone come indipendente rispetto alle matrici filosofico-politiche dei vari indirizzi di pensiero. Ad esempio, alcuni studiosi della Germania nazista non respinsero il requisito del cd. disvalore dell’evento quale contenuto del concetto di illecito, ma la dannosità sociale del reato veniva valutata alla luce del «sano sentimento popolare», con un tendenziale assorbimento della sfera del diritto in quella etica. La conseguenza fu il ripudio del concetto stesso di bene giuridico in nome di una concezione moralmente più alta del reato, che condusse alla conversione dell’essenza del reato da offesa di beni giuridici a violazione dei doveri[7].
Gli studiosi tedeschi di orientamento nazionalsocialista, in particolare, muovevano una critica al concetto tradizionale di bene giuridico: essere espressione di una concezione vetusta e superata di stampo individualistico-liberale[8].
Il cambiamento del rapporto Stato-cittadino fece in modo che la violazione del dovere di fedeltà nei confronti dello Stato fosse posto al centro del reato, a ulteriore riprova della correlazione tra concezione del bene giuridico e teoria dello Stato.
Durante il secondo dopoguerra, anche grazie al rinnovato vigore degli ordinamenti di stampo liberal-democratico, tornò alla ribalta la tematica della protezione dei beni giuridici quale scopo del diritto penale, accompagnata da una riformulazione dei criteri legittimanti l’intervento punitivo in uno scenario come quello dello Stato sociale di diritto[9]. Proprio in questo scenario acquisì consensi sempre maggiori la cd. concezione liberale, stimolata dalla volontà di distaccare sempre più il diritto penale dall’ombra lunga della morale corrente[10].
Sul piano della politica criminale, il bene giuridico si manifesta innanzitutto nella sua funzione critica[11] (o politico-garantista) di limite delle scelte di criminalizzazione del legislatore, cui non può essere attribuito il compito della determinazione di ciò che è bene giuridico in via esclusiva. La tematica del bene giuridico richiama a sé le questioni principali circa la funzione e i limiti del diritto penale all’interno dello Stato di diritto, dei criteri di legittimazione dell’intervento punitivo sul piano sociale ed etico-politico[12], il problema del fondamento e del contenuto del diritto penale e di quali sono gli eventi socialmente dannosi[13]. Il concetto di bene giuridico va oltre la dommatica penalistica di stampo liberale, dal momento che serve a collegare il diritto penale alla realtà, con una forte attenzione al dato empirico.
L’inserimento di prospettive di politica criminale all’interno della teoria del bene giuridico evidenzia chiaramente il legame esistente tra il diritto penale e la realtà sociale snocciolata in tutte le sue componenti, traslando il focus dall’analisi strutturale della pena all’analisi funzionale della stessa. Inoltre, il dibattito sul bene giuridico non è proprio solo della dommatica e della scienza del diritto penale, bensì è caratterizzato da un’apertura tanto ai rapporti di vita reale quanto alla politica criminale in senso stretto, il cui oggetto preminente[14] è costituito proprio dalla selezione dei beni giuridici meritevoli di tutela.
Dommatica e politica criminale hanno caratteristiche diverse ma, nonostante le rispettive autonomie metodologiche, interagiscono e necessitano l’una dell’altra[15]. La dommatica, strutturalmente conservatrice, e la politica criminale, invece, innovatrice, entrano in contatto nella misura in cui la prima deve piegarsi alle esigenze della seconda: una politica criminale, però, che sia conforme ai principi costituzionali e che non si ponga in contrasto con le scelte del legislatore. L’altra faccia della medaglia è che la politica criminale, a sua volta, deve ossequiare i principi della dommatica, andando a ricoprire, nei confronti di questa, una vera e propria funzione limitativa.
Nello studio del diritto penale, l’impostazione dell’indirizzo cd. tecnico giuridico, nonostante riconosca che «il bene, prima ancora di essere giuridico, è un bene della vita umana e sociale e l’interesse, prima ancora che giuridico, è un interesse umano»[16], assume un concetto formale del bene giuridico, indipendente dal suo contenuto.
La scienza giuridica, secondo questo indirizzo, deve descrivere avalutativamente solo il diritto realmente esistente e il concetto di bene giuridico viene identificato con l’oggetto che trova tutela nelle singole norme incriminatrici[17].
Il bene giuridico, seconda questa concezione, viene privato di ogni funzione critica: l’indirizzo tecnico-giuridico si fonda su un’ideologia secondo la quale vi è un obbligo morale di obbedire al diritto, a prescindere dal suo intrinseco valore di giustizia[18]. Esso attribuisce al bene giuridico una funzione dogmatico-sistematica, rifiutandone dunque una nozione pregiuridica che possa valere come limite al potere punitivo dello Stato e come parametro di controllo esterno alla fattispecie penale.
Dal momento che gli aspetti dommatici e politico-criminali risultano connessi, la teoria del bene giuridico ha condotto la politica criminale all’interno del diritto penale nella ricostruzione delle categorie giuridiche, guidando e giudicando le scelte del legislatore e nell’attività dell’interprete e del giudice. Al bene giuridico viene attribuita una funzione anche critica, nel senso di critica delle leggi penali positive in base alle loro fonti di legittimità politica e giuridico-costituzionale e la dottrina relativa al bene giuridico è coinvolta nella determinazione delle finalità politico-criminali del diritto penale.
Autorevole dottrina ha affermato[19] che sebbene il diritto così com’è e il diritto come dovrebbe essere non sono concetti contrapposti, politica criminale e dommatica non hanno le stesse competenze e, se così fosse, si porrebbero sullo stesso piano legislatore e giudice, violando sia il principio di divisione dei poteri sia il principio di legalità. Sotto il profilo esegetico l’interprete deve tener conto dei principi di politica criminale nell’ambito della legge e nel rispetto delle regole di interpretazione. Dunque il punto di vista determinante per stabilire l’offensività o meno di un comportamento conforme al tipo descrittivo deve essere ricercato all’interno della norma incriminatrice interpretata in senso costituzionalmente orientato.
Il bene giuridico è stato messo in risalto dalla dottrina come uno dei principali luoghi di contatto tra dommatica e politica criminale, dal momento che proprio l’elaborazione dommatica, rappresentando la concretizzazione di esigenze politico-criminali, deve ampliare i propri metodi di indagine mostrando apertura ai rapporti di vita reale. La teoria del bene giuridico, infatti, dà risposta a quesiti sia di carattere empirico che di carattere normativo che si influenzano vicendevolmente[20]. Ad esempio, nei casi in cui una norma incriminatrice stabilisce un parametro di tipo quantitativo che, se superato, rende la condotta penalmente rilevante, è necessario verificare in maniera empirica se il limite quantitativo costituisce un parametro su cui possa fondarsi in maniera ragionevole una valutazione prognostica di pericolosità della condotta in rapporto allo scopo prefissato dalla norma. Dunque, l’accertamento e la valutazione scientifica delle risultanze fattuali sono necessarie per inquadrare i caratteri del problema normativo e l’unità sistematica tra politica criminale e diritto penale deve attuarsi soprattutto nell’ambito della costruzione della teoria del bene giuridico e delle tecniche di tutela penale.
[1] «Un moderno sistema del Diritto penale deve essere strutturato teleologicamente, ossia costruito per servire a finalità di valore», Roxin, Derecho Penal, cit., p. 52.
[2] Cfr. Roxin C., Derecho Penal, cit., p. 51 e 65 ss.
[3] Esemplificando, sarebbe eccessivamente sproporzionato sanzionare l’inosservanza del divieto di sosta con la pena, pur trattandosi di una norma a protezione di un bene giuridico.
[4] Sul punto cfr. Schwinge, Teleologische Bergriffsbildung im Strafrecht, 1930; cfr. Baratta, Positivismo giuridico e scienza del diritto penale, Milano, 1966, p. 69 ss.
[5] Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte generale, Torino, 2014, p. 10.
[6] Il principio di offensività è operativo sia a livello legislativo, rappresentando un criterio guida nelle scelte di politica criminale, sia nella prassi, in cui si trova ad operare come canone interpretativo sul piano esegetico. La Corte Costituzionale, nonostante riconosca a tale principio la valenza di «canone interpretativo universalmente accettato», non lo ha mai usato alla stregua di un parametro autonomo per sostenere una dichiarazione di illegittimità, valutando la compatibilità di alcuni beni e di alcuni modelli di tipizzazione basati su tecniche di anticipazioni della tutela. Si veda, a tale proposito, la sentenza citata in nota 5.
[7] Merli A., Op. cit., p. 24.
[8] Si fa riferimento alla scuola di Kiel, tra i cui principali esponenti possono essere annoverati Dahm, Der Methodenstret in der heutigen Strafrechtwissenschaft, 1938, p. 225 ss., e Schaffstein, Der Streit um das Rechtsgutsverletzungsdogma, 1937, p. 335 ss.
[9] Fiandaca-Musco, op. cit., p. 11.
[10] Fiandaca-Musco, op. cit., p. 12.
[11] Nega l’attribuzione di una funzione critica al bene giuridico, Zuccalá, Due questioni attuali sul bene giuridico: la pretesa dimensione «critica» e la pretesa necessaria offesa a un bene, in RTDPE, 2004, p. 839 ss.
[12] Pulitanò D., Laicità e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen.
[13] La Scuola Classica, che si ispirava alla dottrina del diritto naturale, per la prima volta pose la questione dei limiti del diritto di punire da parte dello Stato sul piano filosofico-giuridico. In particolare, Carrara attribuiva alla scienza penale «il compito di limitare gli abusi del potere» (Carrara, Programma, 6ª ed., 1886, p.21).
[14] Manzini, Trattato di diritto penale italiano, 5ª ed., 1981, vol.I, p. 573.
[15] In senso contrario Listz, Strafrechtlichte Vortäge und Aufsätze, t. 2, 1905, p. 75: «Il Diritto penale è la barriera insuperabile della Politica criminale». Listz si fa portatore di un’idea del Diritto penale inteso come «Magna Charta del delinquente» e come baluardo del cittadino contro «lo Stato del Leviatano».
[16] Rocco, L’oggetto giuridico del reato e della tutela giuridica penale. Contributo alle teorie generali del reato della pena, Torino, 1913, p. 244. Rifiuta l’idea di legislatore come “creatore di beni giuridici”, negando quindi che un bene possa «nascere» per effetto di una disposizione penale.
[17] Rocco, L’oggetto giuridico del reato, cit., ritiene inutile prospettare nozioni materiali di bene giuridico vincolanti la selezione legislativa dei fatti punibili, dal momento che il contenuto dei beni giuridici protetti dalle norme derivano dalle valutazioni del legislatore.
[18] Cfr. Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Edizioni di comunità, Milano, 1965, p. 127.
[19] Roxin, Derecho Penal, cit., p. 225.
[20] Si pensi, in via esemplificativa, ai reati di pericolo, in cui occorre tener conto di criteri tecnici al fine di una valutazione giuridica del rischio.
Parte I – https://www.iusinitinere.it/levoluzione-della-concezione-del-bene-giuridico-i-parte-16028
Giovanni Sorrentino è nato a Napoli nel 1993.
Dopo aver conseguito la maturità classica con il massimo dei voti presso il Liceo Classico Jacopo Sannazaro, intraprende lo studio del diritto presso il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
Nel dicembre del 2017 si è laureato discutendo una tesi in diritto penale dal titolo “Il riciclaggio”, relatore Sergio Moccia.
Attualmente sta svolgendo la pratica forense presso lo Studio Legale Chianese.
Nel 2012 ha ottenuto il First Certificate in English (FCE).
Ha collaborato dal 2010 al 2014 con la testata sportiva online “Il Corriere del Napoli”.
È socio di ELSA (European Law Students’ Association) dal 2015.
Nel 2016 un suo articolo dal titolo “Terrore a Parigi: analisi e possibili risvolti” è stato pubblicato su ElSianer, testata online ufficiale di ELSA Italia.
Nel 2017 è stato selezionato per prendere parte al Legal Research Group promosso da ELSA Napoli in Diritto Amministrativo (Academic Advisors i proff. Fiorenzo Liguori e Silvia Tuccillo) dal titolo “L’attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni tra diritto pubblico e diritto privato”, con un contributo dal titolo “Il contratto di avvalimento”.
Grande appassionato di sport (ha giocato a tennis per dieci anni a livello agonistico) e di cinema, ama viaggiare ed entrare in contatto con nuove realtà.
Email: giovanni.sorrentino@iusinitinere.it