L’informativa mark to market nell’interest rate swap
a cura di Niccolò Tamburini
1) Considerazioni preliminari sull’Interest Rate Swap c.d. Over the Counter.
Gli swap sono contratti derivati nominati, in quanto espressamente indicati nell’Allegato I, Sezione C del D.lgs. n. 58 del 1998 (T.U.F., Testo Unico della Finanza) relativa agli strumenti finanziari[1], ma atipici, in quanto carenti di una disciplina legislativa predeterminata.
L’Interest Rate Swap (in seguito, IRS) è uno strumento finanziario derivato che si sostanzia mediante la stipulazione di un contratto con il quale le parti si obbligano a scambiare flussi di denaro in base a future date prestabilite, rappresentati da due diversi tassi di interesse calcolati su un capitale nozionale di riferimento. A ciascuna scadenza i due importi generano un differenziale positivo per una parte e negativo per l’altra.
Scevro da qualsiasi presunzione di completezza, il presente paragrafo ha lo scopo di introdurre la figura del contratto derivato IRS negoziato Over the Counter, alla luce dei contrasti non ancora sopiti in dottrina e in giurisprudenza.
Il contratto de quo è contraddistinto dal carattere aleatorio, incentrato sullo scambio, per un periodo di tempo predefinito, di determinati flussi finanziari calcolati con modalità e parametri differenti. La sinallagmaticità insita nello schema contrattuale si realizza mediante lo scambio periodico di flussi di cassa derivanti dall’applicazione di due tassi d’interesse, uno fisso e l’altro variabile, nonché entrambi variabili, al medesimo capitale nozionale di riferimento[2].
Come è noto, l’espressione Over the Counter (in seguito, OTC), indica i contratti derivati negoziati al di fuori dei mercati regolamentati. La loro peculiarità consiste nel fatto che la regolamentazione sia rimessa all’autonomia delle parti contraenti, così da strutturare tale strumento finanziario in funzione delle loro specifiche esigenze, relativamente a scadenza, nozionale di riferimento e liquidazione dei profitti e delle perdite[3].
L’ampia autonomia contrattuale di cui godono le parti, consente loro di modellare il contenuto dell’accordo in base ad esigenze specifiche di copertura o speculative che siano.
La qualità rivestita dalle controparti, tuttavia, genera tra loro un inevitabile stato patologico di conflittualità.
L’intermediario finanziario assume contemporaneamente la qualità di offerente dello strumento derivato e di consulente nei confronti del cliente, condividendo con questo l’alea del contratto[4]. Tale patologia permane anche quando le parti del contratto di swap non coincidono con quelle del rapporto sottostante: ad esempio, quando a garanzia di un contratto di mutuo stipulato con una banca, il cliente si rivolge ad altro intermediario per concludere un derivato a garanzia del primo contratto[5].
Come attentamente rilevato dal Tribunale di Milano, l’interesse dell’intermediario oltre ad ottenere flussi positivi di remunerazione dell’investimento sottoscritto, è diretto alla collocazione di prodotti finanziari derivati sul mercato, anche al solo fine di una propria copertura a fronte di squilibri economici inerenti ad operazioni con altri clienti[6].
Sebbene nella maggioranza dei casi i contratti IRS assumano una funzione di copertura dalle esposizioni finanziarie già in essere (c.d. hedging), per neutralizzare il rischio di oscillazioni dei tassi di interesse relativi ad un’operazione sottostante, è stato altresì rilevato, che in certi casi alla sottoscrizione risulta essere manovrata da un’intenzione meramente speculativa[7].
La componente aleatoria intrinseca al derivato IRS ha indotto una parte della dottrina e della giurisprudenza[8] a qualificare i contratti in questione come una “scommessa legalmente autorizzata”. Alcuni autori rilevano, invece, che la scommessa ed il contratto di swap presentino una differenza incolmabile costituita dal fatto che con i derivati l’elemento dell’azzardo viene inserito all’interno dei mercati finanziari così da interessare fasce sempre più estese di clienti e di risparmiatori[9].
La questione tutt’ora discussa in dottrina ed in giurisprudenza attiene alla individuazione della causa dei contratti de quibus.
Per quanto attiene ai contratti con mera funzione di copertura del rischio, la causa è individuata nello scambio dei flussi di denaro, corrispondente alla differenza tra i tassi di interesse, predefiniti e variabili, applicati al medesimo capitale nozionale di riferimento. Pertanto, l’eventuale variazione dei tassi in modo sfavorevole per il cliente non determina automaticamente la carenza di causa del contratto, ma rientra nella normale alea associata al derivato IRS[10].
La causa deve essere, quindi, individuata in tutti gli elementi dell’alea razionale del contratto, nonché in quegli scenari che da essa derivano e che ne caratterizzano la peculiarità del negozio, indipendentemente dalla distinzione tra finalità di hedging e di speculazione (c.d. trading)[11]. Ne discende che nel contratto devono essere specificati tutti gli elementi (costi impliciti, mark to market, penalità in caso di recesso) che sono in grado di incidere sull’alea assunta da entrambe la parti dell’accordo[12].
Considerato che tali contratti possano essere utilizzati sia per coprire i rischi derivanti dall’oscillazione dei tassi d’interesse sottostanti, sia per effettuare operazioni speculative, una parte della giurisprudenza ha ritenuto che, la funzione di copertura dell’investimento sottostante perseguita da una parte, in rapporto con la volontà speculativa assunta dall’altra, non inciderebbe sulla meritevolezza della causa del contratto, che rimarrebbe lecita anche nel caso in cui l’intermediario sia stato mosso da intenti puramente speculativi[13].
Tuttavia, qualora lo swap sia strutturato in modo tale che il rischio economico scaturente dalle reciproche promesse di pagamento risulti idoneo a gravare esclusivamente su una parte e non anche sull’altra, il contratto non può svolgere la funzione di copertura richiesta dal cliente. In tal caso, l’alea ha carattere unilaterale, determinando la nullità del contratto per mancanza di causa, poiché alla promessa di pagamento di un soggetto che è destinato a conseguire vantaggi, vi corrisponderebbe la promessa di un altro esposto soltanto a sacrifici[14].
L’elemento aleatorio del derivato OTC deve essere razionale per entrambe la parti, a prescindere dalla natura speculativa o di copertura assunta dal contratto.
Il semplice squilibrio delle condizioni contrattuali a favore degli intermediari non può essere considerato una causa di invalidità del contratto. La Sezione VI del Tribunale di Milano, con la nota sentenza del 16 giugno 2015, ha rilevato che la sproporzione tra il rischio assunto dalla banca e quello assunto dal cliente non incide sulla validità del contratto, poiché le parti, nell’esercizio della loro autonomia privata, sono libere di assumersi un grado di rischio anche sbilanciato rispetto a quello assunto dalla controparte. Si afferma, infatti, che “solo in casi limite si potrà arrivare a dire che il contratto non è aleatorio, quando cioè al rischio dell’uno non corrisponda il rischio dell’altro”[15].
In presenza di un quadro composito di questo tipo, occorre analizzare i doveri informativi in capo all’intermediario finanziario verso l’investitore, così da razionalizzare l’alea associata al contratto IRS.
2) Gli obblighi informativi in capo all’intermediario finanziario.
L’alea che avvolge il contratto IRS si presta ad essere analizzata relativamente alla capacità di modificare la struttura del contratto, prima ancora che sul quantum delle prestazioni.
Gli scenari probabilistici e le conseguenze verificatesi in funzione di un determinato evento devono essere conosciute e definite ex ante con certezza[16].
Ciò che rileva, pertanto, non è la convenienza dell’operazione economica in sé, bensì la capacità dei contraenti – in particolar modo l’investitore – di compiere delle valutazioni oggettive per esprimere un consenso informato al momento della conclusione dell’accordo[17].
Non solo, gli obblighi informativi sussistenti in capo all’intermediario finanziario assumono rilevanza oltre che per la stipulazione del contratto quadro d’intermediazione, anche nella successiva fase applicativa, relativamente agli ordini di investimento o disinvestimento impartiti dal cliente[18].
Stante l’asimmetria informativa tra le parti, il legislatore ha predisposto, sia a livello di normativa primaria che secondaria, una serie di obblighi in capo all’intermediario finanziario per la stipulazione dei contratti in questione.
L’art. 21 T.U.F. stabilisce che i soggetti abilitati, qualora agiscano per la prestazione di servizi o attività di investimento, “devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza, e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e l’integrità dei mercati; b) acquisire, le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati […]”[19].
Il dettato normativo richiamato si conforma pienamente ai principi di lealtà ed equità già espressi all’art. 11 della Direttiva 93/22/CEE relativa alle c.d. “imprese di investimento”. Il legislatore europeo ha imposto a tali imprese il dovere di informarsi sulla situazione finanziaria del cliente, sull’esperienza da quest’ultimo vantata in materia di investimenti, nonché sull’obiettivo che intende perseguire con il contratto sottoscritto[20].
Il cliente, già nella fase precontrattuale, deve essere messo nella posizione di conoscere le caratteristiche dello strumento finanziario che andrà a sottoscrivere al fine di effettuare una decisione in modo consapevole, oltre che ad essere informato in merito ai rischi ad esso associati.
I doveri di diligenza e responsabilità scaturenti dall’art. 21 T.U.F., sono espressione del principio di buona fede oggettiva di cui al diritto generale dei contratti[21]; di conseguenza, correttezza e buona fede rappresentano un metodo di valutazione del comportamento delle controparti del rapporto da valutare in relazione al caso specifico, senza che questo possa essere determinato a priori[22].
Come rilevato da alcuni autori, oltre che dalla giurisprudenza di merito[23], la norma de qua non solo impone espressamente un preciso obbligo informativo, ma anche un dovere di collaborazione con il cliente, operando nell’interesse di quest’ultimo. Non rileva neppure la qualità professionale rivestita dal cliente, che deve essere messa in secondo piano, “atteso che l’intermediario conserva intatti i doveri delineati nell’art. 21 TUF anche in presenza della dichiarazione resa ex art. 31 Reg. Consob n. 11522 del 1998”[24].
A livello di fonti secondarie per l’attuazione degli obblighi di cui al Testo Unico, la Parte II del Regolamento Consob n. 16190/2007 (derubricata “Trasparenza e correttezza nella prestazione dei servizi/attività investimento e dei servizi accessori”), prevede una serie specifica e dettagliata di obblighi informativi a carico dell’intermediario finanziario.
In particolare, l’art. 28, comma secondo, lett. b) del Regolamento Consob n. 16190/2007 stabilisce che le informazioni “non sottolineano gli eventuali vantaggi potenziali di un servizio di investimento o di uno strumento finanziario senza fornire anche un’indicazione corretta ed evidente di eventuali rischi rilevanti”.
Per quanto attiene alle informazioni relative agli oneri ed ai costi, l’art. 32 del Regolamento stabilisce che ai clienti al dettaglio ed ai potenziali clienti siano date informazioni per la prestazione dei servizi comprendenti “il corrispettivo totale che il cliente deve pagare in relazione allo strumento finanziario o al servizio di investimento o accessorio, comprese tutte le competenze, le commissioni, gli oneri e le spese connesse, e tutte le imposte che verranno pagate tramite l’intermediario o, se non può essere indicato un corrispettivo esatto, la base per il calcolo dello stesso cosicché il cliente possa verificarlo” (art. 32, lett. a). Precisando, in seguito, alla lett. b) che i doveri informativi attengono anche ad eventuali costi che dovessero emergere a carico del cliente in relazione alle operazioni connesse allo strumento o al servizio d’investimento che non siano pagate direttamente tramite l’intermediario.
L’intermediario è tenuto a fornire, nella fase antecedente alla formazione dell’accordo ogni informazione relativa ai costi, oneri, vantaggi e/o svantaggi economici derivanti dal derivato IRS, così da consentire all’investitore di graduare la scelta del proprio investimento. Conseguentemente, saranno irrilevanti ai fini del rispetto degli obblighi informativi, eventuali informazioni che siano state fornite all’investitore per la prima volta quando il contratto sia già in essere ed in corso di esecuzione.
Tali obblighi sono da intendersi in senso sostanziale[25], in quanto non può ritenersi sufficiente una mera esposizione generica dell’operazione e dell’investimento proposto, se non accompagnata da una specifica disamina dei vantaggi e svantaggi economici in capo all’investitore.
L’intermediario è tenuto, altresì, a rispettare la regola dell’appropriatezza di cui all’art. 42 del Regolamento Consob[26], ovvero a raccogliere le informazioni necessarie al fine di determinare il livello di esperienza e conoscenza del cliente.
Sebbene l’esito dell’operazione possa condurre ad un risultato negativo, questo non impedisce alla parti di sottoscrivere il derivato, ma determina in capo all’intermediario l’obbligo di avvertire il cliente sulla mancata convenienza dello swap, in conformità con i principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1176 e 1375 c.c[27].
In conclusione, occorre rilevare come le informazioni che l’intermediario è tenuto a fornire al cliente possono assumere una differente connotazione a seconda che questo sia considerato come cliente “professionale”[28] oppure cd. “al dettaglio”.
Il Regolamento Consob n. 16190/2007 prevede che gli intermediari finanziari sono tenuti a fornire “ai clienti o potenziali clienti una descrizione generale della natura e dei rischi degli strumenti finanziari trattati, tenendo conto in particolare della classificazione del cliente come cliente al dettaglio o cliente professionale” (art. 31 Regolamento Consob).
Per clienti professionali si intendono coloro i quali, in base all’Allegato 3 del Regolamento 16190/2007 possiedono “l’esperienza, le conoscenze e la competenza necessarie per prendere consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti e per valutare correttamente i rischi che assume”. Anche se la presente disposizione possa far presumere l’esistenza di una diversa portata dell’obbligo informativo, il fatto che un investitore rivesta la qualifica di cliente professionale non determina il venir meno di qualsiasi tutela prevista dalla normativa di settore. Ammettere diversamente, significherebbe giustificare l’eventuale condotta abusiva dell’intermediario che ometta di rendere conoscibili all’investitore ogni informazione rilevante per la formazione di un consenso informato sulla vantaggiosità o meno dell’operazione.
In particolare, si verificherebbe un contrasto con i principi di buona fede e correttezza imposto dal diritto dei contratti[29]. L’informazione in capo al cliente professionale – così come per il cliente al dettaglio – deve caratterizzarsi per l’analiticità della descrizione dello strumento finanziario, oltre che per i rischi ad esso connessi, in modo da consentire all’investitore di prendere una decisione informata sull’investimento.
3) Il mark to market come informazione “essenziale”.
Come è noto, il mark to market (MTM) è un metodo di valutazione che rappresenta il valore di mercato di un derivato in un certo momento storico. In particolare, esso consiste nella somma algebrica attualizzata dei flussi di interessi che si generano alle scadenze prestabilite nel contratto IRS, rappresentando non solo un valore attuale, ma anche una proiezione finanziaria basata su un valore di mercato[30].
Qualora l’MTM presentasse un valore negativo, il derivato genererà uno svantaggio economico per cliente, nel senso che questo pagherà di più rispetto a quello che è destinato ad incassare. Viceversa, in caso di valore positivo, il cliente incasserà dall’intermediario più di quanto ha pagato. Pertanto, l’MTM permette al cliente di determinare la propria politica d’investimento, quantificando in termini monetari i rischi assunti con la sottoscrizione del derivato IRS[31].
Inoltre l’MTM consiste nel valore che viene dato ex ante al differenziale alla scadenza del derivato, calcolato sulla base di specifiche formule matematiche. Questo valore non è determinato, ma è destinato a mutare nel tempo in considerazione di una pluralità di fattori: per questo motivo, come avremo modo di precisare in seguito, l’esplicitazione della formula matematica utilizzata dalle parti è destinata a diventare l’elemento essenziale del rapporto.
In punto di definizione si è soffermata la Corte di Cassazione statuendo come l’MTM descriva un metodo di valutazione delle attività finanziarie, consistendo “nell’attribuire a dette attività il valore che esse avrebbero in caso di rinegoziazione del contratto o di scioglimento del rapporto prima della sua scadenza naturale”. In particolare, il mark to market può essere considerato come “costo di sostituzione, perché corrisponde al prezzo, dettato dal mercato in un dato momento storico, che i terzi sarebbero disposti a sostenere per subentrare nel contratto stesso”[32].
In giurisprudenza non sono mancati orientamenti di segno opposto volti a considerare l’MTM come un elemento a carattere meramente previsionale. In particolare, il mark to market rappresenterebbe soltanto un valore teorico dell’andamento dei tassi d’interesse in caso di scioglimento anticipato del contratto. La Sezione Penale della Corte di Cassazione ha infatti stabilito che il valore “è influenzato da una serie di fattori ed è quindi sistematicamente aggiustato in funzione dell’andamento dei mercati finanziari, dovendosi poi attrarre nell’ambito dei relativi parametri di determinazione anche l’up to front erogato e l’utile per la banca”[33].
Questo orientamento è stato oggetto di alcune critiche in dottrina. L’MTM non consiste semplicemente in una previsione sull’andamento dei tassi di interesse, ma rappresenta il valore del contratto, inteso come l’attualizzazione dei flussi individuati al momento in cui il valore stesso viene calcolato. Rappresenta dunque, il valore che l’intermediario attribuisce al differenziale che il derivato potrebbe ipoteticamente realizzare alle scadenze prestabilite in termini di risultato prospettico[34].
Per quanto riguarda le modalità di determinazione del valore, si è soffermato il Tribunale di Milano, individuando l’MTM “nella sommatoria dei differenziali futuri attesi sulla base delle condizioni dell’indice di riferimento alla data della sua quantificazione e deve essere sviluppato attraverso un conteggio che, mediante ricorso a formule matematiche che possono essere differenti, consenta di procede alla attualizzazione dello sviluppo prognostico del contratto sulla base dello scenario esistente al momento del calcolo del MtM”[35].
Nonostante il mark to market venga calcolato sulla base di complesse operazioni matematiche, esso costituisce l’elemento principale affinché il cliente possa comprendere l’eventuale squilibrio aleatorio tra la propria posizione e quella assunta dall’intermediario[36]. Ne discende, che questo sia tenuto ad informare scrupolosamente il cliente in ordine alle posizioni di rischio potenzialmente assumibili con la sottoscrizione dell’IRS.
Al c.d. “tempo zero” in cui il contratto è stipulato, il valore dell’MTM è in grado di fornire al cliente informazioni sulla ripartizione dell’alea, nonché sull’esistenza o meno di costi o commissioni implicite[37]. In ordine all’obbligo in capo all’intermediario di comunicare i costi connessi alla sottoscrizione del derivato, in aggiunta a quanto stabilito dal Regolamento Consob n. 16190/2007 (art. 32, vedi supra), la Comunicazione Consob n. 9019104 del 2 marzo 2009 impone agli intermediari di effettuare la “scomposizione delle diverse componenti che concorrono al complessivo esborso finanziario sostenuto dal cliente per l’assunzione della posizione nel prodotto illiquido, distinguendo tra fair value” e costi che implicitamente o espressamente gravano sul cliente.
Gli obblighi informativi in capo agli intermediari finanziari sono di carattere sostanziale, pertanto, anche in ordine alla comunicazione del mark to market, l’intermediario deve fornire al cliente tutte le informazioni relative alle modalità di calcolo matematico alla quale si fa riferimento per procedere all’attualizzazione dei flussi finanziari in base allo scenario pronosticato[38].
L’MTM rappresenta un’informazione determinante per la formazione del consenso del cliente: sebbene le modalità di calcolo possano risultare difficilmente comprensibili, specie se la controparte non riveste la qualità di cliente “professionale”, tale indicazione è comunque suscettibile di determinare il consenso dell’investitore circa la distribuzione dell’alea ed i costi del contratto[39].
Come chiarito dalla più recente giurisprudenza di merito, il valore attribuito tramite mark to market può essere anche negativo purché il cliente sia stato preventivamente informato al momento della stipulazione del contratto, comprendendo fin da subito l’aleatoreità connessa al derivato[40]. A nulla rileva l’eventuale comunicazione dell’MTM in sede di esecuzione del contratto, con la conseguenza che l’informazione fornita successivamente non può sanare l’omissione compiuta nel corso della fase precontrattuale.
L’informativa deve quindi concretizzarsi nella divulgazione di informazioni specifiche, complete e dettagliate con l’indicazione del criterio matematico con il quale si addiviene al calcolo del MTM.
Conseguentemente, non possono ritenersi conformi ai predetti obblighi informativi, le condotte degli intermediari che si concretizzano nella formulazione generica di criteri di calcolo, ovvero che rimandano alle “quotazioni di mercato”, con il rischio che la valutazione possa essere rimessa alla discrezionalità ed all’arbitrio della parte contrattuale più forte. Affermare che l’MTM sia determinato in base alle variazioni dei tassi di interesse equivale a fornire un’informazione non dettagliata nei confronti del cliente in ordine al metodo di calcolo utilizzato per determinare il fair value del contratto[41].
In conclusione, l’indicazione dell’MTM, compresa l’esplicitazione della formula matematica per la determinazione del calcolo, costituisce elemento essenziale del contratto IRS[42]. La mancata indicazione dell’MTM, ovvero del valore del differenziale, nonché dei metodi matematici su cui determinare l’aleatorietà del contratto, genera l’impossibilità di individuare l’alea oggetto dell’IRS[43].
Ne discende che l’eventuale carenza informativa sbilancia in favore dell’intermediario l’equilibrio negoziale del rapporto, così che deve essere sanzionato con la nullità il contratto per mancanza ed indeterminabilità dell’oggetto[44].
Non sono mancati, tuttavia, orientamenti giurisprudenziali di segno opposto.
Muovendo dal presupposto per cui l’oggetto del contratto IRS sia costituito dallo scambio periodico di differenziali calcolati sul medesimo nozionale di riferimento, l’omessa indicazione dell’MTM giustificherebbe la domanda di risoluzione del contratto, con la conseguente ripetizione dell’indebito. Alla luce di tali orientamenti, la violazione degli obblighi informativi assume rilevanza oltre che nell’ambito della stipulazione del contratto quadro di investimento, anche per i successivi ordini di investimento o disinvestimento impartiti dal cliente all’intermediario[45].
4) Le recenti posizioni assunte dalla giurisprudenza di merito.
La natura dell’informativa MTM continua a destare particolare interesse da parte della giurisprudenza di merito.
Le posizioni assunte dalla recente giurisprudenza hanno dato una decisa impronta verso l’essenzialità dell’informativa mark to market nei contratti di IRS. È possibile, tuttavia, rintracciare alcune posizioni che sebbene muovano dagli stessi presupposti sostanziali, giungano a diverse soluzioni in termini di nullità del contratto o di risoluzione per grave inadempimento, dando spunto a nuove considerazioni circa le condotte omissive poste in essere dagli intermediari finanziari.
Degna di nota è la recente pronuncia del Tribunale di Firenze con la sentenza n. 561 del 25 febbraio 2020. Il caso in esame aveva ad oggetto due contratti IRS non negoziati nei mercati regolamentati stipulati dall’investitore per mitigare i rischi derivanti da altri due contratti di locazione finanziaria immobiliare, stipulati con il medesimo istituto di credito, ed indicizzati al tasso variabile Euribor 3 mesi.
Ad avviso del giudice adito, nessuna rilevanza può avere il fatto che il contratto IRS sia stato stipulato per controbilanciare il rischio di un eventuale aumento degli oneri finanziari in capo all’investitore scaturenti dal contratto principale per cui il derivato è stato sottoscritto. La banca è pertanto vincolata al rispetto degli obblighi informativi, indipendentemente dal carattere autonomo assunto dal derivato.
La statuizione del tribunale fiorentino prende spunto dall’inequivocabile dato normativo che attribuisce particolari adempimenti informativi in capo all’intermediario finanziario.
Si afferma, inoltre, che gli obblighi informativi devono intendersi in senso “sostanziale”, ossia che non è sufficiente la mera esposizione generica dei rischi in capo al contraente. Altrimenti, si verificherebbe un palese contrasto non solo con la normativa primaria di cui all’art. 32 T.U.F., ma anche con riguardo alla normativa secondaria di settore rappresentata dal Regolamento Consob 16190/2007.
In particolare, viene accertata l’esistenza di una condotta omissiva in capo all’intermediario per non avere fornito, già nel corso delle trattative, l’indicazione dell’MTM e delle relative modalità di calcolo. Non solo non assume rilievo la successiva comunicazione in sede di esecuzione del contratto, ma non può nemmeno ritenersi sufficiente l’informazione del c.d. “massimo livello di costo”, il quale “può dare solo un’idea approssimativa dei massimi flussi finanziari negativi che il derivato può produrre”, non consentendo all’investitore di comprendere l’esatta portata dell’operazione inerente agli vantaggi e/o svantaggi ad essa connessi[46].
Non solo, ma considerato che l’investitore rivestiva la qualifica di cliente al dettaglio[47], l’intermediario è tenuto a garantire il massimo livello di tutela per quanto riguarda l’ampiezza delle informazioni. Pertanto, l’inadempimento è da configurarsi come grave agli effetti di cui all’art. 1455 c.c., “in quanto eziologicamente rilevante rispetto alla scelta di investimento effettuata”.
La Corte d’Appello di Catania con sentenza del 20 febbraio 2020, si è soffermata sull’essenzialità rivestita dall’MTM e sulla valutazione del valore in caso di estinzione anticipata del contratto.
Essendo il contratto negoziato fuori dai mercati regolamentati, la stima del valore di mercato è affidata a modelli matematici, la cui scelta è destinata ad influenzare la quantificazione del valore. Sulla base delle risultanze della consulenza tecnica, la Corte ha rilevato che la documentazione contrattuale relativa al contratto IRS non esplicita il metodo di calcolo utilizzato dalla banca per la determinazione del valore di mercato dello swap alla data di estinzione anticipata[48].
Il contratto richiama, infatti, a modalità di calcolo affette da indeterminatezza nel loro contenuto – come al “valore di mercato calcolato secondo criteri generalmente accolti”, oppure che il calcolo è affidato alla banca “in modo oggettivo tenendo conto delle quotazioni di mercato” – tali da non esplicitare adeguatamente i criteri per la quantificazione del valore di mercato del derivato al momento dell’estinzione anticipata. Pertanto, il contenuto risulta “del tutto indeterminato”, realizzando un squilibrio contrattuale del rapporto a favore dell’intermediario finanziario, non essendo i termini della scommessa trasparenti per ambo le parti[49].
Ne discende, in adesione all’orientamento consolidato della giurisprudenza, che il difetto di esplicitazione di tutti gli elementi per il calcolo dell’MTM determina la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 c.c. per indeterminatezza del suo contenuto essenziale[50].
Ad avviso di chi scrive non paiano dunque, condivisibili quelle statuizioni che limitano la funzionalità dell’MTM degradandolo ad un mero dato numerico riassuntivo delle operazioni sottostanti al contratto.
Il Tribunale di Parma, con una recente pronuncia ha affermato che l’MTM non assumerebbe carattere di essenzialità del contratto, trattandosi invece di un mero “dato numerico di sintesi (che esprime un’entità economica a vantaggio o a danno del cliente) che dipende dall’interazione di ulteriori e diversi elementi, che attingono al mercato e alla peculiare tecnica di selezione degli stessi nel momento in cui sono stati trasfusi nelle clausole contrattuali”[51].
Secondo il tribunale emiliano l’MTM non assurgerebbe ad oggetto del contratto, ma a semplice risultato di un’operazione di calcolo.
Sono da condividere, invece, le considerazioni espresse dalla Sezione I del Tribunale di Monza, con la sentenza del 11 luglio 2019. Si afferma che l’indicazione del mark to market, unitamente a quella di altri elementi come lo spread o le commissioni, “rappresentano fattori imprescindibili cui poter ancorare la valutazione se la gamba fissa e quella variabile del prodotto derivato siano equivalenti ovvero se, non essendolo, sorga la necessità di riequilibrarle”. Anche in questo, caso non è sufficiente il mero richiamo alla quotidiana rilevazione dei tassi di interesse, ma è necessario provvedere all’indicazione della regola matematica applicata ai fini della quantificazione dell’MTM.
Nel percorso argomentativo, viene posta particolare attenzione alla natura dell’omissione dei criteri di calcolo per la determinazione dell’MTM. Un condotta omissiva di questo genere, non si colloca nell’ambito della violazione dei doveri comportamentali da seguire per la formazione del consenso, bensì nell’insieme dei vizi strutturali e genetici dell’accordo, “andando a costituire quegli elementi “intrinseci” che caratterizzano la fattispecie negoziale, per tali intendendosi gli elementi contenuti nel concreto regolamento contrattuale”[52].
La rilevanza di tali omissioni si sostanzia nell’alterazione dell’equilibrio contrattuale, poiché caratterizzato dal raggiungimento di un beneficio economico destinato a non realizzarsi, non tanto a causa dell’imprevedibile andamento dei tassi d’interesse, ma “dalla morfologia del singolo prodotto derivato, congegnato in modo tale da esporre il cliente a conseguenze svantaggiose, anziché proteggerlo, mentre l’interesse dell’intermediario assicuratore era sostanzialmente privo di effettivi margini di rischio”[53].
Pertanto, anche se la struttura dei derivati sottoposti al giudizio del tribunale brianzolo risultasse astrattamente idonea a realizzare la funzione di copertura per cui erano stati sottoscritti, le loro caratteristiche intrinseche presentavano caratteri di ambiguità. I valori dell’MTM al momento della stipulazione, erano individuati con “la curva dei tassi della zona Euro presentava un’inclinazione solo leggermente positiva, sostanzialmente neutra, con la conseguenza che i valori attesi (o tassi forward) dell’Euribor risultavano relativamente piatti o, comunque, si collocavano entro valori di oscillazione positiva estremamente limitati, tali da non rendere utile il ricorso ad alcuno strumento finanziario a protezione del rischio di rialzo dei tassi”.
Stante la mancata preventiva comunicazione dei parametri per determinare il margine di oscillazione dei tassi di interesse, nonché la conoscenza di eventuali strumenti correttivi per mitigare i rischi di uno squilibrio finanziario per il cliente, la conseguenza è quella della declaratoria di nullità del contratto e la restituzione delle somme indebitamente versate in esecuzione dello swap.
L’MTM costituisce, dunque, l’elemento essenziale del contratto che al momento della stipulazione fornisce all’investitore le indicazioni per determinare il modo in cui l’alea viene razionalmente ripartita tra le parti.
La natura aleatoria del contratto IRS, rappresentata dal rischio finanziario, deve essere individuabile in base ai contenuti del contratto. Considerato che lo strumento finanziario è predisposto dall’intermediario, nella circostanza in cui il valore di mercato non sia contemplato nel contratto, ne comporta la sua nullità, in quanto esclude che il cliente abbia concluso l’accordo conoscendo il grado di rischio ad esso associato[54].
[1] In particolare, il legislatore prende in considerazione, al punto n. 4, la fattispecie dello swap applicato ai tassi di interesse. Si statuisce che rientrano nella qualifica di strumenti finanziari i “Contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, quote di emissione o altri strumenti finanziari derivati, indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti”.
[2] Calzolari L., I contratti di Interest Rate Swap, in Le Società, 2013, pp. 1371-1384.
[3] Sardo G., Contratto di interest rate swap e “meritevolezza degli interessi” ex art. 1322 c.c., in Corriere Giuridico, 2018, pp. 341-349, (nota a Cass. Civ. 31 luglio 2017 n. 19013).
[4] Cfr. App. Catania, Sez. I, del 20 febbraio 2020. Per una più ampia disamina circa l’aleatorietà che circonda il contratto di Interest Rate Swap si rinvia a De Marinis G. B., Alea unilaterale e sindacato di meritevolezza negli Interest Rate Swap, in Contratti e Impresa, 2017, fasc. 3, pp. 899-929, per il quale il contratto IRS si qualifica come un contratto aleatorio, stante anche l’espressa non applicabilità dell’art. 1933 c.c. come stabilito all’art. 23, quinto comma, T.U.F., e per tale motivo risulta suscettibile di essere accostato ai contratti di gioco e scommessa, assumendo la peculiarità di una cd. “scommessa legale autorizzata”.
[5] Sangiovanni V., I contratti di swap, in Contratti, 2009, fasc. 12, pp. 1133 ss.
[6] Trib. Milano del 19 aprile 2011, in www.ilcaso.it., il quale, chiamato a pronunciarsi sulla nullità di un contratto derivato su valute (cd. Currency Swap) ed uno su interessi (IRS), statuisce: “Il conflitto di interesse tra banca e cliente in tema di derivati di secondo livello Over the counter sussiste per tutti questi motivi, e sussiste anche quando la stessa banca si trova ad avere in vigore operazioni uguali e contrarie con altri soggetti”. Proseguendo nel senso che: “deve notarsi che tale circostanza, peraltro, almeno in linea astratta, fa emergere ulteriori aspetti di conflitto di interesse, potendo, gli istituti di credito usi ad operare in derivati trovarsi nella situazione di dover industriarsi a “piazzare” prodotti sul mercato solo per esigenze di riposizionamento e, quindi, di propria copertura (su altri derivati), in ipotesi non sempre coincidenti con le necessità di copertura dei clienti”.
[7] Relativamente al carattere speculativo del derivato, una dura posizione è stata assunta da De Marinis G. B., Alea unilaterale e sindacato di meritevolezza negli Interest Rate Swap, op. cit., il quale afferma che gli IRS speculativi “si risolvono in un mero azzardo contraddistinto da una irrazionale allocazione della ricchezza dovuta al fato” (cit.) così da configurare quei tipi di negozi che l’ordinamento giuridico dovrebbe rigettare, stante la carenza di meritevolezza della causa ex art. 1322 c.c. Per un’impostazione critica verso i derivati speculativi, si veda Barcellona M., I derivati e la causa negoziale. L’azzardo oltre la “scommessa”. I derivati speculativi l’eccezione di gioco e il vaglio del giudizio di meritevolezza, in Contratti e Impresa, 2014, fasc. 3, pp. 571-605, il quale, sebbene non consideri lo swap come immeritevole di tutela, annovera i contratti in questione nella categoria dei contratti cd. alieni, sottoponendoli comunque al giudizio di cui all’art. 1322 c.c..
[8] In giurisprudenza, ex multis: App. Milano del 18 settembre 2013, per cui “la causa risiede in una scommessa che ambo le parti assumono”; Trib. Milano, Sez. VI, del 16 giugno 2015; Trib. Roma, Sez. XVI, del 16 giugno 2019. In dottrina, si veda Indolfi M., Recenti evoluzioni dell’aleatorietà convenzionale: i contratti derivati OTC come scommesse razionali, in Contratti, 2014, fasc. 3, pp. 218-231 Sebbene sia condivisa l’assimilazione del contratto IRS OTC alle scommesse legali, l’A. afferma che queste sono autorizzate a certe condizioni: “ciò avviene quando dette operazioni sono connotate da un’alea razionale, oggetto di accordo fra le parti contraenti. In caso contrario, ovvero nell’eventualità in cui manchi un’espressa misurazione e determinazione dell’alea, il contratto derivato in concreto non sarebbe riconducibile alla fattispecie astrattamente meritevole di tutela e rilevante per il nostro ordinamento” (cit.).
[9] Barcellona M., I derivati e la causa negoziale. L’azzardo oltre la “scommessa”. I derivati speculativi l’eccezione di gioco e il vaglio del giudizio di meritevolezza, in Contratti e Impresa, 3, 2014, pp. 571-605. Come rilevato dall’Autore, nell’impostazione del Legislatore del 1942, il gioco e la scommessa “si situano del tutto al di fuori dal mercato e concernono relazioni che (quando non siano gestite dalla Stato o su sua autorizzazione) alla fine esibiscono carattere (quantomeno nello spirito) singolare” (cit.). Così, anche Maffeis D., Homo oeconomicus, homo ludens : l’incontrastabile ascesa della variante aliena di un tipo marginale, la scommessa legalmente autorizzata (art. 1935 c.c.), in Contratti e Impresa, 2014, pp. 835-858, il quale afferma che “l’intermediario finanziario, quale guardiano della fiducia e dell’integrità dei mercati, occorre prendere atto che ciò che si verifica nella prassi (in cui l’investitore conclude il contratto derivato senza poter conoscere la quantità e la qualità dell’alea) non corrisponde all’intenzione del legislatore ed occorre ritenere che l’investitore debba essere a conoscenza della quantità e della qualità dell’alea” (cit.).
[10] In tal senso si veda, Trib. Torino n. 2976 del 24 aprile 2014, ove i giudici torinesi, chiamati a pronunciarsi in ordine ad un contratto di swap stipulato dall’imprenditore per coprire i rischi derivanti dall’oscillazione dei tassi di interesse applicati ad un contratto di mutuo, con la sentenza in questione, si aderisconono ad un altro precedente (Trib. Torino del 13 giugno 2011) ove viene dato atto della distinzione che intercorre tra la causa del contratto ed il motivo per cui questo è stato stipulato. In adesione all’orientamento per cui la causa del contratto coincide con la funzione economico-sociale del negozio obiettivamente perseguita, “nel contratto di swap la causa viene individuata nello scambio di flussi basati su parametri decisi dalle parti”, non assumendo rilevanza l’eventuale intento speculativo assunto dall’intermediario.
[11] In tal senso App. Milano del 18 settembre 2013, in virtù della razionalità e della consapevolezza associata all’alea, ne consegue che “gli scenari probabilistici e le conseguenze del verificarsi degli eventi devono, invero, essere definiti e conosciuti ex ante, con certezza”. In dottrina, Maffeis D., Homo oeconomicus, homo ludens : l’incontrastabile ascesa della variante aliena di un tipo marginale, la scommessa legalmente autorizzata (art. 1935 c.c.), op. cit.
[12] App. Milano del 18 settembre 2013. I giudici meneghini, traendo spunto da quell’orientamento dottrinale che tende a qualificare il contratto IRS come una “scommessa legalmente autorizzata” affermano che diversamente opinando “dovremmo ipotizzare che solo nei casi di copertura la scommessa sia lecita, e per questo autorizzata, laddove nei casi di speculazione pura sia immorale”. Precisando, inoltre, che tali “distinzioni che non sono decisive ai fini della qualificazione giuridica, segnatamente civilistica, dei contratti derivati over the counter”.
[13] Di recente Trib. Pescara del 31 marzo 2020, in www.ilcaso.it., ove sia afferma che nei contratti derivati IRS OTC è la “scommessa” che accomuna ambedue la parti del rapporto: da una parte il cliente, che mira a vedersi ridurre l’importo degli interessi sul capitale nozionale di riferimento, dall’altra l’intermediario con l’intenzione di speculare sul rialzo dei tassi. Pertanto, l’aleatorietà del rapporto prescinde dalla volontà speculativa alla sua base. In dottrina, Girino E., I contratti derivati, Giuffré, Milano, 2010, per il quale la funzione speculativa o di copertura, nonché l’esistenza di entrambe le finalità, “rimane del tutto irrilevante sul piano giuridico, incapace di connotare lo strumento, circoscritta nell’area dei motivi della stipulazione, come tali del tutto inidonei ad influire sulla validità civilistica del rapporto” (cit. p. 22).
[14] Sardo G., Contratto di interest rate swap e “meritevolezza degli interessi” ex art. 1322 c.c., in Corriere Giuridico, op. cit. L’unilateralità del rischio determinerebbe un vizio genetico del sinallagma contrattuale. In linea con il presente orientamento anche Corrias P., I contratti derivati finanziari nel sistema dei contratti aleatori, in Maffeis D. (a cura di), Swap tra banche e clienti. I contratti e le condotte, Giuffré, Milano, 2014, pp. 173-211, per il quale troverebbe applicazione analogica la disciplina del contratto di assicurazione ex art. 1895 c.c. per cui “il contratto è nullo se il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere prima della conclusione del contratto”. In giurisprudenza si veda Trib. Roma, Sez. III, del 5 giugno 2017 n. 11364, ove si afferma che la bilateralità “deve essere presente a monte con un rischio apprezzabile in capo ad ambedue i contraenti e che è elemento essenziale della causa del contratto di swap”: in mancanza della bilateralità dell’alea il contratto è da ritenersi nullo.
[15] Cit. Trib. Milano, Sez. VI, del 16 giugno 2015. Il Tribunale meneghino, sembra condividere implicitamente la teoria dell’invalidità del contratto quando l’alea sia unilaterale, ovvero esistente solo nei confronti di uno dei contraenti.
[16] Come riconosciuto anche dalla Comunicazione Consob n. 9019104 del 2 marzo 2009, “l’intermediazione finanziaria avviene in un contesto di asimmetrie informative. Complessità, costi dell’informazione e grado di cultura finanziaria determinano un deficit informativo in capo alla clientela degli intermediari, la cui intensità è direttamente legata alla tipologia dell’operazione ed alla natura del cliente medesimo”.
[17] De Marinis G. B., Alea unilaterale e sindacato di meritevolezza negli Interest Rate Swap, in Contratti e Impresa, cit.
[18] In tal senso, Cass. Civ. del 9 agosto 2016 n. 16820; richiamata più recentemente anche da Trib. Verona, Sez. III, del 9 novembre 2018.
[19] Con le modifiche apportate dal D.lgs. 129/2017 è stato inserito all’art. 21 del T.U.F. il comma 2-ter, stabilendo che il soggetto abilitato a prestare servizi d’investimento, oltre a conoscere gli strumenti finanziari offerti alla clientela, è tenuto “a valutarne la compatibilità con le esigenze della clientela cui fornisce servizi di investimento tenendo conto del mercato di riferimento di clienti finali di cui al comma 2-bis e fare in modo che gli strumenti finanziari siano offerti o raccomandati solo quando ciò sia nell’interesse del cliente”. Come acutamente osservato da Giannelli A. – Sfameni P., Il diritto degli intermediari e dei mercati finanziari, Egea Editore, Milano, 2018, pp. 122-124, la ratio della disciplina ideata dal legislatore consiste nell’inserire lo strumento finanziario in uno specifico mercato di riferimento, e garantire che tutti rischi ad esso connesso siano stati adeguatamente valutati dall’intermediario, e che la strategia di distribuzione sia coerente con la clientela a cui sono destinati tali strumenti. In questo modo, si realizzerebbe un’anticipazione del processo di controllo dello strumento finanziario, al fine di scoraggiare l’intermediario dal collocare un prodotto non in linea con i bisogni della clientela di riferimento.
[20] In particolare, l’art. 11 primo comma della Direttiva 93/22/CEE prevedeva che gli Stati membri, in sede di elaborazione degli obblighi di comportamento per le “imprese di investimento”, imponessero a queste di “trasmettere adeguatamente le informazioni utili nell’ambito dei negoziati con i suoi clienti”.
[21] Circa l’onere di provare di avere adempiuto agli obblighi informativi di cui al T.U.F., è per costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità in capo all’intermediario finanziario. Sul punto, si veda Cass. Civ. ord., del 16 novembre 2018 n. 29607, per cui: “in tema di distribuzione dell’onere della prova nei giudizi relativi a contratti d’intermediazione finanziaria, alla stregua del sistema normativo delineato dagli artt. 21 e 23 del D.lgs. n. 58 del 1998 (T.U.F.) […] la mancata prestazione delle informazioni dovute ai clienti da aprte della banca intermediaria ingenera una presunzione di riconducibilità della stessa operazione finanziaria, dal momento che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario, costituisce di per sé un fattore di disorientamento dell’investitore che condiziona in modo scorretto le sue scelte di investimento”.
[22] In tal senso, Trib. Milano del 19 aprile 2011, n. 5443, ove si afferma che la diligenza e la correttezza in capo all’intermediario sono “doveri su cui l’esclusione degli adempimenti di cui agli artt. 27, 28, 29 Regolamento Intermediari, non incide minimamente”.
[23] In dottrina si veda Calzolari L., I contratti di Interest Rate Swap, op. cit. In giurisprudenza: App. Milano del 18 settembre 2013, per cui non vi sono dubbi che in base all’art. 21 TUF “è dovere inderogabile dell’intermediario finanziario agire, nella sostanza, come cooperatore del cliente e nel suo esclusivo interesse, secondo il modello proprio della causa mandati”; Trib. Milano del 25 marzo 2012 n. 3513, per cui l’interesse del cliente “deve essere sempre posto come punto di riferimento dell’attività professionale espletata dall’intermediario finanziario”. Nel caso deciso dal tribunale meneghino, sin dall’inizio del rapporto, l’intermediario avrebbe fatto sottoscrivere al cliente una pluralità di swap di cui già il primo era incongruente alle esigenze specifiche dettate dal cliente e “strutturalmente inidoneo a soddisfare le necessità alle quali, almeno teoricamente, il contratto sarebbe stato ricollegato”.
[24] Cit. App. Milano del 18 settembre 2013.
[25] In tal senso, si veda recentemente, Trib. Firenze, Sez. III, del 25 febbraio 2020 n. 561.
[26] Per chiarezza espositiva si riporta integralmente il testo dell’art. 42 Reg. Consob n. 16190/2007: “1. Nella prestazione dei servizi di investimento diversi dalla consulenza in materia di investimenti e dalla gestione di portafogli, e sulla base delle informazioni di cui all’articolo 41, gli intermediari verificano che il cliente abbia il livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere i rischi che lo strumento o il servizio di investimento offerto o richiesto comporta. 2. Gli intermediari possono presumere che un cliente professionale abbia il livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere i rischi connessi ai servizi di investimento o alle operazioni o ai tipi di operazioni o strumenti per i quali il cliente è classificato come professionale. 3. Qualora gli intermediari ritengano, ai sensi del comma 1, che lo strumento o il servizio non sia appropriato per il cliente o potenziale cliente, lo avvertono di tale situazione. L’avvertenza può essere fornita utilizzando un formato standardizzato. 4. Qualora il cliente o potenziale cliente scelga di non fornire le informazioni di cui all’articolo 41, o qualora tali informazioni non siano sufficienti, gli intermediari avvertono il cliente o potenziale cliente, che tale decisione impedirà loro di determinare se il servizio o lo strumento sia per lui appropriato. L’avvertenza può essere fornita utilizzando un formato standardizzato”.
[27] Cfr. Trib. Torino, Sez. I del 3 maggio 2019, ove si afferma che: “Si tratta, come è noto, di una specificazione dei doveri di diligenza, correttezza e trasparenza che l’art. 21 TUF pone a carico dell’intermediario, a sua volta applicazione dei generali principi di cui agli artt. 1176 e 1375 c.c. La violazione di queste disposizioni (e di quelle regolamentari Consob) costituisce poi inadempimento da parte dell’intermediario agli obblighi ad esso imposti, con conseguente responsabilità sia precontrattuale che contrattuale, eventuale risoluzione del contratto e condanna al risarcimento del danno, fermo restando che “in nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei suaccennati doveri di comportamento può determinare la nullità del contratto di intermediazione o dei singoli atti negoziali conseguenti” (cfr., fra le altre, Cass., 2007 n. 26724, Cass., 2014 n. 8462, T. Firenze, 20.2.14)”.
[28] È opportuno precisare che il Regolamento ad oggi in vigore, non prevede più la categoria degli “operatori qualificati” di cui al Regolamento n. 11522/1998.
[29] In tal senso, Trib. Milano del 19 aprile 2011.
[30] Come affermato nella Delibera Consob n. 11522 del 1 luglio 1998, Allegato 5, Schema G, al fine di determinare il prezzo dello strumento finanziario negoziato al di fuori dei mercati regolamentati, esso “è determinato con riferimento al presumibile valore di realizzo sul mercato, individuato su un’ampia base di elementi di informazione, oggettivamente considerati dall’intermediario autorizzato, concernenti sia la situazione dell’emittente sia quella del mercato; per gli strumenti finanziari derivati non negoziati nei mercati (c.d. O.T.C.) la valutazione deve essere effettuata con riferimento alle condizioni di mercato (c.d. «mark to market»)”.
[31] Patroni Griffi U., L’oggetto dei contratti su derivati nella giurisprudenza più recente, in Riv. Dir. Bancario, 2016, pp. 121-167.
[32] Cass. Civ. Sez. II, del 11 maggio 2016 n. 9644.
[33] Cass. Pen. Sez. II, del 21 dicembre 2011 n. 47421. In senso conforme, Natoli R., Ancora incertezze su mark-to-market e oggetto del contratto di interest rate swap, in Le Società, 2019, pp. 464 ss. (nota a App. Milano del 25 settembre 2018).
[34] In tal senso: Patroni Griffi U., I contratti derivati: nozione, tipologia e peculiarità del contenzioso, in Riv. Dir. Bancario, 2012, 9, pp.1-25; Bombaglio G., Interest Rate Swap: essenzialità del mark to market ed inoperatività della clausola di proroga, in Contratti, 2018, fasc. 1, pp. 69-79 (nota a Trib. Milano del 12 settembre 2016 n. 10049). L’Autore rileva come l’art. 203 T.U.F. indichi una definizione normativa dell’MTM intesa come il costo di sostituzione qualora un terzo sia disposto a subentrare nel contratto alle medesime condizioni orinarie.
[35] In tal senso, Trib. Milano, Sez. VI, del 16 giugno 2015.
[36] Come acutamente rilevato, seppure in senso contrario, da Natoli R., Ancora incertezze su mark-to-market e oggetto del contratto di interest rate swap, op. cit., p. 469, per cui il criterio con il quale viene calcolato il differenziale dei flussi finanziari non può assurgere ad oggetto del contratto, poiché altrimenti si confonderebbe il criterio per stabilire il prezzo con il prezzo.
[37] In tal senso, Patroni Griffi U., I contratti derivati: nozione, tipologia e peculiarità del contenzioso, op. cit. p. 20.
[38] Cfr. Trib. Monza, Sez. I, del 11.07.2019: “Si consideri che “nella determinazione dell’oggetto del contratto di swap, per l’indicazione del Mark to Market non è sufficiente il richiamo alle quotidiane rilevazioni dei tassi di interesse, ma è necessaria l’indicazione della formula matematica alla quale le parti intendono fare riferimento per procedere all’attualizzazione dei flussi finanziari futuri attendibili in base allo scenario pronosticato”. In tal senso anche Trib. Milano Sez. VI del 16.06.2015 n. 7398, secondo il quale: “perchè possa sostenersi che esso sia quanto meno determinabile è comunque necessario che sia esplicitata la formula matematica alla quale le parti intendono fare riferimento per procedere all’attualizzazione dei flussi finanziari futuri attendibili in forza dello scenario esistente”.
[39] In tal senso, Patroni Griffi U., L’oggetto dei contratti su derivati nella giurisprudenza più recente, op. cit., pag. 157. In giurisprudenza, Trib. Milano, Sez. VI, del 13 maggio 2016 n. 6001, il quale, qualificando l’informativa sull’MTM come elemento essenziale del contratto, afferma: “non assume rilievo verificare se un cliente professionale sia nelle condizione e abbia le competenze tecniche sufficienti per poter desumere l’esistenza di tali costi remunerativi dalla struttura del contratto, quanto si tratta di accertare se anche tale elemento contrattuale abbia formato oggetto di accordo negoziale tra le parti”.
[40] Cfr. Trib. Catania Sez. IV del 04.10.2019: “Non è, pertanto corretto ritenere che l’indicazione di un mark to market negativo sia di per sé illegittima, potendo essere oggetto di pattuizione contrattuale, a condizione però che il cliente ne sia stato puntualmente ed effettivamente informato e abbia compreso le possibili conseguenze dell’alea contrattuale assunta”.
[41] In proposito, si veda Trib. Milano, Sez. VI, del 16 giugno 2015, ove si afferma che “Il richiamo alle quotazioni di mercato, anche là dove fosse inteso, come sostenuto dalla difesa della convenuta, come richiamo alle quotidiane rilevazioni dei tassi di interesse richiamati dallo swap, non sarebbe comunque tale da rendere realmente determinabile l’M.M., in quanto sostanzialmente si risolverebbe in una determinazione tautologica”. Pertanto, “in difetto, quindi, di esplicitazione del criterio di calcolo dell’M.M., il valore negativo attribuito dalla banca […] risulta sostanzialmente non verificabile e, quindi, rimesso alla rilevazione arbitraria di una delle parti del contratto”.
[42] In tal senso: Marchetti B., Lodo Arbitrale Milano 4 luglio 2013: mark to market come elemento essenziale dello swap e necessaria condivisione dei modelli di pricing, in Riv. Dir. Bancario, 2016, pp. 1-11; Bombaglio G., Interest Rate Swap: essenzialità del mark to market ed inoperatività della clausola di proroga, op. cit.; Orefice G., Il mark to market quale oggetto del contratto di interest rate swap, in Contratti, 2019, pp. 121 ss. (nota a App. Milano del 25 settembre 2018). In giurisprudenza: Trib. Milano Sez. VI del 16 giugno 2015 n. 7398; App. Milano Sez. I, del 25 settembre 2018.
[43] Marchetti B., Lodo Arbitrale Milano 4 luglio 2013: mark to market come elemento essenziale dello swap e necessaria condivisione dei modelli di pricing, op. cit., p. 7.
[44] Trib. Milano Sez. VI, del 16 giugno 2015. In dottrina: Orefice G., Il mark to market quale oggetto del contratto di interest rate swap, op. cit.
[45] In tal senso, recentemente, Trib. Mantova del 18 giugno 2019. Sebbene il riferimento ad un “indice predeterminato”, e non ad una formula matematica, comporterebbe la determinazione del valore dell’MTM in modo arbitrario da parte della banca, l’omissione dell’informazione non è da sanzionare con la nullità del contratto.
[46] Cfr. Trib. Firenze Sez. III, del 25 febbraio 2020 n. 561, testo consultabile in www.dirittobancario.it.
[47] In particolare, per il Giudice fiorentino, non riveste alcuna rilevanza al fine della qualifica di “cliente al dettaglio” il fatto che l’investitore avesse avuto una precedente esperienza con la negoziazione di titoli di stato, obbligazioni ordinarie e fondi comuni, e che abbia dichiarato la propria conoscenza in merito agli strumenti di finanza derivata. La mancata indicazione delle curve di Forward è da considerarsi elemento decisivo in quanto ha determinato la non conoscibilità del rendimento prevedibile.
[48] Per chiarezza espositiva, si riporta il testo della sentenza, con riferimento alle clausole contrattuali viziate da indeterminatezza: “la banca provvederà a calcolare, secondo le modalità di cui al precedente art. 4, il mark to market di ciascuna delle operazioni alla relativa data del recesso” e l’art. 4 prevede a sua volta che “la rilevazione dei tassi di interesse, tassi di cambio ed il calcolo degli importi dovuti ai sensi delle singole operazioni, sarà operata da parte della banca in modo oggettivo, tenendo conto delle quotazioni di mercato”. L’art. 23, con riferimento ai contratti IRS precisa infine, che “..per mak to market si intende, ad una data certa, il valore attuale dei flussi di cassa futuri delle singole operazioni, calcolato sulla base dei fattori di sconto riferibili a ciascun flusso e desunti dalla curva dei tassi di interesse e dalla curva di volatilità esistente sui mercati finanziari alla suddetta data”.
[49] In proposito, si veda App. Milano del’11 novembre 2015 n. 4303, che, condividendo il costante orientamento giurisprudenziale per cui la causa del contratto va individuata nell’alea accettata dalle parti, afferma che tale assunto “non equivale ad affermare la necessaria simmetricità dell’alea, ben potendo una parte accettare una scommessa anche improbabile”. La razionalità dell’alea è data dal fatto che “gli scenari probabilistici e le conseguenze del verificarsi degli eventi dovranno essere ben definiti e conosciuti con certezza ex ante”.
[50] Così afferma la Corte d’Appello di Catania: “deve quindi concludersi che la società investitrice non è stata posta in condizione di avere una esatta conoscenza del grado di rischio che andava ad assumere perché la quantificazione del MTM era rimessa alla discrezionalità della banca senza alcun potere di controllo da parte della società appellante che subiva così l’incognita del costo della valorizzazione futura del contratto derivante dall’indeterminatezza del calcolo del mark to market al momento della sua anticipata cessazione”.
[51] Cfr. Trib. Parma del 15 ottobre 2019, n. 1376.
[52] Cfr. Trib. Monza Sez. I, del 11 luglio 2019.
[53] Ivi.
[54] Recentemente si veda Trib. Pescara del 31 marzo 2020 n. 300, testo disponibile in www.ilcaso.it., per cui in mancanza di esplicitazione dell’MTM, il contratto è affetto da nullità ai sensi dell’art. 1322 comma secondo c.c., poiché la sua omissione non consente la misurabilità dell’alea.