giovedì, Aprile 18, 2024
Diritto e Impresa

Il trasferimento della sede sociale all’estero e la libertà di stabilimento

Obiettivo primario dell’Unione Europea è la realizzazione di un mercato interno, cioè di uno spazio senza frontiere tra gli Stati membri considerabile alla stregua di quello di un singolo Stato in cui siano, quindi, garantite quattro libertà fondamentali: libertà di circolazione di merci, di persone, di servizi, di capitali.

In particolare, la libertà di circolazione delle persone ricomprende in sé la libertà di stabilimento (art 49-55 TFUE) che consiste nella possibilità delle persone fisiche (cittadine dell’Unione) e giuridiche (costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi il proprio centro di interessi nel territorio europeo) di spostarsi nel territorio di un altro Stato membro per lo svolgimento della propria attività di lavoro autonomo (cd. stabilimento a titolo principale); per quanto riguarda le società, ciò dovrebbe significare la possibilità di trasferire liberamente la propria sede nel territorio di un altro Stato membro: ma il diritto comunitario e il diritto internazionale privato delle società consentono effettivamente l’esercizio di tale diritto? La risposta non sembra essere positiva. Le persone giuridiche di per sé, diversamente dalle persone fisiche, non esistono se non nel mondo convenzionale del diritto: è solo il diritto che consente di considerare come esistente un’entità astratta in presenza del rispetto delle norme sulla costituzione delle stesse e mediante l’attribuzione alle stesse della soggettività giuridica; e tali norme, ovviamente, cambiano di Paese in Paese.

Ben si comprende, dunque, che alla luce delle varie normative nazionali, una società potrebbe esistere in uno Stato membro ma non anche in un altro che prevede una normativa diversa e che, dunque, lo spostamento di una persona giuridica in uno Stato diverso da quello in cui è stata costituita potrebbe comportare la perdita della propria soggettività giuridica, ponendo fine alla sua stessa esistenza: la soluzione definitiva a tale problema sarebbe il mutuo riconoscimento delle società tra i vari Stati membri, obiettivo pure prefissato dal Trattato CE che richiedeva a tal riguardo l’avvio di negoziati tra gli Stati membri, sfociati in una Convenzione del 1968 che però non è mai entrata in vigore.

In assenza di una soluzione a livello del diritto comunitario a tale problema, bisogna quindi fare riferimento al diritto internazionale privato delle società, nella’ambito del quale la soggettività delle persone giuridiche viene fatta dipendere, sulla base di due diverse teorie, da due diversi fattori:

  • Secondo la teoria della cd. incorporazione la soggettività della società dipende dalla sua mera costituzione, in quanto la legge che regola la società deve considerarsi quella dello Stato di costituzione. In questo caso, il trasferimento della sede sociale in un altro Stato sarebbe possibile senza problemi, posto che esso non determina la perdita della soggettività giuridica.

  • Secondo la teoria della cd. sede reale (fatta propria dalla maggior parte degli ordinamenti nazionali) la soggettività dipende dalla ubicazione della sede della società, in quanto la legge che regola la società è quella del luogo in cui è collocato il suo centro di interessi, cioè la sua amministrazione. In questo caso, il trasferimento non sarebbe possibile in quanto, cambiando lo Stato della sede, la società perderebbe la propria soggettività giuridica.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, tuttavia, nella sentenza Cartesio del 16 dicembre 2008, ha ammesso il trasferimento della sede sociale nel territorio di un altro Stato membro in relazione alle cd. cross-border conversion, ovvero le operazioni attraverso le quali, contestualmente al trasferimento della sede di una società si ha anche un assoggettamento della stessa alla legge dello Stato di stabilimento. In questo caso, infatti, la società si assoggetta alla normativa dello Stato membro in cui si trasferisce divenendo così assimilabile a tutti gli effetti a una società di diritto nazionale di questo Stato, convertendosi in un suo tipo sociale.

La Corte sottolinea come una soluzione diversa non sarebbe conforme alla libertà di stabilimento riconosciuta dall’art 49 TFUE in quanto la società che intende trasferire la propria sede dovrebbe prima sciogliersi secondo le norme dello Stato in cui si trova per poi ricostituirsi sulla base, questa volta, delle nome dello Stato in cui si è trasferita con tutta una serie di oneri e adempimenti pregiudizievoli rispetto all’esercizio di tale libertà. Tale giurisprudenza, peraltro confermata in diversi casi successivi, ha reso palese la necessità di un intervento di armonizzazione più significativo in materia, considerato anche che la soluzione prospettata dal legislatore dell’Unione, ovvero la previsione di alcuni modelli europei di società validi e riconosciuti in tutti gli Stati membri (Società europea o SE e Società cooperativa europea o SCE), seppure di ottime premesse si è rilevata poco efficace in concreto.

Emiliano De Luise

Emiliano De Luise è uno studente della facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Napoli Federico II che ha di recente conseguito la sua laurea con votazione 110 e lode con plauso della commissione/110. Appassionatosi a diversi settori del diritto commerciale, tra cui IP, M&A e Capital Markets, auspica ora una carriera nell'avvocatura d'affari.

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