venerdì, Aprile 26, 2024
Uncategorized

Lo smaltimento dei rifiuti pericolosi

A cura di Gabriele Bernardini

 

Sommario: 1. Premessa; 2 I criteri fondamentali nello smaltimento dei rifiuti pericolosi; 3.La nozione giuridica di “smaltimento” nell’ordinamento italiano; 4. L’impianto autorizzatorio nella gestione dei rifiuti; 5.Gli elementi essenziali dell’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti; 6. Inosservanza delle prescrizioni normative; 7. Le attività di gestione dei rifiuti non autorizzate; 8. Conclusioni

 

  1. Premessa

Lo smaltimento dei rifiuti[1] sia pericolosi che non, è una fase estremamente non privilegiata all’interno della gestione dei rifiuti poiché la normativa europea permeata in quella Nazionale, predilige la riduzione dei rifiuti alla fonte – cosa che a mio avviso siamo molto lontano dal raggiungere – e, qualora non fosse possibile preferisce il riciclo o il recupero dei rifiuti.[2]

L’articolo di riferimento per lo smaltimento dei rifiuti nella normativa italiana è l’art. 182 del T.U.A., il quale evidenzia la fase residuale dell’attività di gestione[3] indicando prevalentemente i criteri generali a cui attenersi.

  1. I criteri fondamentali nello smaltimento dei rifiuti pericolosi

 Terrei a rilevare, in congruenza con la normativa vigente, che lo smaltimento deve effettuarsi in condizioni di sicurezza e quando si sia verificata l’impossibilità tecnica ed economica di procedere al recupero, si deve perseguire l’obiettivo di ridurre il più possibile, sia in massa che in volume, i rifiuti da avviare allo smaltimento finale potenziando la prevenzione e le attività di riutilizzo, di riciclaggio e di recupero. Ulteriore criterio consiste anche nella previsione di dare priorità, laddove è possibile, a tutti quei rifiuti che non possono essere recuperati nell’ambito delle operazioni di riciclaggio o di recupero. A livello logistico si richiede una limitazione – anzi un divieto – per tutti quei rifiuti ricompresi nella categoria dei rifiuti urbani non pericolosi in altre Regioni, ovviamente diverse da quelle dove gli stessi rifiuti sono stati prodotti, eccetto per casi particolari.

  1. La definizione giuridica di “smaltimento” nell’ordinamento italiano

La nozione giuridica di smaltimento è contenuta nell’articolo 183[4] alla lettera z), che recita testualmente: “qualsiasi operazione diversa dal recupero, anche quando l’operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia”. A titolo esemplificativo, il Codice individua quali attività di smaltimento il deposito sul o nel suolo (discarica), il trattamento in ambiente terrestre con biodegradazione di rifiuti liquidi o fanghi nel suolo, le iniezioni in profondità, lo scarico dei rifiuti solidi nell’ambiente idrico, il seppellimento nel sottosuolo marino e poi, ancora, trattamenti biologici o chimici che danno origine a evaporazione, essiccazione, calcinazione, incenerimento a terra o in mare e depositi permanenti[5]. Sempre in riferimento alle attività di smaltimento, e recupero, gli articoli 182 bis e ter, introdotti dal d.l. 205/2010, riaffermano i principi di autosufficienza e prossimità relativamente ai rifiuti urbani non differenziati attraverso il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti, tenendo però sempre conto delle migliori tecniche[6] disponibili e del rapporto tra i costi e i benefici complessivi[7]. La medesima disposizione prevede anche l’opportunità di limitare, con provvedimento notificato alla Commissione Europea, l’ingresso nel territorio nazionale di rifiuti destinati ad inceneritori classificati come impianti di recupero[8], nel momento in cui si accerti che questo determinerebbe, come conseguenza, la necessità di smaltire i rifiuti nazionali o di trattare i rifiuti in modo non coerente con i piani di gestione. Allo stesso modo può essere ridotto l’invio di rifiuti negli altri Stati membri per motivi ambientali, come stabilito nel Regolamento CE n. 1013/2006.

  1. L’impianto autorizzatorio nella gestione dei rifiuti

La disciplina generale in tema di rifiuti prevede, come precedentemente nel d.l. 22/97[9], che le attività di gestione siano assoggettate al possesso di determinati titoli abilitativi che richiedono, nei casi in cui vi è un esponenziale rischio di conseguenze negative per l’ambiente, il rilascio di un atto formale di autorizzazione all’esito di un complesso iter amministrativo mentre, in altri casi, si richiede una semplice iscrizione all’Albo dei gestori ambientali fino a prevedere, per specifiche operazioni o attività il rilascio di procedure in forma semplificata. L’articolo 208 prevede ora un’autorizzazione unica per la realizzazione e gestione di nuovi impianti di smaltimento, o di recupero, dei rifiuti, anche in un contesto di pericolosità degli stessi.  L’ente competenze al rilascio dell’autorizzazione è la Regione[10], al quale la domanda deve essere proposta insieme al progetto definitivo dell’impianto e insieme alla documentazione tecnica prevista in base alle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute di scurezza sul lavoro e di igiene pubblica e v.i.a. (valutazione impatto ambientale), se necessaria. Segnalo inoltre che rimane applicabile anche la normativa in materia di IPPC (Integrated Pollution Prevention and Control ovvero controllo e prevenzione integrata dell’inquinamento); riguardo a questa segnalazione presente nell’articolo 208, faccio presente che la Corte di Cassazione (sez. III n.8051 del 27/2/2007) ha precisato che dall’estensione della stessa si può ricavare l’intenzione del legislatore di tenere distinte le due autorizzazioni, con la conseguenza pratica che gli impianti per il trattamento dei rifiuti che comportano emissioni nell’atmosfera sono assoggettati ad entrambe le discipline, in quanto la normativa nazionale in tema di inquinamento atmosferico non incorpora ma completa la disciplina sui rifiuti. Tornando all’autorizzazione o meglio alla richiesta e rilascio di autorizzazione, reputo interessante e utile affrontare quella che noi conosciamo come la “presentazione della domanda”, quest’ultima determina l’individuazione, da parte dell’ente ricevente, del responsabile del procedimento e la convocazione della conferenza dei servizi, alla quale partecipa anche il proponente o suo rappresentante, con l’obiettivo di analizzare e valutare i progetti e di verificare la compatibilità del progetto con le esigenze ambientali e territoriali, mentre l’istruttoria tecnica può serenamente essere affidata all’ARPA (Agenzia Regionale Per l’Ambiente)[11].

Una volta conclusa questa procedura, da completarsi entro ben definiti limiti temporali, soggetti per altro alla possibilità di sospensione e all’esercizio di poteri sostitutivi in caso di inerzia dell’Ente, la Regione si avvia con la propria valutazione, la quale in caso di positività, determina l’approvazione del progetto e l’autorizzazione alla realizzazione e gestione dell’impianto. La valutazione positiva sostituisce, in ogni suo effetto, visti, pareri, autorizzazioni e infine concessioni di organi regionali, provinciali e comunali[12]. Costituisce inoltre una forte variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e di indifferibilità dei lavori.

In riferimento all’iter di autorizzazione la giurisprudenza italiana, grazie alla Corte di Cassazione[13], ha prodotto notevoli nozioni di chiarimento, ancora oggi estremamente utili nonostante gli interventi modificativi operati dal legislatore delegato; è stato rilevato che la conferenza di servizi deve rientrare nello schema della conferenza istruttoria e costituisce un utile strumento di accelerazione della macchina burocratica, per la verifica contestuale dei molteplici interessi presenti all’interno del procedimento. I rappresentanti degli enti che partecipano alla conferenza di servizi devono avere il potere di esprimere la volontà dell’Amministrazione alla quale sono appartenenti. Devono esprimere, quindi, la loro volontà in riferimento a beni o interessi che per la normativa fanno parte della propria competenza. In riferimento a una valutazione positiva della domanda da parte della Regione può costituire per la giurisprudenza una variante allo strumento urbanistico solo se il provvedimento accolto o per meglio dire adottato sia sufficientemente motivato in funzione della utilità pubblica dell’opera[14]. Di conseguenza, l’amministrazione, seppure in funzione di un potere discrezionale, deve necessariamente svolgere una profonda valutazione dell’interesse pubblico alla realizzazione dell’impianto in variante allo strumento urbanistico[15] sotto il profilo della pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dell’opera e solo la presenza di queste esigenze può legittimare la restrizione delle scelte fatte dai Comuni nella sede di pianificazione urbanistica.[16] Notiamo come il processo autorizzativo si intersechi nel campo ambientale con una materia che meriterebbe approfondimento ovvero l’urbanistica; in aggiunta credo che sia abbastanza visibile come l’interesse prevalente nell’iter autorizzativo sia quello della pubblica autorità, la quale va in alcuni contesti a limitare la sfera di azione di altri enti; al riguardo l’autorizzazione come richiede il diritto Amministrativo anche in relazione con altri atti, deve essere composta da elementi che potremmo definire essenziali.

 

  1. Gli elementi essenziali dell’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti

 Il T.U.A. all’articolo 208 elenca quali sono i contenuti essenziali che l’autorizzazione unica deve contenere al suo interno, come i tipi e i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati, o i requisiti tecnici per ciascuno dei tipi di operazione autorizzata, con un riferimento puntuale alla compatibilità del sito scelto, alle attrezzature, alla tipologia e le quantità di rifiuti, le modalità di verifica, il monitoraggio e il controllo della conformità dell’impianto al progetto approvato. L’autorizzazione[17] richiede inoltre come elemento essenziale anche la presenza di misure precauzionali e di sicurezza che devono essere adottate, oltre alla localizzazione dell’impianto autorizzato. La elevata utilità pubblica richiesta prevede anche una componente economica non indifferente, non a caso tra gli elementi necessari vanno presentate delle garanzie finanziarie[18] che devono essere prestate solo al momento dell’avvio effettivo dell’esercizio dell’impianto. Infine, come contenuti essenziali, la normativa chiede che sia presente la data di scadenza dell’autorizzazione e i limiti di emissione in atmosfera per i processi di trattamento termico dei rifiuti, accompagnati in aggiunta dal recupero energetico.  A quest’ultimo punto rilevo di aggiungere che nel comma 11 bis, introdotto dal decreto legislativo 205/2010, viene fatto presente come le autorizzazioni riguardanti l’incenerimento o il coincenerimento con recupero di energia sono subordinate alla condizione che il recupero debba avvenire con un livello elevato di efficienza energetica, utilizzando le migliori tecniche e tecnologie disponibili. Come si evince dalla indicazione della data di scadenza tra i suoi requisiti, l’autorizzazione è soggetta a limite temporale di efficacia ed è rinnovabile.

Il termine, rispetto al D.l. 22/1997, è stato raddoppiato, correndo il rischio che quella che appare come una innovazione finalizzata allo snellimento burocratico possa poi determinare la presenza sul territorio di impianti obsoleti e non adeguati al rapido sviluppo tecnologico del settore. L’attivazione della procedura per il rinnovo consente il continuo dell’attività fino alla decisione della Regione previa estensione delle garanzie finanziarie prestate. L’ultima parte del comma 12 è stata integrata dal decreto legislativo numero 4 del 2008 e definisce che le prescrizioni dell’autorizzazione possono essere modificate, prima del termine di scadenza e dopo almeno 5 anni dal rilascio, nel caso di condizioni di criticità ambientale, tenendo conto dell’evoluzione delle migliori tecnologie a disposizione.

 

  1. Inosservanza delle prescrizioni normative nello smaltimento dei rifiuti

Nella fattispecie in cui le prescrizioni dell’autorizzazione non dovessero essere osservate, ferma restando l’attuazione delle specifiche sanzioni sia in campo amministrativo che in campo penale, l’autorità competente può procedere in base alla gravità dell’infrazione in diversi modi: diffidando il soggetto e stabilendo un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze; provvedendo alla diffida e alla contestuale sospensione dell’autorizzazione per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente; alla revoca dell’autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinano situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente.

L’autorizzazione deve essere comunicata, a cura dell’Amministrazione che la rilascia, al catasto dei rifiuti[19] attraverso il catasto telematico e in base agli standard concordati con l’Ispra[20] la quale, a sua volta, cura l’inserimento in un apposito elenco nazionale, accessibile al pubblico, degli elementi identificativi presenti nel comma 17 bis introdotto dal decreto-legge 205 del 2010[21]. Gli elementi identificativi che devono essere presenti all’interno della comunicazione e che fanno parte del comma 17 bis[22] del decreto sopracitato sono: la ragione sociale, la sede legale dell’impresa autorizzata, la sede dell’impianto autorizzato, l’attività di gestione autorizzata, i rifiuti oggetto dell’attività di gestione, la quantità autorizzata e infine la scadenza dell’autorizzazione.

La giurisprudenza per mezzo della Corte di Cassazione[23] ha ulteriormente specificato che l’autorizzazione deve essere presentata con forma scritta e che non è acquisibile per mezzo del silenzio assenso; si richiede pertanto che sia fornita, al fine di rendere efficace il controllo sul corretto uso della discrezionalità amministrativa[24] in una materia di particolare delicatezza, una adeguata motivazione.

 

  1. Le attività di gestione dei rifiuti non autorizzate

In funzione del provvedimento autorizzativo, reputo necessario affrontare anche il tema delle attività di gestione dei rifiuti non autorizzate; la normativa di riferimento è l’articolo 256 del decreto legislativo 152 del 2006, il quale sanziona penalmente chiunque svolga un’attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in totale mancanza della necessaria autorizzazione, iscrizione o comunicazione[25]. Le sanzioni, pecuniarie e detentive sono presenti in modo diverso in funzione della natura dei rifiuti gestiti illecitamente; viene prevista, di conseguenza, la pena alternativa in misura minore con riferimento ai rifiuti non pericolosi e quella congiunta in misura maggiore per quanto riguarda i rifiuti pericolosi. Questo tipo di diversificazione attuata dal legislatore è stata ulteriormente applicata dalla giurisprudenza con la sentenza n. 9375 del 2003 della Corte di Cassazione, evidenziando la possibilità del concorso delle due ipotesi che costituiscono autonome figure di reato. Le violazioni in esame configurano, secondo la giurisprudenza odierna, una tipologia di reato che può essere attuata anche da colui che esercita attività di gestione dei rifiuti in maniera secondaria oppure in conseguenza dell’esercizio di un’attività primaria diversa.

Queste considerazioni hanno portato ad escludere, tuttavia, la natura di reato proprio della contravvenzione in esame, definendo il reato come comune. Al riguardo segnalo il dissenso della dottrina, la quale ha ritenuto di chiamare l’attenzione sul fatto che l’individuazione dei soggetti responsabili andrebbe effettuata alla luce; quanto alla natura del reato, la Corte di Cassazione[26], ha ritenuto che si tratti di reato formale, la cui configurabilità è ipotizzabile sulla base della semplice effettuazione di una delle attività soggette a titolo abilitativo senza osservarne le prescrizioni.

Inoltre, essendo un reato di mera condotta delle disposizioni normative vigenti, le quali stabiliscono concretamente quali devono essere i soggetti che per intraprendere un’attività nel campo della gestione dei rifiuti devono dotarsi di un titolo abilitativo[27], il pronome “chiunque” non si riferisce in nessun modo a un soggetto indefinito, come è stato sostenuto dalla giurisprudenza, piuttosto soltanto a chi sia individuato dalla legge come destinatario dell’obbligo di sottoporsi al controllo della Pubblica Amministrazione. Dobbiamo ritenere il reato come istantaneo[28] in quanto si concretizza nel luogo e nel momento in cui si avverano le singole condotte tipizzate, a meno che nella fattispecie in cui la condotta è ripetuta non si configuri come reato eventualmente abituale[29], per evitare un peggioramento o aggravamento sanzionatorio che sembra oggettivamente eccedere rispetto alla dimensione offensiva della condotta. La normativa vigente reputa che l’avvenuta cessazione dell’attività produttiva non faccia venire meno gli obblighi che gravano sul soggetto titolare dell’attività con riferimento alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti aziendali. In questo contesto, aziendale, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 38.512 del 2007, stabilisce che solo l’effettivo trasferimento d’azienda ad un altro soggetto che ne assume totalmente la titolarità e i relativi obblighi può far cessare la responsabilità del titolare precedente. Il reato, in mancanza di un’autorizzazione, prevede la presenza di un elemento soggettivo; la giurisprudenza ha evidenziato, per quanto riguarda la condotta, che non è necessaria la percezione di un corrispettivo e il concetto di gestione del rifiuto non deve essere inteso in senso imprenditoriale; infine per quanto riguarda la responsabilità per l’attività di gestione non autorizzata, quest’ultima non necessariamente deve essere ricondotta al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire semplicemente da comportamenti che vadano a violare i doveri di diligenza per la mancata attuazione di tutte le misure necessarie ad evitare illeciti nella gestione dei rifiuti e che legittimamente vengono richiesti ai soggetti preposti alla direzione dell’azienda. Ulteriori indicazioni giurisprudenziali di interesse riguardano, inoltre, la validità e l’efficacia del titolo abilitativo. Si è stabilito che riguardo la richiesta di autorizzazione allo svolgimento di un’attività di gestione rifiuti non si può configurare il formarsi del silenzio assenso, in quanto l’autorizzazione deve sempre assumere la forma scritta; abbiamo già visto anche la natura personale dell’autorizzazione, la quale si basa soprattutto sulla idoneità del soggetto richiedente e sulla sua iscrizione a relativo Albo.

A causa degli interessi in gioco il sistema di accertamento della violazione è estremamente pretenzioso; al riguardo reputo necessario far notare in questa sede come l’omesso o il ritardato versamento dei diritti annuali di iscrizione all’Albo regionale o al Registro provinciale delle imprese che svolgono attività di gestione dei rifiuti comporta l’automatica sospensione dall’attività, con la conseguenza che il soggetto o l’impresa che continua a portare avanti la propria attività dopo la scadenza del termine per il relativo pagamento, commette un reato. La giurisprudenza prevede inoltre che il reato si possa configurare anche nella circostanza specifica che l’autorizzazione sia scaduta; purtroppo a nulla può rilevare che la stessa autorizzazione sia in attesa di rinnovo. Credo che sia estremamente importante anche puntualizzare che nella fattispecie concreta in cui una determinata attività impatti sullo stato dell’ambiente – anche se formalmente assentita – non può comunque svolgersi in contrasto con la normativa di settore risultante dall’insieme delle norme statali e regionali e degli ulteriori strumenti di pianificazione settoriale vigenti. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 13.676 del 2007[30], ha precisato che la valutazione della configurabilità di reati in materia ambientale non esclude il giudizio su una legittimità degli atti amministrativi autorizzatori eventualmente rilasciati ma, piuttosto, comporta necessariamente un giudizio quando quegli atti vadano a formare presupposto o elemento costitutivo del reato. Il giudice penale, quando accerta profili di illegittimità sostanziale di un titolo autorizzatorio amministrativo, dà il via a una identificazione della fattispecie sanzionata e non attua nessuna disapplicazione del provvedimento stesso, nè incide con indebita ingerenza sulla sfera appartenente alla pubblica amministrazione, poiché attua un potere che trova base e giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice. L’accertata esistenza di fatti assolutamente palesi di illegalità forma un significativo indice di riscontro dell’elemento soggettivo del reato contestato pure riguardo all’apprezzamento della colpa. Abbiamo appena approfondito la fattispecie in cui si svolga un’attività di gestione dei rifiuti senza che il soggetto operante abbia una valida autorizzazione; tuttavia, vi sono delle ipotesi in cui si palesa l’inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate all’interno delle autorizzazioni. A riguardo la normativa di riferimento è l’articolo 256 del Testo Unico ambientale, il quale sanziona le ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate all’interno delle autorizzazioni nonché le ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richieste per l’iscrizione o la comunicazione. Riguardo la natura del reato, grazie alla Corte di Cassazione con la sentenza n. 38.186 del 2003, si è ritenuto che trattasi di reato formale[31], la cui configurabilità è ipotizzabile sulla base della semplice effettuazione di una delle attività soggette a titolo abilitativo senza osservarne le prescrizioni. In aggiunta la natura di reato di mera condotta permette che non assuma rilievo l’idoneità della condotta medesima ad arringare un concreto pregiudizio al bene finale, atteso che il bene protetto è anche quello principale del controllo amministrativo da parte della pubblica amministrazione. Il reato che stiamo esaminando oltre ad essere, come abbiamo già detto, formale è anche permanente. Abbiamo infatti osservato che le condotte descritte nel primo comma[32], se protratte nel tempo, mantengono una loro antigiuridicità fino a quando non vengano legittimate di un titolo abilitativo e che l’autorizzazione non è efficace fin quando non vi si ottemperi. Con questi presupposti possiamo dire che anche la meno grave violazione in esame ha una natura permanente, poiché l’inosservanza delle prescrizioni non permette di ritenere lecita l’attività effettuata, e questo indipendentemente dalla considerazione del fatto che l’autorità abbia provveduto a stabilire un termine per l’adempimento delle prescrizioni e che lo stesso termine risulti superato, poiché è punito non l’inadempimento delle prescrizioni ma il prolungare e il protrarre della specifica condotta rapportata ai rifiuti, la quale non può essere considerata autorizzata senza l’osservanza delle stesse disposizioni.

  1. Conclusioni

In conclusione di questo paragrafo ritengo che uno degli alleati fondamentali della macchina amministrativa sia il tempo, avere la capacità di incidere preventivamente rispetto al verificarsi di un danno rende l’attività preventiva estremamente utile poiché il fattore di analizzare l’eventualità di un danno ambientale causato da un mancato rispetto delle autorizzazioni o semplicemente da una condotta illecita permette alla comunità e alla macchina amministrativa di incidere fortemente sulla tutela dell’ambiente. A riguardo notiamo con estremo ottimismo come tutti i provvedimenti autorizzativi siano finalizzati a ridurre tempestivamente il rischio di danno ambientale per permettere alla collettività di vivere all’interno di un ambiente salubre. Nel nostro Paese la gestione dei rifiuti troppe volte culmina in reati di stampo ambientale, spingendo la giurisprudenza e il legislatore ad affrontare il tema sempre in modo più frettoloso e rischiando non solo di dilatare i tempi per i nuovi impianti ma anche rischiando di creare delle vere e proprie antinomie tra la legislazione nazionale e quella europea. A mio avviso andrebbe rivisto anche il riparto di competenze normative o regolamentari tra le regioni e i comuni italiani a grande densità demografica, tale riflessione nasce dal fatto che la capacità di incidere nella vita reale del cittadino troppe volte viene meno dalla macchina amministrativa a causa della burocrazia, che tende troppe volte a dilatare in modo spropositato i tempi di reazione dello Stato rispetto ai bisogni dei cittadini.

 

 

 

[1] Si precisa che il concetto di “gestione” va inteso in senso ampio, fino a ricomprendere qualsiasi contributo diretto a realizzare un’attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento. Così Cass. Pen., Sez. III, 11/01/2005, n. 2950.

[2] A. Manzione, I controlli sui rifiuti e il Sistri. Disciplina, adempimenti, sanzioni, Maggioli Editore, 2011, pp. 42-43.

[3]  Si richiama sul punto; L. Ramacci, Rifiuti: La Gestione e le Sanzioni; cit. “…appare di tutta evidenza che la gestione dei rifiuti viene disciplinata in modo da privilegiare il recupero e il riciclaggio, limitando il più possibile lo smaltimento”; Casa Editrice La Tribuna; 2014; p.36.

[4]  Si noti l’art. 183 del Testo Unico, al comma 1, lettera d), definisce gestione «la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni, nonché il controllo delle discariche dopo la chiusura».

[5] Si noti; L. Ramacci, Rifiuti: La Gestione e le Sanzioni; cit. “Dopo il recupero, a rappresentare l’estrema ratio delle priorità del nuovo sistema gestionale è lo smaltimento, che è concepito come strumento per realizzare una rete integrata e adeguata di impianti che tenga conto delle tecnologie più perfezionate, ma a costi non eccessivi. Deve essere eseguito in condizioni di sicurezza e solo quando si sia verificata l’impossibilità tecnica ed economica di procedere al recupero.”. Casa Editrice La Tribuna; 2014; p.39.

[6] Con le tecnologie odierne non tutti i rifiuti possono essere recuperati, essi rappresentano fino al 20% del totale (ad esempio tetrapak, polistirolo, cosmetici).

[7] Mariotti E., Iannantuoni M., Il nuovo diritto ambientale, IV ed., Santarcangelo di Romagna, Maggioli Editore, 2011.

[8] Si veda Noè G., La nuova disciplina dei rifiuti. Trasporto, stoccaggio e smaltimento, Forlì, Experta Edizioni, 2008, p. 125.

[9] Decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. Il cosiddetto “Decreto Ronchi”.

[10] Ramacci L., Rifiuti: la gestione e le sanzioni; La Tribuna; 2014.

[11] L’ARPA è un ente di diritto pubblico, dotato di personalità giuridica e autonomia tecnico-scientifica, amministrativa, patrimoniale e contabile, posto sotto la vigilanza del Presidente

della Giunta regionale al fine di garantire l’attuazione degli indirizzi programmatici della Regione nel campo della tutela ambientale e del coordinamento delle attività di prevenzione.

[12] Blasizza E., Ambiente 2018: Manuale normo tecnico, pag.194, Kluwer, 2018.

[13]  Cass. sentenza sez. III n. 37122 del 2005.

[14] Art. 208 d.lgs. 152/2006.

[15] In campo giurisprudenziale si rinvia anche al Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 5841 del 11 ottobre 2018: “In materia di autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti la disciplina di cui all’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006, che prevede che l’approvazione dell’autorizzazione costituisca, ove occorra, variante allo strumento urbanistico va interpretata in senso stretto e, come tale, non è estensibile a casi diversi rispetto a quelli ivi contemplati.”.

[16] Dell’Anno P., Diritto dell’ambiente; CEDAM; 2016; pag.120.

[17] Dell’Anno P., Principi del diritto ambientale europeo e nazionale, Giuffrè, Milano, 2004

[18] Mocavini G., I maggiori vincoli amministrativi alle attività d’impresa: dai casi specifici alle soluzioni, Ricerca Aspen Institute Italia, 2016.

[19] Il Catasto dei rifiuti è stato istituito dall’articolo 3 del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475. L’articolazione e le funzioni del Catasto sono individuate dall’articolo 189 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. “Il Catasto è organizzato in una Sezione nazionale, presso l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), e in Sezioni regionali o delle Province autonome di Trento e di Bolzano, presso le Agenzie regionali e delle Province autonome per la protezione dell’ambiente.
L’Ispra ha organizzato la Sezione Nazionale per via informatica, attraverso la costituzione del Catasto telematico, che intende fornire un quadro conoscitivo completo, costantemente aggiornato e facilmente accessibile in materia di rifiuti” (fonte: www.catasto-rifiuti.isprambiente.it).

[20] ’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) è ente pubblico di ricerca, dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, autonomia tecnica, scientifica, organizzativa, finanziaria, gestionale, amministrativa, patrimoniale e contabile.

L’ISPRA è sottoposto alla vigilanza del Ministro della Transizione Ecologica (Mite). Il Ministro si avvale dell’Istituto nell’esercizio delle proprie attribuzioni, impartendo le direttive generali per il perseguimento dei compiti istituzionali. Fermo restando lo svolgimento dei compiti, servizi e attività assegnati all’Istituto ai sensi della legislazione vigente, nell’ambito delle predette direttive sono altresì indicate le priorità relative agli ulteriori compiti, al fine del prioritario svolgimento delle funzioni di supporto al Ministero della Transizione Ecologica (Mite). Sulla Gazzetta Ufficiale n. 179 del 3 agosto 2010 è stato pubblicato il Decreto 21 maggio 2010 n. 123 del Ministero dell’Ambiente e per la Tutela del Territorio e del Mare “Regolamento recante norme concernenti la fusione dell’APAT, dell’INFS e dell’ICRAM in un unico istituto, denominato Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), a norma dell’articolo 28, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”. (Fonte: www. sprambiente.gov.it)

[21] Art. 22. Dl.205/2010.

[22] Art. 22. Dl.205/2010 17-bis. L’autorizzazione di cui al presente articolo deve essere comunicata, a cura dell’Amministrazione competente al rilascio della stessa, al Catasto dei rifiuti di cui all’articolo 189 attraverso il Catasto telematico e secondo gli standard concordati con ISPRA che cura l’inserimento in un elenco nazionale, accessibile al pubblico, dei seguenti elementi identificativi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica: a) ragione sociale; b) sede legale dell’impresa autorizzata; c) sede dell’impianto autorizzato; d) attività di gestione autorizzata; e) i rifiuti oggetto dell’attività di gestione; f) quantità autorizzate; g) scadenza dell’autorizzazione.

[23] Sez. III sentenza 16001 del 07/04/2003 (UD.12/02/2003) RV. 224722: “ In tema di smaltimento dei rifiuti non è configurabile il formarsi del silenzio assenso sulla richiesta di autorizzazione formulata ai sensi dell’art. 28 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, atteso che tale provvedimento deve sempre assumere la forma scritta e deve essere corredato da adeguata motivazione al fine di rendere efficace il controllo sul corretto uso della discrezionalità amministrativa in una materia di particolare delicatezza e rilevanza per la tutela ambientale.” (fonte CED Cassazione).

[24] Si veda Lombardi S., “potere discrezionale quando il Legislatore concede all’Amministrazione una limitata libertà di scelta o di valutazione in ordine all’esercizio del potere medesimo, sicché ogni manifestazione di discrezionalità risulta in parte sindacabile ed in parte insindacabile, a seconda, da un lato, del grado (ritenuto accettabile) di sacrificio del bene giuridico protetto dalla norma attributiva del potere, e, dall’altro lato, della misura in cui si ritiene di dover tutelare l’esistenza di una libertà di scelta”; si veda anche G. Barone, voce Discrezionalità (Diritto amministrativo), in Enc. giur., XIII, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,1989,1, “Il vivace disaccordo dottrinale (riguardo il potere discrezionale) che si è incentrato sull’argomento è stato infatti progressivamente rivolto a sottrarre la discrezionalità all’ambito (interno) originariamente proprio dell’autorità amministrativa ed affidato al suo esclusivo dominio per meglio consentirle di conseguire i propri interessi, non necessariamente coincidenti con quelli dei cittadini.”

[25]  Art.256 c.1 del d.l152 del 2006 :” Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29 quattuordecies, comma 1, chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito: a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi; b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

[26] C. Cassazione III Sez. penale sent. 38.186 del 2003.

[27]Si veda al riguardo anche la Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 4199 del 30 gennaio 2018 (ud. del 28 novembre 2017)” Ai fini della configurabilità del reato di gestione abusiva di rifiuti, non rileva la qualifica soggettiva del soggetto agente bensì la concreta attività posta in essere in assenza dei prescritti titoli abilitativi.”.

[28] Si definisce reato istantaneo quello in cui la condotta si esaurisce in un solo istante (es. omicidio), pertanto il momento consumativo coincide con l’ultimo della serie di atti posti in essere al fine di integrare la condotta costitutiva. (fonte www.altalex.com).

[29] Corte Cassazione sent. 16158/2019: “la gestione illecita di rifiuti, perfezionandosi con la singola condotta, ha natura di reato istantaneo, ed in caso di ripetitività può configurarsi quale reato abituale”.

[30] Corte di Cassazione Penale, Sez. III, 3 Aprile 2007 (c.c. 15 dic. 2007), Sentenza n. 13676 “La valutazione della configurabilità di reati in materia ambientale non esclude il giudizio sulla legittimità degli atti amministrativi autorizzatori eventualmente rilasciati ma anzi comporta necessariamente tale giudizio (ovviamente non esteso ai profili di discrezionalità) allorché quegli atti costituiscano presupposto o elemento costitutivo o integrativo del reato. Una determinata attività incidente sullo stato dell’ambiente, infatti, seppure formalmente assentita, non può svolgersi in contrasto con la disciplina di settore risultante dal complesso delle norme statali e regionali e degli ulteriori strumenti di pianificazione settoriale vigenti”.

[31] l reato in senso formale o giuridico, è quel fatto giuridico, infrativo della legge penale (principio di legalità), espressamente previsto dal legislatore e al quale l’ordinamento giuridico ricollega come conseguenza, una sanzione (pena).

[32] Art 256 d.lgs.152/2006.

Lascia un commento