venerdì, Marzo 29, 2024
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Maradona Vs D&G: la decisione del Tribunale di Milano

La morte di Diego Armando Maradona, conosciuto in tutto il mondo come il “Pibe de Oro”, avvenuta il 25 novembre scorso, ha inevitabilmente riportato alla luce i gol, i successi e le vittorie che hanno segnato – e segneranno per sempre – la storia del calcio. Ma il suo palmares, in data 9 Dicembre 2019, si è arricchito con un’ulteriore vittoria, questa volta consumatasi in un’aula di tribunale contro la maison di moda D&G, che ha dato risonanza alla tematica dell’appropriazione indebita dei diritti d’immagine altrui, approfondendo l’importanza della sua tutela e diventando un caso giurisprudenziale destinato a fare la storia. In perfetta linea con il personaggio in questione.

  1. I fatti e l’inquadramento normativo

Era il luglio 2016, quando gli stilisti della prestigiosa casa di moda D&G, decisero di omaggiare la città di Napoli, organizzando una sfilata a San Gregorio Armeno. Una modella tra le tante, sfilò indossando una maglia azzurra con il numero 10 sulle spalle, rievocando i colori della squadra del Napoli e la persona di Diego Armando Maradona, il quale non fu neanche invitato all’evento. Valore evocativo, in questo caso, quello della suddetta maglietta, che, da sola, basta a richiamare immediatamente l’immagine del personaggio famoso.

Lo stesso potere evocativo, fu riconosciuto nel caso Audrey Hepburn nei confronti di Caleffi S.p.a., che riproduceva le fattezze dell’attrice [1], ma anche nel caso Lucio Dalla con i suoi occhialetti a binocolo e lo zucchetto di lana[2].

Il fatto concernente la maglietta de “El diez”, che fece il giro del mondo sui vari tabloid e testate giornalistiche, in un primo momento lusingò il campione, ma in un secondo lo spinse a intentare una causa contro la maison D&G poiché il suo nome, immagine e marchio erano stati utilizzati senza il suo consenso. Marchio che oggi, specie dopo la sua morte, è quasi impossibile stimare [3].

La vicenda, che si basa sull’appropriazione indebita dei diritti d’immagine altrui, ha trovato ampia tutela grazie all’art. 7 c.c. che recita: “La persona, alla quale si contesti il diritto all’uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall’uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento dei danni”; ancora negli artt. 20 e 21 del Codice della Proprietà Industriale (CPI) [4], dove si tutelano i diritti del titolare del marchio d’impresa registrato, e infine nel terzo comma dell’art. 8 CPI, che prevede che i nomi di persona, se notori, debbano essere registrati o usati come marchio solo dall’avente diritto o con il consenso della persona in questione. Quest’ultimo, richiama inoltre l’art. 96 l. n. 633/1941 (Legge sulla protezione del diritto d’autore), a tutela del ritratto di una persona che non può essere esposto o riprodotto senza il consenso di questa.

A fronte di tale inquadramento normativo, nel 2017 Maradona chiese un risarcimento del danno per un corrispettivo di 1 milione di euro, in quanto la maison D&G – secondo il campione – aveva violato l’art. 1 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale (IAP), non attuando una comunicazione commerciale adeguata, e facendo intendere la presenza di una collaborazione tra la casa di moda e il Pibe de Oro, nonché la volontà degli stilisti di commercializzare la maglia incriminata.

  1. La sentenza n. 11374 del 9 dicembre 2019

Il Tribunale di Milano, il 9 dicembre 2019, dopo quasi due anni di processo, ha accolto le pretese di Maradona. Il giudice Dott.ssa Paola Maria Gandolfi, richiamando proprio uno degli articoli circa l’inquadramento normativo della vicenda (art. 8 CPI), ha riconosciuto che: un operatore economico avveduto, non può ragionevolmente ritenere che l’evocazione del “mito Maradona” possa conferire anche diritti di disposizione sul nome per finalità commerciali e, soprattutto, promozionali”. La nota sentenza ha quindi evidenziato la posizione del giudice di Milano circa uno degli articoli simbolo in ambito di materia del diritto d’immagine: l’art. 97 l. n. 633/1941, che recita: “Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico”. La disposizione citata, si rievoca alla mente del lettore, indica alcune deroghe concernenti la necessità del consenso per l’uso dell’immagine, ma la sua riproduzione è lecita solo quando queste siano presenti in via esclusiva. Queste deroghe non consentono l’uso dell’immagine di un personaggio famoso – detto altrimenti V.I.P. – senza il suo consenso, quando concorrono con uno scopo promozionale o commerciale della stessa.

Dagli anni ’80 in poi, la ratio della norma citata è stata più volte mistificata poiché, spesso, si è tentato di nascondere il vero scopo lucrativo dell’uso dell’immagine di un V.I.P., dietro il diritto all’informazione o lo scopo culturale. L’unico caso in cui l’uso dell’immagine di un personaggio famoso possa essere lecito senza il consenso di quest’ultimo, oltre alle già citate ipotesi dall’art. 97, vi è quando tra la componente informativa, culturale o didattica e quella commerciale – quindi lucrativa – prevalga la prima. Tale criterio di prevalenza, usato dalla giurisprudenza negli ultimi anni, è stato utilizzato anche nel caso Maradona. In questa vicenda, la maison D&G ha organizzato il proprio evento per omaggiare la città di Napoli, forse a scopo culturale-informativo, ma tramite una sfilata più volte pubblicizzata a rappresentanza del proprio marchio, evocando senza consenso altrui, per l’appunto, il marchio de “El diez”. Per i suddetti motivi il precedente articolo, come esposto dal giudice Gandolfi, non può far parte della base normativa a favore degli stilisti, poiché D&G ha volutamente usato il marchio Maradona per promuovere la propria sfilata, che rappresenta il criterio commerciale/promozionale ritenuto prevalente sui presunti scopi informativi/culturali. La sentenza in questione rappresenta quindi uno dei pochi casi in cui la giurisprudenza ha impedito la c.d. mistificazione dell’art. 97 l. n. 633/1941[5]. Per ciò che concerne il risarcimento del danno, data l’assenza della messa in produzione e in commercio della maglia protagonista del caso, per la quale sarebbe stata necessaria un’intesa per un contratto di merchandising, il giudice Gandolfi ha ridotto il quantitativo a 70.000 euro più spese legali, delineato sotto il profilo del c.d. lucro cessante. [6]

  1. Il contratto di sponsorizzazione o il c.d. “celebrity endorsement agreement”

Alla luce del caso Maradona e del suo epilogo, si vuole approfondire quello che in casi come questi dovrebbe essere il contratto da sottoscrivere: il c.d. “celebrity endorsement agreement”. È un contratto di sponsorizzazione, quindi atipico per il nostro ordinamento (ex art. 1322 c.c.), dove secondo l’IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) “l’endorser”, rappresentato da una celebrità o chi abbia acquisito visibilità e credibilità presso il pubblico per le sue competenze in un certo campo (c.d. “influencer”), in cambio del suo impegno nel promuovere un prodotto o un servizio e della sua approvazione per l’utilizzo del nome, immagine o marchio, ottiene un compenso monetario dal c.d. “endorsee”, ovvero il brand che lo ha ingaggiato. L’elemento tipico di questo “agreement” è l’obbligo di esclusività per l’intera durata del contratto stilato con un’autonomia delle parti, ma nei limiti imposti dalla legge. Questa tipologia di contratto rappresenta una tecnica di vendita promozionale c.d. “easy win” per il brand che si impegna con la celebrità, poiché l’immagine di un V.I.P, può aumentare le vendite e il valore del marchio, tanto da riuscire a coprire i costi sottoscritti nel contratto, che a volte possono rappresentare cifre esorbitanti. Nel caso Maradona, ci si è chiesto perché Sophia Loren, presente all’evento dove è stata utilizzata anche la sua immagine, marchio e nome, non abbia intentato la stessa causa. Il motivo è rappresentato dalla presenza di un contratto di endorsment per l’appunto, sottoscritto in precedenza. L’attrice era di fatti testimonial per la maison D&G all’epoca, il che sottolinea la convenienza per le aziende nell’associare l’intero brand tramite la c.d. brand association”,[7]anziché circoscrivere la promozione di un prodotto o servizio, o nel caso Maradona, un evento.

  1. Il caso analogo: Ferrari contro Philipp Plein

Come Diego Armando Maradona, anche la casa automobilistica di lusso Ferrari si è ritrovata a dover tutelare il proprio marchio dinnanzi ad uno stilista, in questo caso Philippe Plein. Nel giugno 2018, Plein aveva incluso nella sua sfilata marchi come Ferrari, Lamborghini e McLaren. La Ferrari conseguentemente citò in giudizio lo stilista per aver usato illegalmente il suo marchio, e per aver dato vita ad una confusione circa una possibile collaborazione o una brand association tra la casa automobilistica e la maison. Il Tribunale di Milano, proprio a seguito della nota sentenza sul caso Maradona, si è espresso per ora a favore del cavallino, obbligando lo stilista al risarcimento di 300.000 euro per la costituzione di fatto inesistente del legame tra i due marchi, tutelabile ai sensi dell’art. 20 CPI e art. 9 del Regolamento UE 2017/1001 (il “Regolamento Marchi”). [8] [9]La sentenza definitiva, si avrà nella primavera 2021.

  1. Conclusioni

In merito alle vicende esposte, e in particolar modo circa il caso Maradona, una cosa è certa: i casi riguardanti i diritti d’immagine, specie se coinvolgono personaggi noti, da oggi in poi hanno un precedente in più. Ma la linea tra appropriazione indebita e un tributo “culturale”, soprattutto oggi nel mondo dei social [10], rimane sottile e va maneggiata con cura.

[1] Tribunale di Milano, Sentenza n. 766, 21 Gennaio 2015 https://www.giurisprudenzadelleimprese.it/wordpress/wp-content/uploads/2015/07/20150121_-RG43452-20121.pdf

[2] Pretura di Roma, ordinanza 18 Aprile 1984 https://www.robertocaso.it/wp-content/uploads/2020/10/Pret_Roma_18_04_1984.pdf

[3] A. Riviezzo, “La scomparsa di Maradona e l’importanza degli archivi aziendali”, Dicembre 2020, disponibile qui: https://www-mark–up-it.cdn.ampproject.org/c/s/www.mark-up.it/la-scomparsa-di-maradona-e-limportanza-degli-archivi-aziendali/amp/

[4]  Dott.ssa Nicoletta Cosa, “Analisi dell’evoluzione normativa in relazione al marchio rinomato”, Febbraio 2020, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/analisi-dellevoluzione-normativa-in-relazione-al-marchio-rinomato-25705

[5] Avv. Matteo Santini, “Il diritto allo sfruttamento dell’immagine altrui” disponibile qui https://www.diritto.it/archivio/1/20272.pdf

[6] Per lucro cessante si intende il mancato guadagno che consegue alla commissione di un fatto illecito o che è cagionato da un inadempimento contrattuale, e cioè corrisponde a delle mancate entrate nel patrimonio del danneggiato (art. 2056 cc.)

[7] Per “brand association” si intende la sottoscrizione di un contratto tra una celebrità e un’azienda perché la prima sponsorizzi e/o pubblicizzi l’interno brand in cambio di un corrispettivo monetario.

[8] https://www.pambianconews.com/2020/10/20/philipp-plein-perde-la-causa-con-ferrari-302776/

[9]  Regolamento UE 2017/1001  https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32017R1001

[10] Dott.ssa Sofia Giancone, “Influencer e social network: quando l’uso di un marchio è un atto illecito”, Ottobre 2020, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/influencer-e-social-network-quando-luso-di-un-marchio-altrui-e-un-atto-illecito-31114

Francesca Oddi

Laureanda in Giurisprudenza con una tesi in "La proprietà intellettuale nel panorama europeo". Redattrice capo da 5 anni della rivista universitaria "Aiko Lumsa", e Director della sezione Attività Accademiche di ELSA Roma. Appassionata di IP, Fashion e Media Law. Passione che nel 2016 l'ha portata ad intraprendere uno stage nell'ufficio legale de La Biennale di Venezia.

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