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Misure di prevenzione alla corruzione: l’importanza degli istituti di diritto amministrativo in tale contesto

corruzione

Le politiche nazionali di prevenzione e contrasto della corruzione sono state avviate a partire dalla legge 190 del 2012 nell’ambito delle quali emerge una nuova nozione di corruzione amministrativa, che ricomprende ed avvolge le condotte penalmente rilevanti, tale «da comprendere non solo l’intera gamma dei delitti contro la pubblica amministrazione disciplinati nel Titolo II, Capo I, del codice penale, ma anche le situazioni in cui, a prescindere dalla rilevanza penale, venga in evidenza un malfunzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite ovvero l’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo, sia che tale azione abbia successo sia nel caso in cui rimanga a livello di tentativo»[1]. L’approccio è dunque ampio e comprensivo delle varie situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontri l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati. Il decreto-legge n. 90 del 2014 ha poi definito l’assetto attuale dell’Autorità nazionale anticorruzione.

Il percorso che culmina con la cd. legge anticorruzione ha inizio con il Comitato di studio sulla prevenzione della corruzione che fu istituito da un provvedimento della Camera dei deputati nel 1996. Tale Comitato, anche detto “dei tre saggi”, era composto da Sabino Cassese, Luigi Arcidiacono ed Alessandro Pizzorno ed aveva lo scopo di “elaborazione, nell’ambito dei principi fondamentali dell’ordinamento amministrativo italiano, di ipotesi di intervento legislativo per prevenire fenomeni di corruzione, tenendo conto delle caratteristiche del sistema delle imprese e delle principali esperienze straniere“. Il Comitato concludeva i suoi lavori il 23 ottobre, presentando un documento suddiviso in quattro parti: nella prima sono valutate dimensioni, tipologie e cause della corruzione in Italia; nella seconda sono brevemente esaminati studi, proposte e riforme adottate in alcuni ordinamenti stranieri; nella terza (quella centrale) sono elencati una serie di mezzi atti a prevenire e disincentivare la corruzione; nella quarta vengono infine indicati i tempi per l’attuazione delle diverse proposte. [2] Il tentativo compiuto dalla Commissione era uno dei primi volti ad offrire un quadro d’insieme degli interventi auspicabili per fronteggiare un fenomeno che in Italia sembra aver assunto un carattere endemico. Il problema che il suddetto comitato si poneva era quello di prefigurare misure atte a prevenire il fenomeno, cioè esula, dunque, quanto previsto nell’ambito degli strumenti di contrasto propri del diritto penale, che hanno una funzione propriamente repressiva, come si rileverà in seguito. Il rapporto fornisce una classificazione dei principali fattori ricorrenti che possono produrre corruzione in un contesto politico- istituzionale come quello italiano, tra i molteplici si rileva: l’ampiezza della sfera pubblica, che determina ampie e consistenti posizioni di rendita, la cui assegnazione ai privati viene spesso decisa con larghi margini di discrezionalità; il disordine normativo sulla disciplina da applicare; le modalità di attuazione del decentramento amministrativo; il finanziamento della politica; la confusione dei ruoli tra personale politico e personale burocratico, quando infatti amministratori e burocrati trovano conveniente la collusione, si forma un terreno favorevole per la corruzione favorito dal formarsi di una classe intermedia tra politica ed amministrazione; l’inefficienza amministrativa che “attribuisce agli amministratori un potere arbitrario relativo al compimento degli atti d’ufficio, poiché si estende la gamma di risposte alternative che essi possono dare alle domande e agli impulsi provenienti dall’esterno o dai livelli superiori della struttura amministrativa” (CSPC, p. 20); l’insoddisfacente disciplina delle procedure amministrative; la debolezza dell’amministrazione e l’assenza di corpi tecnici; l’inefficienza dei controlli tradizionalmente ispirati alla verifica formale della regolarità e della legittimità di singoli atti consente agli amministratori di produrre bassi livelli di impegno o prestazioni scadenti senza accrescere il rischio di incorrere in sanzioni; la sfiducia dei cittadini nella garanzia dei loro diritti (soprattutto in quello di efficienza ed imparzialità che regolano l’accesso allo Stato), nascono in tal modo incentivi alla ricerca di canali privilegiati di contatto con le strutture pubbliche, soprattutto da parte di soggetti che con essa intessono rapporti più frequenti ed economicamente rilevanti; la distorsione del sistema economico e le strutture d’impresa: il peso elevato della domanda pubblica in numerosi mercati e la relativa arretratezza tecnologica delle imprese in essi presenti ha reso conveniente il ricorso alla corruzione per garantire il successo, o almeno la sopravvivenza, di imprese altrimenti condannate ad un ruolo marginale in un mercato concorrenziale, ciò ha facilitato la formazione di fondi neri, e nel contempo hanno incentivato forme d’influenza personalizzate nei confronti del potere politico.
Dunque, da tale schema introduttivo che delinea la fonte del fenomeno corruttivo possono trarsi le misure di prevenzione al fenomeno. Importante è la legge n. 190/2012. Essa è infatti esecuzione diretta della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell’Onu il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, e degli articoli 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, stipulata a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata ai sensi della legge 28 giugno 2012, n.110. La legge costituisce il primo tentativo di un approccio globale al tema, che cerca di aggredire i fenomeni di maggiore rilevanza, seppur con taluni limiti[3] .
Tra le tante misure di prevenzione alla corruzione si segnala la semplificazione e riorganizzazione della normazione , infatti l’eccesso di norme e vincoli di adempimenti alle attività private comporta uno stato di confusione in cui gli amministratori possono scegliere la norma da applicare e favorire una parte piuttosto che l’altra aggirando i vincoli imposti dalla legge; i rimedi a tale situazione consistono in interventi complessi aventi carattere di politica generale, tramite delegificazione e coordinamenti volti ad evitare contrasti tra norme.
Aspetto rilevante di prevenzione alla corruzione è la trasparenza, su cui punta anche la legge anticorruzione, la ratio è intuitiva: se le amministrazioni fossero “case di vetro”, secondo l’idea di Filippo Turati, i fenomeni corruttivi sarebbero molto più limitati, soprattutto in relazione all’uso delle risorse pubbliche; dunque le norme dovrebbero essere volte a limitare gli abusi e gli sprechi riducendo le risorse e ponendo vincoli all’autonomia di scelta nella loro utilizzazione; la trasparenza assurge allo scopo di disincentivare gli abusi o comunque denunciarli.[4] Già la legge sul procedimento amministrativo [5] aveva obbligato le amministrazioni di rendere pubbliche le informazioni relative ala propria organizzazione, a rendere accessibili agli interessati i documenti amministrativi, a predefinire e pubblicare i criteri per l’erogazione di contributi ed erogazioni finanziarie. Infatti, il nostro ordinamento ha compiuto un passo in avanti con il diritto d’accesso inteso quale diritto degli individui ad accedere ai documenti o alle informazioni che li riguardano, alla pubblicità delle informazioni che le amministrazioni hanno l’obbligo di rendere noti a tutti i cittadini. Altro strumento necessario alla prevenzione della corruzione si ravvisa nella liberazione di vincoli pubblici e semplificazione di procedimenti amministrativi di controllo; indispensabile è la soppressione di provvedimenti non necessari di carattere concessorio, di licenza, collaudo ecc., la sostituzione di procedimenti con dichiarazioni rese da professionisti, la sostituzione dei controlli a tappeto con controlli a campione. Indispensabile è poi la regolazione dell’attività di pressione (lobbying): il “contratto lobbistico”, sul modello statunitense, prevede l’obbligo di registrazione per chi esercita tali attività, elencando informazioni su persone, società, clienti e settori di interesse, l’obbligo di redigere dettagliati rapporti sulle loro attività, la pubblicità di tali notizie. I codici di comportamento dovrebbero poi essere attuati in maniera più stringente prevedendo, tra l’altro, una figura d’ausilio ai pubblici dipendenti che suggerisca l’agire in maniera corretta. Ampio spazio andrebbe poi dettato per i conflitti di interessi. Altro strumento di prevenzione alla corruzione è rappresentato dalla eliminazione dello spoils system [6].
Infine, è importante rilevare che gli strumenti di diritto amministrativo devono essere usati in modo più diffuso rispetto a quelli di diritto penale (propriamente repressivi) adatti ad interventi puntuali, relativi a singoli fatti, non a far fronte a macro- fenomeni di criminalità diffusa; il processo penale infatti è costituito per accertare singole responsabilità, non per indagare su grandi fenomeni di criminalità. “Il diritto penale è la moneta pesante dell’ordinamento, da usare con parsimonia” [7].

[1] CLARICH M., MATTARELLA B.G. , La prevenzione della corruzione, in B.G. Mattarella, M. Pelissero (a cura di), La legge anticorruzione, Giappichelli, Torino, 2013, pp. 59 ss.
[2] VANNUCCI A., Come combattere la corruzione in Italia? , in Quaderni di sociologia, pag. 1 e ss.
[3] MERLONI F. , in Le misure amm.ve di contrasto alla corruzione, in Astrid 2013, che riporta il testo della relazione tenuta al 59° Convegno di Varenna del 21 settembre 2013.
[4] Rilevante è il decreto legislativo 33/2013 in materia di trasparenza. Il decreto legislativo n. 97 del 2016, emanato sulla base della delega contenuta nella legge n. 124 del 2015, ha sottoposto ad ampia revisione il suddetto decreto legislativo.
[5]Legge 7 agosto 1990, n. 241.
[6]Tra i tanti sostenitori si segnala MATTARELLA B. G., in Burocrazia e riforme. L’innovazione nella pubblica amministrazione, 2017, pag. 77.
[7]Così MATTARELLA B. G., Burocrazia e riforme. L’innovazione nella pubblica amministrazione, 2017, pag. 77.

Rossella Santonicola

Rossella Santonicola, nasce a Napoli nel 1994, é studentessa di giurisprudenza dell'ateneo federiciano attualmente iscritta al suo ultimo anno. Conseguita la maturità classica, ad indirizzo linguistico a Nocera inferiore (provincia di Salerno), città dove vive fin dalla nascita, segue poi la sua passione per lo studio del diritto. L'ammirazione per il diritto e per le lingue e culture europee la portano a studiare per un semestre diritto e Amministrazione delle Imprese all'Università cattolica di Pamplona (Spagna), grazie alla vincita di una borsa del progetto europeo ‘Erasmus’. Questa esperienza le apre nuovi orizzonti fino a farle sviluppare propensione per le materie che riguardano la Pubblica Amministrazione e la comparazione tra ordinamenti giuridici, che la conduce ad uno studio critico e ragionato del diritto. A conclusione del suo percorso universitario è attualmente impegnata a scrivere la tesi in diritto amministrativo comparato dal titolo "La prevenzione e il contrasto della corruzione. Prospettive di diritto comparato tra Italia e Francia". Da sempre amante della lettura, nel tempo libero si dedica a classici e romanzi. Ama viaggiare, scoprire posti nuovi, conoscere nuove culture e relazionarsi con persone sempre diverse. email: rossella.santonicola@iusinitinere.it

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