venerdì, Aprile 19, 2024
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Modello di banca alternativa: la banca etica

La banca è un intermediario finanziario che esercita congiuntamente l’attività di raccolta di risparmio tra il pubblico e l’attività di concessione del credito. Il Testo Unico Bancario (TUB)[1], ossia la legge in vigore dal 1° gennaio 1994 che disciplina l’attività delle banche, consente all’istituto bancario di svolgere altre attività come: l’intermediazione creditizia, l’intermediazione mobiliare, la negoziazione in conto proprio, la negoziazione delegata, servizi di custodia, servizi di riscossione e pagamento, servizi monetari e molti altri. Le banche inoltre possono esercitare oltre all’attività bancaria ogni altra attività finanziaria, ad esclusione di espressi divieti previsti dalla legge. Le investment banks hanno così nel tempo ampliato il loro business che oggi va dall’underwriting al trading; dalla ristrutturazione dei debiti alla consulenza negli aumenti di capitale; da servizi come il project financing al brokering; dalla consulenza finanziaria alla gestione patrimoniale; includendo tutte le attività di corporate finance e di intermediazione titoli.

Fin dalle sue origini il sistema bancario ha avuto una missione sociale, si pensi ad esempio ai monti di pietà, alle banche mutue e alle casse di risparmio; in questo senso le banche alternative rappresentano una sorta di continum, in quanto si ritiene che la caratteristica delle banche alternative sia il loro orientamento etico e i valori che ispirano i loro obbiettivi. Le banche etiche e sostenibili si sono sviluppate in Europa a partire dagli anni settanta come reazione a un sistema che non offriva ai clienti garanzie di ottenere un investimento coerente con i loro valori, e che tendeva ad escludere alcuni soggetti economici (associazioni, organizzazioni non governati, ecc.) e i soggetti economicamente più svantaggiati. Questa tipologia di banche ha uno scopo molto chiaro che consiste nell’investire in attività dell’economia reale che abbiano un impatto positivo sull’ambiente e sulla società, come ad esempio: l’agricoltura biologica, le energie rinnovabili, il settore no profit. Gli investimenti che promuove una banca etica sono investimenti di lungo periodo, caratterizzati da una forte resilienza nei confronti delle crisi di settore. Altra caratteristica di una banca etica è l’esclusione di investimenti in settori controversi, come: tabacco, gioco d’azzardo, armamenti, energia nucleare, ecc. Requisiti fondamentali di una banca etica sono infine rappresentati dalla trasparenza nella gestione, da un modello di governance che promuova la partecipazione di soci e clienti e da una corretta informazione al cliente. Tutto ciò non significa (come sostengono alcuni) beneficenza, al contrario, una banca etica è anche una banca attenta al proprio conto economico e al proprio stato patrimoniale.

Il legislatore italiano si è dimostrato particolarmente attento agli sviluppi in materia di finanza etica e sostenibile[2], infatti con la legge 11 dicembre 2016, n. 232 (c.d. legge di Bilancio 2017), la finanza etica ha ricevuto un primo riconoscimento legislativo. La misura inserita nella legge di Bilancio ha modificato l’art. 111 del TUB, inserendo l’art. 111 bis, il quale, nel primo comma, enuncia le caratteristiche che distinguono le banche etiche e sostenibili dalle banche tradizionali. Nello specifico sono operatori bancari di finanza etica e sostenibile le banche che conformano la propria attività ai seguenti principi:

  • valutano i finanziamenti erogati a persone giuridiche secondo standard di rating etico internazionalmente riconosciuti, con particolare attenzione all’impatto sociale e ambientale;
  • danno evidenza pubblica, almeno annualmente, anche via web, dei finanziamenti erogati, tenuto conto delle vigenti normative a tutela della riservatezza dei dati personali;
  • devolvono almeno il 20 per cento del proprio portafoglio di crediti a organizzazioni senza scopo di lucro o a imprese sociali con personalità giuridica;
  • non distribuiscono profitti e li reinvestono nella propria attività;
  • adottano un sistema di governance e un modello organizzativo a forte orientamento democratico e partecipativo, caratterizzato da un azionariato diffuso.

Il comma 2 dell’art. 111 bis del TUB, introduce un incentivo particolarmente importante per lo sviluppo e la crescita delle banche etiche, in quanto stabilisce che “Non concorre a formare il reddito imponibile ai sensi dell’articolo 81 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, degli operatori bancari di finanza etica e sostenibile una quota pari al 75 per cento delle somme destinate a incremento del capitale proprio”. In altre parole, la misura in questione introduce un importante sgravio fiscale per le banche etiche ossia: tre quarti degli utili sono esenti da imposte. Sono i commi 3 e 4 del medesimo articolo ad aver ricevuto più critiche, in quanto fissano dei limiti alle agevolazioni fiscali. Nello specifico, il comma 3 fissa nella somma di 1 milione di euro l’ammontare massimo oltre il quale non possono derivare oneri per la finanza pubblica, mentre il comma 4 impone l’applicabilità degli sgravi a condizione che sia rispettato il regime dei minimis (che fissa un tetto di 200 mila euro in tre anni), quest’ultima norma praticamente impone un limite di 200 mila euro di finanziamenti erogabili in tre anni alla medesima impresa per vedervi riconosciuta l’agevolazione del presente articolo.

Tra i prodotti che una banca etica mette a disposizione per investire nella finanza sostenibile troviamo:

  • Green bond, ossia le “obbligazioni verdi”: sono obbligazioni come tutte le altre, la cui emissione è legata a progetti che hanno un impatto positivo per l’ambiente o che permettano di finanziare progetti con caratteristiche di sostenibilità ambientale. Generalmente distinguiamo tra: climate-aligned labelled bonds destinati a finanziare progetti ambientali o legati al cambiamento climatico; e unlabelled climate-aligned bonds emesse da imprese che hanno avviato una forma di transazione verso le fonti rinnovabili.
  • Social impact bond: sono obbligazioni destinate a finanziare settori come la prevenzione dei crimini, la riabilitazione degli ex detenuti, la sanità, l’istruzione e altri. Gli investitori sottoscrivono l’obbligazione prestando il denaro a un fornitore di servizi sociali chiamato a raggiungere determinati obbiettivi entro una data prefissata. Se gli obbiettivi vengono raggiunti lo Stato rimborsa con gli interessi gli investitori, in caso contrario non rimborsa nulla.
  • Fondi socialmente responsabili o fondi etici: secondo la definizione che ne da Assogestioni, per fondo etico si intende “un fondo che sulla scorta di una propria definizione operativa del concetto di eticità, ha una politica di investimento che vieta l’acquisto di un insieme di titoli e/o privilegia l’acquisto di titoli sulla base di criteri diversi dalla sola massimizzazione del rendimento atteso, e/o si attiene a un processo di investimento secondo principi diversi dalla sola massimizzazione del rendimento atteso (corporate governance del fondo)[3].

Nel panorama europeo possiamo contare circa una trentina di banche etiche che praticano una finanza sostenibile. Le principali sono riunite all’interno di FEBEA (Federazione Europea delle Banche Etiche e Alternative) creata a Bruxelles nel 2001 da quattro istituzioni finanziarie etiche con lo scopo di diffondere una cultura economica che miri alla sostenibilità e di promuovere lo sviluppo della finanza etica in Europa[4].

 


Fonte immagine: agro-network.it

[1] Decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.

[2] Per maggiori approfondimenti sul tema si veda Michele Biscardi, Finanza Sostenibile, febbraio 2018, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/finanza-sostenibile-sostenibilita-7967.

[3] Assogestioni, Guida alla classificazione, disponibile qui: .

[4] Per maggiori approfondimenti si rimanda al sito ufficiale di FEBEA disponibile al seguente link: http://www.febea.org.

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