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Niente Autorizzazione unica, se c’è il dissenso

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La Regione non può rilasciare l’Autorizzazione unica per impianti a fonti rinnovabili se una delle amministrazioni coinvolte ha espresso il suo dissenso all’interno della Conferenza dei servizi.

In tal senso si esprime il Consiglio di Stato con la sentenza 3 gennaio 2018, n. 28ribaltando completamente l’enunciato del Tar Molise che aveva accolto il ricorso di un’impresa contro il provvedimento del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, con cui si intimava il blocco dei lavori per la realizzazione di un impianto eolico da 800 kW.

Il Supremo Organo Amministrativo afferma che in sede di rilascio dell’Autorizzazione unica per impianti a fonti rinnovabili, se all’interno della Conferenza dei servizi vi è il dissenso di un’amministrazione preposta alla tutela ambientale – nel caso specifico il Mibact – la competenza sul bilanciamento degli interessi in gioco è attribuita al Consiglio dei Ministri, che decide con propria deliberazione.

Appare pertanto evidente che la Regione, nel momento in cui procede ad emanare comunque l’Autorizzazione unica, agisce in carenza assoluta di potere, a nulla valendo eventuali doglianze sull’inesistenza di un potere di intervento interdittivo ab externo in capo al Ministero contrario.

La Sezione Quarta del Supremo Organo Amministrativo risolve in tale maniera la contesa sorta a seguito della sospensione dei lavori afferenti la realizzazione di un impianto eolico della pot. di 800 kw, assentito inizialmente con autorizzazione unica della Regione Molise in aperto contrasto con il parere fornito in sede di conferenza di servizi dal MIBACT, considerato inammissibile in quanto privo delle prescritte indicazioni delle modifiche necessarie a rendere il progetto assentibile, ex art. 14-ter, co. 3, l. n. 241/1990[1].

L’orientamento del giudice di prime cure che aveva inizialmente accolto il ricorso si basava sul fatto che il provvedimento inibitorio adottato dal MiBACT non rientrasse all’interno dell’art. 155 del d.lgs. n. 42/2004[2].

Il ragionamento del TAR, infatti, si fonda sull’assunto logico che in assenza di un potere di intervento interdittivo ab externo del Ministero sull’autorizzazione regionale, sia impossibile ritenere nulla l’autorizzazione emanata in contrasto con tale visione.

Ricorrendo in appello, il MIBACT e il Comune interessato evidenziano come la Regione non sia legittimata ad esprimere il parere di cui all’art. 17, comma 3, lett. n), d.p.r. 233/2007 e che Il dissenso espresso in sede di conferenza avrebbe potuto essere superato solo tramite la rimessione della deliberazione al Consiglio dei Ministri, a nulla rilevando l’esercizio del potere inibitorio di cui all’art. 150, d.lgs. 42/2004[3], derivandone di conseguenza la nullità del titolo autorizzatorio per difetto assoluto di attribuzione e per mancanza di un elemento essenziale quale l’assenso della competente sovrintendenza.

Nell’affrontare la questione il Consiglio di Stato riprende e precisa la portata di due precedenti pronunce: la sentenza n. 3039/2012 e la n. 4167/2013.

Brevemente, la prima delle citate pronunce (n. 3039/2012):

  • afferma la natura speciale della disciplina legislativa sul procedimento autorizzatorio degli impianti destinati alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, avendo l’art. 12, d.lgs. 387/2003, nel dare attuazione alla direttiva 2001/77, utilizzato a fini acceleratori e semplificatori il modulo procedimentale della conferenza di servizi. In tale maniera si ribadisce che la conferenza di servizi è per legge la sede propria e esclusiva in cui le amministrazioni interessate manifestano – con le forme ivi necessarie – l’assenso o il dissenso rispetto al rilascio del domandato titolo abilitativo regionale alla realizzazione dell’impianto;
  • prevede espressamente che per l’eventuale superamento del dissenso espresso dalle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico è necessario seguire le specifiche norme procedimentali stabilite dall’art. 14-quater della L. 241/1990[4] , di conseguenza la Regione procedente non può superare il dissenso qualificato, se non attivando il meccanismo di cui al citato articolo. L’autorizzazione unica emanata in tal senso è pertanto nulla per difetto assoluto di attribuzione nel caso di superamento del dissenso al di fuori dei meccanismi previsti e per difetto dell’elemento essenziale dell’assenza di dissensi qualificati nella previa conferenza di servizi.

Inoltre, la seconda delle citate pronunce (n. 4167/2013):

  • afferma che nel caso in cui non siano state propriamente espresse le prerogative partecipative dell’amministrazione preposta alla tutela ambientale o paesaggistica, l’unica via percorribile è quella della impugnazione del provvedimento autorizzatorio, deducendo la sussistenza di una violazione di legge e il mancato concreto esercizio dei propri potere.

Dalla lettura coordinata di tali sentenze, alla luce del preciso dovere/obbligo del giudice di rilevare d’ufficio la nullità dell’atto “al fine di impedire che costituisca il presupposto di una decisione giurisdizionale che in qualche modo ne postuli la validità o comunque la provvisoria attitudine a produrre effetti giuridici”[5], occorre effettuare una precisa distinzione della nullità in cui è incorso il provvedimento autorizzatorio in questione, riconducibile alla categoria della “carenza di potere in astratto.

La carenza di potere “in astratto” (o cd. incompetenza assoluta) si individua, in ossequio al principio di legalità, nei casi in cui manca, in capo alla singola amministrazione pubblica (complessivamente considerata), qualunque attribuzione del potere provvedimentale della specie esercitata.

In particolar modo, suddetti principi devono essere più concretamente verificati nei casi in cui il provvedimento amministrativo venga emanato a conclusione di una conferenza di servizi.

Occorre infatti distinguere:

– l’ipotesi in cui la conferenza di servizi decisoria è indetta dall’amministrazione procedente “quando la conclusione positiva del procedimento è subordinata all’acquisizione di più pareri, intese, concerti, nulla osta o altri atti di assenso, comunque denominati, resi da diverse amministrazioni” (art. 14, co. 2, primo periodo, l. n. 241/1990);

– l’ipotesi in cui la conferenza di servizi è convocata laddove l’attività del privato sia subordinata a più atti di assenso, comunque denominati, da adottare a conclusione di distinti procedimenti di competenza di diverse amministrazioni pubbliche (art. 14, co. 2, secondo periodo – e, nel testo anteriormente vigente, commi 3 e 4). In tale seconda ipotesi rientra anche la conferenza di servizi relativa alla realizzazione di un progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale (art. 14, co. 4, l. n. 241/1990)

Nel primo caso, l’attività delle pubbliche amministrazioni si esaurisce e concretizza nell’ambito di un unico procedimento, ove avviene un esame sincronico della pluralità di interessi pubblici coinvolti.

Nel secondo caso, invece, la conferenza di servizi si pone come momento organizzatorio di raccordo e di sintesi tra una pluralità di procedimenti amministrativi, cui pertengono una pluralità di interessi pubblici primari e, correlativamente, una pluralità di autonome potestà provvedimentali, tuttavia confluenti nell’unico provvedimento amministrativo conclusivamente adottato dall’autorità amministrativa alla quale la legge ne conferisce il potere.

Ciò non significa, tuttavia, che tale autorità acquisisca ipso facto una più ampia potestà provvedimentale, ma solo che essa esercita, ai soli fini dell’emanazione del provvedimento sul cui contenuto vi è accordo, anche la potestà provvedimentale delle altre amministrazioni.

Ne consegue che, laddove l’accordo non vi sia, ciò che manca non è un mero “presupposto” per l’esercizio del potere provvedimentale, ma la condizione stessa perché quest’ultimo venga attribuito da una autorità amministrativa all’altra. Il che comporta, in mancanza di accordo, il difetto assoluto di attribuzione, poiché l’amministrazione emanante viene ad esercitare (per la parte di competenza dell’amministrazione dissenziente) una potestà che la legge non le ha mai attribuito (e che, anzi, è conferita al Consiglio dei Ministri).

Pertanto, dalla lettura delle disposizioni richiamate ed alla luce dei principi sopra esposti, appare evidente come, nel procedimento finalizzato al rilascio dell’autorizzazione unica per gli impianti di energia elettrica da fonti rinnovabili – in caso di motivato dissenso da parte di un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità – la competenza in materia è attribuita al Consiglio dei Ministri, che decide con propria deliberazione, con o senza intesa con le altre amministrazioni pubbliche coinvolte.

 

 

[1] Il quale dispone che “Ciascun ente o amministrazione convocato alla riunione è rappresentato da un unico soggetto abilitato ad esprimere definitivamente e in modo univoco e vincolante la posizione dell’amministrazione stessa su tutte le decisioni di competenza della conferenza, anche indicando le modifiche progettuali eventualmente necessarie ai fini dell’assenso”.

[2] Suddetto articolo prevede che le funzioni di vigilanza sui beni paesaggistici tutelati siano svolte dal competente Ministero e dalle regioni, disciplinando inoltre il potere sostitutivo del primo in caso di inottemperanza delle seconde.

[3] Secondo cui la Regione o il Ministero hanno facoltà di:
a) inibire che si eseguano lavori senza autorizzazione o comunque capaci di recare pregiudizio al paesaggio;
b) ordinare, anche quando non sia intervenuta la diffida prevista alla lettera a), la sospensione di lavori iniziati.

[4] Tale disposizione prevede che l’efficacia della determinazione è sospesa ove siano stati espressi dissensi qualificati ai sensi del successivo articolo 14-quinquies per il periodo utile all’esperimento dei rimedi ivi previsti.

[5] Cfr in tal senso Corte di Cassazione, Sez. Un., 12 dicembre 2014, n. 26242.

Fabrizio Ciotta

Laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Roma - Roma Tre, Fabrizio ha sviluppato fin da subito un forte interesse per le materie del diritto amministrativo e del diritto dell'ambiente, realizzando una tesi intitolata "Gli oneri di bonifica dei rifiuti con particolare riferimento alla c.d. Terra dei Fuochi". Si è specializzato in tale settore conseguendo con successo un Master di II livello in Diritto dell'Ambiente presso l’Università degli Studi di Roma - Roma Tre. Date le peculiari esperienze ha potuto svolgere un internship presso il Dipartimento Ambiente di Roma Capitale, dove ha avuto la possibilità di collaborare con il relativo Ufficio Appalti ed altresì con la Giunta e gli Uffici preposti alla stesura del "Regolamento del Verde e del Paesaggio di Roma Capitale", primo testo normativo e programmatico sulla gestione del verde della Capitale. Dopo una proficua esperienza lavorativa all'interno della sezione Administrative Law, Public Procurement & Environment and Waste della Law Firm internazionale Lexxat, ottiene l'abilitazione alla professione forense e svolge attività di consulenza in diritto amministativo e appalti per SLT e Ernst&Young, oltre varie collaborazioni. Contatti: ciotta.fabrizio@gmail.com

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