martedì, Ottobre 15, 2024
Labourdì

Discriminazione per ragioni di età – il caso

A corollario della disciplina sin’ora esposta[1], e per dare concretezza alla normativa in tema di discriminazione per ragione di età verrà affrontato il caso trattato dal Tribunale di Roma, sez. lav., 14/10/2014, (ud. 09/10/2014, dep.14/10/2014), n° 13161, concernente il licenziamento discriminatorio per ragioni di età nel impiego privato.

Questo procedimento ha luogo poco dopo l’introduzione della normativa del D.L. “Salva Italia” e rappresenta lo sviluppo giurisprudenziale che ha condotto all’estensione della tutela reale ai lavoratori anziani. L’aspetto peculiare della sentenza si trova principalmente in due ragioni: in primo luogo sull’applicazione della tutela reintegratoria anche alla categoria dirigenziale, disciplina che in passato aveva trovato un applicazione ridotta, essendo considerati i dirigenti dei subordinati privi però dei diritti propri di questa categoria[2]; ed in secondo luogo la magistrale interpretazione che il giudice fa, con una triangolazione tra l’art. 22 CCNL Dirigenti aziende industriali (del 25/11/2009), Art 18 St.Lav (come modificato dalla legge 92/2012), e Direttiva 2000/78/CE, evincendosi così, dal testo della sentenza, un percorso analitico e chiaro del cammino logico condotto dal giudicante.

Ma veniamo al fatto, L. Di. P. veniva licenziato da C. spa, mediante lettera scritta ove la società lo sollevava dal suo impiego richiamando unicamente la clausola 22 del CCNL Dirigenti Aziende Industriali[3] che la autorizzava al licenziamento per ragioni di età.

Il ricorrente impugnava il licenziamento, con il rito di cui al d.lgs 92/2012 ed il Tribunale di Roma rigettava con ordinanza.

L’opponente impugnava l’ordinanza in quanto a suo avviso il licenziamento era stato intimato per motivo discriminatorio ed il contestuale atto doveva considerarsi nullo o comunque ingiustificato.

Il percorso logico seguito dal giudicante parte con la sussunzione del licenziamento del caso di specie alla fattispecie del licenziamento discriminatorio, a tal fine egli sottolinea in primo luogo che l’art 15 L. 300/70 come poi riformata dalla L. 903/77 esprime chiaramente la nullità di qualsiasi atto o patto idoneo a configurare un licenziamento a natura discriminatoria, e questo indipendentemente dalla motivazione addotta. La resistente cerca poi di difendersi nel merito ampliando le prospettive del licenziamento anche a motivazioni di natura economica, che, pur non formalmente indicate nella lettera di licenziamento, ne costituirebbero comunque una giustificazione. In particolare, fa leva sulla procedura di riorganizzazione aziendale avviata dall’azienda nel corso del 2013, che avrebbe portato a una completa rimodulazione degli incarichi dirigenziali e la soppressione di alcune posizioni.

Il Tribunale ritiene tuttavia che tali ragioni economiche siano piuttosto deboli e comunque non siano state la reale ragione del recesso, mancando un nesso causale tra il licenziamento del ricorrente e la riorganizzazione. In primo luogo, il lasso di tempo intercorso tra il licenziamento e la riorganizzazione non è irrisorio, se è vero che il licenziamento è stato disposto a ottobre 2012 e la riorganizzazione è stata deliberata alla fine di aprile 2013 – maggio 2013. In secondo luogo, la lettera di licenziamento non fa alcun riferimento alla situazione di crisi aziendale, sicché è da dimostrare che tale situazione di difficoltà fosse già presente alla data del recesso o che comunque l’azienda ne fosse già consapevole. Tali indici portano quindi il giudice ad avvallare ancor di più la tesi del licenziamento discriminatorio.

La resistente comunque, anche ipotizzando la prospettata situazione discriminatoria sostiene tuttavia che sulla base anche delle motivazioni dell’ordinanza impugnata, l’eventuale discriminazione attuata nei confronti del Di P troverebbe comunque una deroga giustificativa nella legge e nella contrattazione collettiva. Il Tribunale non condivide tale argomento e neppure l’impostazione dell’ordinanza impugnata.

Quanto alla norma di legge, è da escludere che nella specie possa trovare applicazione l’art. 4, comma 2, l. 108/90[4]. La norma citata non può trovare applicazione per la semplice ragione che il ricorrente al momento del recesso non era in possesso dei requisiti pensionistici di vecchiaia né lo sarebbe stato alla data fissata per l’efficacia del recesso (1° maggio 2014). L’art. 24, comma 6, lett. c), d.l. 201/2011 aveva infatti innalzato, con decorrenza dal 1° gennaio 2012, l’età pensionabile a 66 anni, età che il ricorrente, nato il 1° maggio 1949, avrebbe raggiunto solo il 1° maggio 2015. Manca dunque il presupposto applicativo dell’art. 4 citato. Al riguardo, è opportuno rammentare che il raggio applicativo dell’art. 4 non è il medesimo dell’art. 11, comma 1, l. 604/66, che proprio la l. 108/90 non a caso ha abrogato. L’abrogato art. 11 poneva il raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia e il superamento dei 65 anni come requisiti alternativi di non operatività del regime causale del licenziamento (in linea con la norma pattizia posta a base del licenziamento in esame); l’art. 4 vigente al momento del fatto richiede invece, oltre al superamento dei 60 anni, il possesso dei requisiti pensionistici. L’art. 4 è dunque inapplicabile al caso in esame e non può di per sé fornire giustificazione a un trattamento differenziato per età.

Il giudice poi passa all’analisi della norma pattizia (art. 22 CCNL per i dirigenti industriali), e neppure questa possiederebbe l’idoneità derogatoria sostenuta da C. spa e dal giudice dell’ordinanza impugnata.

Anzitutto, essa non è una disposizione idonea a derogare al divieto di discriminazione per età e a consentire trattamenti differenziati, come pure prevede l’art. 3, comma 4-bis, d. lgs. 216/2003. Vertendosi in materia di diritti indisponibili, il diritto a reagire contro trattamenti discriminatori potrebbe essere sacrificato solo in forza di una disposizione di legge, avente pari rango rispetto alla norma che li vieta, non certo in forza di una disposizione contenuta nella contrattazione collettiva. Né risulta che esista una norma primaria che autorizzi in tal senso l’autonomia collettiva.

Infine, anche a voler ritenere che l’art. 22 autorizzi un recesso anticipato, sia pure con effetto differito, e che ciò sia legittimo (come sostenuto da Cass. n. 5356/1995 a proposito di un’analoga norma convenzionale), ciò deve avvenire a condizione che il dirigente licenziato consegua, al momento in cui il licenziamento anticipato acquista efficacia, i requisiti per la pensione di vecchiaia. Solo in tal modo sarebbe infatti rispettata la ratio dell’art. 22 del CCNL, che appare sotto questo aspetto collimante con quella ricavabile dai citati art. 4, l. 108/90 e 3, comma 4-bis, d.lgs. 216/2003.

A voler diversamente ritenere, se cioè l’art. 22 giustificasse un recesso non solo anticipato, ma anche con efficacia differita a una data in cui il lavoratore non può (ancora) conseguire il trattamento pensionistico, avrebbe ragione parte opponente nel senso che la norma del contratto collettivo dovrebbe ritenersi nulla ex art. 15, l. 300/70. Essa autorizzerebbe infatti trattamenti differenziati per età senza neppure la giustificazione di garantire comunque il transito verso la pensione.

A parere del giudice da ciò ne consegue che la clausola pattizia invocata nel caso di specie da C. spa deve essere interpretata nel senso che essa è autorizzata a consentire un recesso per ragioni di età, tanto più se anticipato, solo a condizione che ciò non sia di ostacolo al transito del lavoratore licenziato verso un trattamento previdenziale, senza soluzione di continuità. E’ infatti da escludere che quello che la legge ordinaria non può fare, pena il contrasto con le norme costituzionali e dell’Unione europea, possa fare una norma pattizia, senza incorrere nella sanzione della nullità per contrasto con norma imperativa. Poiché nella specie così non è avvenuto nei confronti del ricorrente, il licenziamento deve giudicarsi discriminatorio e dunque nullo.

Si porta dunque a completamento il tema della discriminazione per ragioni di età nel settore lavoro, anche se la sentenza in esame non esaurisce di certo il tema, ampio ed in continuo sviluppo. Di certo però queste pronunce vanno nel senso della tutela dei lavoratori, in particolar modo di quelli considerati, “troppo giovani per la pensione ma troppo anziani per poter essere considerati una risorsa a livello aziendale”.

La particolare intensità delle pronunce in tema di discriminazione in ambito lavoristico dovrebbero essere uno spunto di riflessione, a parere di chi scrive. Il lavoro infatti non è solo un mezzo per sopperire a bisogni che sorgono nella vita di tutti i giorni, ma è ancor più essenziale per l’inserimento sociale dell’individuo, è chiaro dunque che già la discriminazione nel recruiting (tema che anticipo tratteremo nei prossimi articoli) sino ad arrivare alla discriminazione nel luogo di lavoro conducono il soggetto ad estraniarsi dal contesto sociale in cui si trova, creando, come conseguenza l’isolamento di questi individui, che saranno portati, in assenza di altre possibilità, ad accettare contratti al limite della legalità.

È necessario quindi che si tratti il tema, anche a livello mediatico, che si creino delle linee guida per coloro che si occupano di risorse umane, ed è ancor più essenziale che coloro che si trovino in una situazione di discriminazione si rivolgano ad un giudice del lavoro, perché è solo grazie a pronunce come queste che i lavoratori ritrovano la loro dignità.

 

Fonti

[1] G. Boscariol “Il coordinamento della tutela reale dei lavoratori con il principio di non discriminazione per ragioni di età” in http://www.iusinitinere.it/coordinamento-della-tutela-reale-dei-lavoratori-principio-non-discriminazione-ragioni-eta-6083

[2] Per un approfondimento Daniela Schiuma “Licenziamento del dirigente, accordi aziendali e rito Fornero: una decisione controversa” in Riv. It. Dir. Lav. 2015, 427 e segg.

[3] Art 22 – Risoluzione del rapporto di lavoro – “Nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la parte recedente deve darne comunicazione per iscritto all’altra parte.

Nel caso di risoluzione ad iniziativa d’azienda quest’ultima è tenuta a specificarne contestualmente la motivazione.

Il dirigente ove non ritenga giustificata la motivazione addotta dall’azienda, ovvero nel caso in cui detta motivazione non sia stata fornita contestualmente alla comunicazione del recesso, potrà ricorrere al collegio arbitrale di cui all’art 19.

Il ricorso deve essere inoltrato all’Organizzazione territoriale della FEDERMANAGER (già FNDAI), a mezzo raccomandata a.r che costituirà prova del rispetto dei termini, entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione scritta del licenziamento.

Il ricorso al collegio non costituisce di per se motivo per sospendere la corresponsione al dirigente delle indennità di cui agli artt. 23 e 24.

Le disposizioni del presente articolo, salva la comunicazione per iscritto di cui al 1°comma, non si applicano in caso di risoluzione del rapporto di lavoro nei confronti del dirigente che sia in possesso dei requisiti di legge per avere diritto alla pensione di vecchiaia o che abbia comunque superato il 65° anno di età (60° se donna).”

[4] Art 4 c. 2 l.108/90”Art 4 –Area di non applicazione – [..] 2. Le disposizioni di cui all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’articolo 1 della presente legge, e dall’articolo 2 non si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici, sempre che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi dell’articolo 6 del decreto-legge 22 dicembre 1981 n. 791, convertito con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 54. Sono fatte salve le disposizioni dell’articolo 3 della presente legge e dell’articolo 9 della legge 15 luglio 1966, n. 604”.

Gioia Boscariol

Gioia Boscariol nasce a Oderzo (TV) nel 1994. Dopo aver conseguito la maturità tecnico commerciale all'I.T.C.G "Jacopo Sansovino" intraprende la strada che sognava sin da bambina, lo studio del diritto. E' studentessa al quarto anno all'Università degli Studi di Udine. Nel corso degli anni passati all'Ateneo Friulano scopre l'interesse e la propensione per il Diritto del Lavoro, ed in particolare per quel settore, a cavallo tra il diritto italiano ed il diritto europeo, rappresentato dal Diritto Antidiscriminatorio. Durante il suo corso di studi si occupa anche di sviluppare le soft skills, sia nell'associazionismo studentesco prima come Vice Presidente Seminari e Conferenze e poi come Presidente dell'Associazione ELSA Udine, sia nella rappresentanza studentesca, da quest'anno è infatti Rappresentante degli studenti in Consiglio di Amministrazione, in consiglio di corso e dipartimento e membro del Consiglio degli Studenti dell'Università degli Studi di Udine. Puoi contattarmi all'indirizzo e-mail: gioia.boscariol@iusinitinere.it

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