venerdì, Luglio 26, 2024
Criminal & Compliance

Omicidio colposo del nascituro ex art. 589 c.p.

L’art. 589 c.p. rubricato “Omicidio colposo” è collocato nel libro II “Dei delitti in particolare” al Titolo XII “Dei delitti contro la persona” essendo posto a tutela della vita e dell’incolumità fisica della persona. Al primo comma dell’art. 589 c.p. il legislatore ha previsto che “chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”. Si tratta di un reato comune, di danno, di evento a forma libera il quale è caratterizzato sotto il profilo soggettivo dalla colpa intesa come negligenza, imprudenza o imperizia.

La norma menzionata fa riferimento alla persona, tale da intendersi un individuo dotato di propria autonomia, vivente quindi in maniera autonoma. Il problema che ci si è posti è stato quello di comprendere se la locuzione di persona potesse essere estesa anche al nascituro.

Da sempre la questione circa l’applicazione giuridica dei vari istituto dell’ordinamento – anche in ambito civile – al nascituro, al concepito ed al feto è stata oggetto delle più disparate pronunce giurisprudenziali e dottrinali.

Parte della dottrina, oramai remissiva, tendeva a considerare il feto privo di capacità giuridica, non persona ma oggetto di tutela per cui, seguendo tale orientamento la sua morte non si sarebbe potuta imputare al responsabile a titolo di omicidio colposo ex art. 589 c.p., sicché quest’ultimo fa espresso richiamo alla persona in quanto tale, capace giuridicamente ed entità autonoma.

In tema di delitti contro la persona, il criterio distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo consiste nell’inizio del travaglio e, dunque, nell’autonomia del feto[1]”.

Se si aderisse a tale orientamento e si considerasse di tal guisa il nascituro come oggetto e non come persona, allora la condotta colpevole di un’ostetrica, di un medico, o di chi interrompe colposamente la gravidanza non potrebbe essere ricondotta all’art. 589 c.p. ma piuttosto all’art. 593-bis c.p. “interruzione colposa di gravidanza”.

Tale norma, collocata nel medesimo libro e titolo dell’omicidio colposo, disciplina un reato comune, in quanto da chiunque commissibile; reato di danno, di mera condotta e caratterizzato sotto il profilo soggettivo dalla colpa così come previsto per l’omicidio ex art. 589 c.p.

La norma richiamata dispone che “chiunque cagiona ad una donna per colpa l’interruzione della gravidanza è punito con la reclusione da tre mesi a due anni [..]”. In tale normativa si scorge quindi la ratio legis che è quella di tutelare il feto nella sua fase prenatale, oltre che ovviamente la salute della madre, diritto fondamentale ed inviolabile ex art. 32 Cost.

Se si considerasse il nascituro quindi nella sua qualità ancora di feto, pertanto non essere e vita autonoma, allora si applicherebbe al soggetto reo della summenzionata ipotesi di reato l’art. 593-bis c.p. La giurisprudenza dominante però, ha iniziato a guardare al nascituro come persona, come vita autonoma ed in quanto tale passibile di ricevere tutela stringente dall’ordinamento.

A sostegno di questa tesi conviene far riferimento non solo all’art. 589 c.p. ma anche all’art. 578 c.p. il quale è rubricato “infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale”, il quale, collocato nel libro II, Titolo XII, prevede che “la madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durate il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da sei a quindici anni […]”. Con tale disposizione il legislatore ha avuto sì premura di distinguere le due figure di neonato e feto, ma è pur vero che per la tutela di entrambi ha sancito il medesimo regime sanzionatorio.

L’art. 578 c.p. può essere quindi letto come una figura speciale rispetto all’art. 589 c.p. ed in quanto tale ad essa estendibile in base al principio dell’interpretazione estensiva.

In tema di delitti contro la persona, l’elemento distintivo delle fattispecie di soppressione del prodotto del concepimento è costituito anche dal momento in cui avviene l’azione criminosa. La condotta di procurato aborto, prevista dall’art. 19 l. 22 maggio 1978 n. 194, si realizza in un momento precedente il distacco del feto dall’utero materno; la condotta prevista dall’art. 578 c.p. si realizza invece dal momento del distacco del feto dall’utero materno, durante il parto se si tratta di un feto o immediatamente dopo il parto se si tratta di un neonato. Di conseguenza, qualora la condotta diretta a sopprimere il prodotto del concepimento sia posta in essere dopo il distacco, naturale o indotto, del feto dall’utero materno, il fatto, in assenza dell’elemento specializzante delle condizioni di abbandono materiale e morale della madre, previsto dall’art. 578 c.p., configura il delitto di omicidio volontario di cui agli art. 575 e 577 n. 1 c.p.”[2]

È d’obbligo soffermarsi e fare un breve inciso sul principio di analogia e quello dell’interpretazione estensiva. Per ciò che concerne il primo, è disciplinato dall’art. 14 delle preleggi e prevede che “le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi ed i tempi in essa considerati”; si può osservare quindi che il sistema penale italiano ne vieta l’utilizzo al fine di evitare che i giudici possano creare nuove fattispecie di reato dal legislatore non appositamente contemplate.

Con l’analogia di solito si risolvono quei casi non espressamente previsti dalla legge estendendo a questi la disciplina prevista per altri casi simili (analogia legis) o la disciplina desunta dai principi generali del diritto (analogia iuris).

L’interpretazione estensiva invece, che è tutt’oggi consentita ed applicata all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, si caratterizza per la riconduzione sotto la disciplina della stessa norma di un’ipotesi apparentemente fuori dalla sua sfera; tale disciplina non trova limitazioni sicché non mira ad ampliare il contenuto effettivo della norma, ma si propone come obiettivo quello di impedire che fattispecie ad essa soggette si sottraggano dalla sua disciplina per l’assenza di espressioni letterali ingiustificate.

La differenza sostanziale tra i due istituti è che nell’analogia vi è creatività, muovendosi tale principio al di fuori di una qualsiasi previsione normativa.

Ritornando all’estensione dell’art. 578 c.p. come figura speciale dell’art. 589 c.p., si può asserire che “il reato di omicidio e di infanticidio-feticidio tutelano lo stesso bene giuridico, e cioè la vita dell’uomo nella sua interezza. Ciò si desume anche dalla terminologia adoperata dall’art. 578 cod. pen. – «cagiona la morte» – identica a quella adottata per il reato di omicidio, in quanto evidentemente «si può cagionare la morte soltanto di un essere vivo»”[3].

Il legislatore, quindi, ha sostanzialmente riconosciuto anche al feto la qualità di uomo vero e proprio, giacché la morte è l’opposto della vita. I due reati, quindi, vigilano sul bene della vita umana fin dal suo momento iniziale e il dies a quo, da cui decorre la tutela predisposta dall’uno e dall’altro illecito è il medesimo.

La giurisprudenza ha tenuto a precisare che “non deve confondersi l’utilizzo del termine feto, nel dettato normativo dell’art. 578 cod. pen., ivi «usato impropriamente, perché il nascente vivo non è più feto, né in senso biologico, né in senso giuridico, bensì persona» e così se «in un parto, naturalmente o provocatamente immaturo», il nascente è «un essere vivo, la sua uccisione volontaria costituisce omicidio, o feticidio, qualunque sia stata la durata della gestazione”[4].

Pertanto, alla luce delle precedenti considerazioni, in caso di parto indotto prematuramente e fuori dalle modalità consentite dalla legge, che si concluda con la morte del prodotto del concepimento – sia esso feto o neonato –  nella conclamata assenza di ogni elemento specializzante, e fermo il principio irrinunciabile secondo cui la tutela della vita non può soffrire lacune, l’illecito commesso sarà un omicidio o un procurato aborto a seconda che il nascente abbia goduto di «vita autonoma o meno». Al riguardo, infatti, secondo l’unanime e consolidato orientamento della giurisprudenza, in tema di delitti contro la persona, il criterio distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo si individua nell’inizio del travaglio e, dunque, nel raggiungimento dell’autonomia del feto [5].

E’ stato preferito tale criterio, ai fini della identificazione del minimum temporale della previsione normativa di omicidio-feticidio, abbandonando quello inizialmente indicato del momento del distacco del feto dall’utero materno, che non offriva riferimenti temporali sufficientemente precisi.

[1]Cassazione penale sez. V, 21 ottobre 2008, n.44155

[2]Cassazione penale sez. I, 18 ottobre 2004, n.46945

[3]Cass. Pen., sez. IV, 20 giugno 2019 n. 27539

[4]Cass. Pen., Sez. I, n. 46945 del 2004

[5]Cass. Pen., Sez. IV, n. 21592 del 21 aprile 2016, San Filippo; conf. Cass. Pen., Sez. IV, n. 7967 del 29 gennaio 2013, Fichera, fattispecie nella quale, ai fini dell’integrazione del reato di omicidio colposo, era stato ritenuto che la morte era sopraggiunta a travaglio iniziato quando il feto, benché ancora nell’utero, aveva raggiunto una propria autonomia con la rottura del sacco contenentecoincidendo quindi con la transizione dalla vita intrauterina a quella extrauterina.

Valeria D'Alessio

Valeria D'Alessio è nata a Sorrento nel 1993. Sin da bambina, ha sognato di intraprendere la carriera forense e ha speso e spende tutt'oggi il suo tempo per coronare il suo sogno. Nel 2012 ha conseguito il diploma al liceo classico statale Publio Virgilio Marone di Meta di Sorrento. Quando non è intenta allo studio dedica il suo tempo ad attività sportive, al lavoro in un'agenzia di incoming tour francese e in viaggi alla scoperta del nostro pianeta. È molto appassionata alla diversità dei popoli, alle differenti culture e stili di vita che li caratterizzano e alla straordinaria bellezza dell'arte. Con il tempo ha imparato discretamente l'inglese e si dedica tutt'oggi allo studio del francese e dello spagnolo. Nel 2017 si è laureata alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli, e, per l'interesse dimostrato verso la materia del diritto penale, è stata tesista del professor Vincenzo Maiello. Si è occupeta nel corso dell'anno di elaborare una tesi in merito alle funzioni della pena in generale ed in particolar modo dell'escuzione penale differenziata con occhio critico rispetto alla materia dell'ergastolo ostativo. Nel giugno del 2019 si è specializzata presso la SSPL Guglielmo Marconi di Roma, dopo aver svolto la pratica forense - come praticante avvocato abilitato - presso due noti studi legali della penisola Sorrentina al fine di approfondire le sue conoscenze relative al diritto civile ed al diritto amministrativo, si è abilitata all'esercizio della professione Forense nell'Ottobre del 2020. Crede fortemente nel funzionamento della giustizia e nell'evoluzione positiva del diritto in ogni sua forma.

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