lunedì, Ottobre 7, 2024
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E’ possibile registrare un hashtag come marchio?

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L’hashtag, ovvero il segno # seguito da una parola (ad esempio, #iusinitinere) è nato e si è diffuso sui social network a partire dal 2007 con la funzione di parola chiave finalizzata a raggruppare tutti i post relativi ad un determinato argomento.

La diffusione dell’hashtag non è passata inosservata alle aziende, che ne hanno compreso le potenzialità tanto da introdurre il suo utilizzo nelle strategie di marketing e tentare talvolta di farne un marchio di fabbrica. Un esempio d’oltreoceano è il colosso Coca-Cola, che ha ottenuto la registrazione di #cokecanpics e #smilewithacoke, mentre, per quanto riguarda il nostro Paese, AC Milan ha depositato nel 2014 #tuttolostadio, la cui registrazione è stata concessa nel settembre del 2015[1].

Tuttavia, come spesso accade, ciò che avviene nella pratica è lontano da quanto previsto in ambito teorico. Nell’ottobre del 2013, l’United States Patent and Trademark Office (USPTO) si è mostrato aperto nei confronti dell’hashtag e ne ha riconosciuto la registrabilità come marchio, a patto che il simbolo fosse in grado di identificare l’origine del prodotto o del servizio del registrante. In particolare, l’USPTO ha affermato che, nel valutare la registrabilità dell’hashtag, devono essere tenuti in considerazione molteplici fattori come il contesto in cui è utilizzato e il suo utilizzo effettivo, la posizione del simbolo cancelletto (#) all’interno della parola e i tipi di prodotti o servizi che mira a identificare.

Solo due anni più tardi, nel 2015, la corte di uno dei distretti federali della California, decidendo il caso Eksouzian v. Albanese, ha invece escluso la possibilità di registrare un hashtag come marchio, sostenendo che la tipica funzione del simbolo distintivo non avrebbe riscontro in quella dell’hashtag, poiché quest’ultimo è finalizzato esclusivamente a descrivere e aggregare i contenuti delle piattaforme online in base alla tematica affrontata.

Volgendo lo sguardo al territorio nazionale, si nota che né l’Ufficio Italiano brevetti e marchi si è manifestamente espresso in merito alla registrabilità degli hashtag, nonostante, come anticipato, siano comunque state concesse delle registrazioni, né la giurisprudenza ha avuto modo di discutere l’argomento.

Dunque, nella società attuale incentrata sulla tecnologia, il dibattito sulla registrabilità dell’hashtag non ha al momento trovato una risposta certa e univoca, e sono molteplici le voci che si sono espresse a riguardo.

Da un lato vi è chi sostiene che il presupposto che ha portato alla diffusione di massa dell’utilizzo degli hashtag nel web sia rappresentato dalla libera utilizzabilità, e proprio dalla sua libertà di diffusione ne deriva, altresì, il valore commerciale. Le aziende, volendo cavalcare l’onda di diffusione online del segno, al contempo ne vorrebbero restringere l’utilizzo, limitandone l’accesso tramite il diritto esclusivo del marchio. In questo modo, tentando di conciliare forzatamente le restrizioni del marchio e la libera diffusione dell’hashtag, si giungerebbe alla perdita di valore degli # a causa della limitata condivisibilità e del limitato accesso da parte della comunità, rendendoli inutili. Per tale ragione, la registrazione sarebbe da escludersi. In aggiunta è stato notato che, anche ammettendone la valida registrazione, si faticherebbe a comprendere o immaginare le modalità con cui le aziende potrebbero gestire il controllo di milioni di posts contenenti il loro marchio, per accertarsi che non ne venga fatto un utilizzo illecito da parte dei concorrenti.

Dall’altro lato c’è chi al contrario rileva che non garantire tutela all’hashtag comporterebbe notevoli rischi per i marchi dotati di rinomanza, che, qualora venissero eccessivamente diffusi ad opera di soggetti diversi dal titolare, potrebbero incorrere in volgarizzazione.

Le molteplici ripercussioni che derivano dall’utilizzo e dalla decisione di tutelare o meno gli hashtag sono un esempio delle difficoltà derivanti dalle differenze di velocità e linguaggio tra progresso tecnologico e processo legislativo, che al momento non hanno soluzione. A fronte di questa incertezza, alle imprese è lasciata la scelta se richiedere la registrazione degli hashtag (affrontandone i costi), con la consapevolezza che potrebbero risultare in marchi non validi. In attesa di indicazioni a riguardo, possiamo solamente prestare più attenzione agli # che utilizziamo.

[1] Altri esempi di hashtag registrati sono #Rio2016 dal Comitato Internazionale delle Olimpiadi, #makeitcount da Nike, e #McDstories da McDonald’s.

 

Lucrezia Berto

Classe 1992, piemontese di nascita ma milanese d’adozione, si laurea nel 2016 in giurisprudenza alla School of Law dell’Università Bocconi. Dopo l'inizio della carriera professionale negli Stati Uniti e la pratica forense presso uno dei principali studi legali milanesi, decide di seguire le sue passioni iscrivendosi all’LL.M in Law of Internet Technology dell’Università Bocconi. Attualmente vive in Spagna, a Barcellona, dove si occupa di consulenza in materia IP, IT e Data Protection a startup ad alto livello tecnologico. Appassionata di nuove tecnologie, proprietà intellettuale e big data, è un’amante dei viaggi e dello sport. Contatto: lucrezia.berto@iusinitinere.it

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