giovedì, Aprile 25, 2024
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Recensione a Valentina M. Donini, “Prevenzione della corruzione”, Carocci Editore

A  cura di Laura Valli

In questo volumetto, Valentina Donini ha raccolto i frutti della sua pluriennale esperienza di studiosa e docente della SNA, nonché’ di appassionata organizzatrice e sostenitrice di importanti iniziative nella lotta alla corruzione e diffusione della legalità nel nostro paese.

Succede raramente a chi si occupa di anticorruzione da tempo, di leggere un libro sul tema senza annoiarsi un minuto e, alla fine, pensare: “ah, ecco qui tutto quello che c’è da sapere in 180 pagine!”. Non solo per completezza, ma per precisione e chiarezza e per la capacità di riportare il lettore ai principi che reggono tutta questa complicata materia, a ciò che è importante ricordare.

A partire dalla definizione di corruzione come tradimento. Richiamando la tradizionale teoria principale/agente, ci viene ricordato che il politico o il pubblico dipendente che perseguono interessi propri o di chi sta loro vicino tradiscono la fiducia degli elettori e cittadini che a quel soggetto hanno mandato la cura della cosa pubblica. Da qui, le conseguenze nefaste della corruzione sugli stessi sistemi democratici. Da qui, anche, la premessa essenziale di ogni azione anticorruzione: la supremazia dell’interesse comune rispetto a quello del singolo che assume funzioni pubbliche implica necessariamente limitazioni di diritti e interessi secondari che possano confliggere anche solo potenzialmente o apparentemente con quello primario.

Ovvero, il lavoro pubblico come servizio e non privilegio.

Da questa premessa, il libro ci racconta l’evoluzione dei principali strumenti per la prevenzione della corruzione così come previsti dall’ordinamento italiano (trasparenza, whistleblowing, rotazione, pantouflage, conflitto di interessi e codici di comportamento), passando per un accurato inquadramento internazionale. Di nota è l’aggiornamento della strategia anticorruzione decentrata del nostro paese con la recente normativa PNRR, dove troviamo (finalmente!) descritti a chiare lettere PIAO, valore pubblico, ruolo degli RPCT (e come non lasciarli soli) e difficile bilanciamento tra semplificazione ed efficace prevenzione della corruzione.

Un libro da tenere sul tavolo di lavoro. Per chi lavora nell’anticorruzione, gli amministratori pubblici, gli RPCT, i rappresentanti della società civile. E per chi le leggi le scrive e le applica.

Leggendo il capitolo sul whistleblowing, per esempio, viene da pensare che di quella chiara e completa esposizione della ratio e degli elementi essenziali dell’istituto (interesse pubblico/interessi privati, inversione dell’onere della prova, risarcimento del danno a seguito di reintegrazione nel posto di lavoro) potrebbero beneficiare avvocati e giudici ordinari e amministrativi nella loro quotidiana applicazione a casi di comportamenti ritorsivi nei confronti di segnalanti.

O il legislatore quando riforma il conflitto di interessi nello schema del nuovo codice dei contratti, eludendo la ormai assodata definizione dello stesso (non solo OCSE 2003, ma Cons. di Stato, V, sent. n. 3415/2017), secondo la quale il conflitto può essere attuale o apparente, ma soprattutto  potenziale (il conflitto di interessi è una “mera situazione” che va gestita “non solo correttamente, ma anche precocemente, prima che diventi corruzione”, ci spiega bene Valentina). Con ciò “dimenticando” appunto la cosa più importante: se non si persegue il conflitto quando questo non è ancora attuale si elude il fine di combattere la corruzione in via preventiva.

Dimenticando, altresì, che il diabolico onere probatorio previsto a carico di chi solleva il conflitto e’ in aperto contrasto con la giurisprudenza della CGUE quando dice: «per quanto riguarda il regime probatorio … l’Amministrazione aggiudicatrice è, in ogni caso, tenuta a verificare la sussistenza di eventuali conflitti di interessi e ad adottare le misure adeguate al fine di prevenire, di individuare i conflitti di interesse e di porvi rimedio. Orbene, sarebbe incompatibile con siffatto ruolo attivo far gravare sulla ricorrente l’onere di provare, nell’ambito del procedimento di ricorso, la parzialità concreta degli esperti nominati dall’Amministrazione aggiudicatrice [ovvero dei suoi dipendenti]. Una soluzione del genere sarebbe del pari contraria al principio di effettività e al requisito di un ricorso efficace di cui all’articolo 1, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 89/665, tenuto conto della circostanza che, segnatamente, un offerente, di norma, non è in grado di avere accesso a informazioni e a elementi di prova tali da consentirgli di dimostrare una siffatta parzialità» (sez. V, sent., 12 marzo 2015, C538/13).

E grazie ancora a Valentina per ricordarci cosa è importante ricordare.

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