venerdì, Aprile 19, 2024
Diritto e Impresa

Recesso e autonomia privata

Come noto, la normativa introdotta con la riforma societaria del 2003 ha radicalmente innovato la previgente disciplina sul recesso nelle società di capitali, ampliando i casi tipici e ammettendo la legittimità di ipotesi statutarie, c.d. convenzionali. Secondo l’ormai consolidato orientamento della Giurisprudenza di legittimità, il recesso, sia qualora trovi la propria fonte nella legge, sia che abbia natura convenzionale, costituisce un atto unilaterale recettizio, attraverso cui il socio – avente diritto – manifesta la propria volontà di sciogliersi dal rapporto sociale. Pertanto, si ritiene che sia revocabile fino a quando la raccomandata recante la relativa dichiarazione non giunga alla società.[1] [2]

In particolare, il recesso è una delle forme di tutela dei soci di minoranza avverso il c.d. ‘’principio maggioritario’’ che governa le società di capitali (è uno strumento di disinvestimento alternativo all‘alienazione della partecipazione).[3] [4] Difatti, va rilevato che il diritto di recedere dalla società, con la riforma societaria, è divenuto la legittima, nonché principale, reazione del socio dissenziente ai cambiamenti, sostanziali, della società. Il recesso è disciplinato dagli articoli 2437 c.c. (S.p.A.) e 2473 c.c. (S.r.l.) dai quali possono desumersi quattro categorie: le fattispecie legali inderogabili; le fattispecie legali derogabili (solo nelle S.p.A.) per disposizione statutaria (c.d. cause suppletive di recesso); il recesso ad nutum; e, infine, le fattispecie c.d. convenzionali di matrice statutaria.

La disciplina del recesso presenta sostanziali divergenze tra le società per azioni e le società a responsabilità limitata: difatti, mentre l’art. 2473, comma I, c.c., prevedendo che ‘’[…] L’atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità […]’’, predilige l’autonomia privata – ossia le c.d. fattispecie convenzionali – rimettendo all’autonomia statutaria l’individuazione delle ipotesi di recesso e delle modalità di esercizio del diritto (nel caso in cui lo statuto non preveda le modalità e i termini per l’esercizio di tale diritto saranno applicabili, in via analogica, quelle previste per le società per azioni);[5] [6] diversamente, l’art. 2437 c.c. favorisce le ipotesi di recesso legali, prevedendo numerose fattispecie inderogabili (comma I) e introducendo, altresì, la nullità di ogni patto contrario (comma VI). Tuttavia, il Legislatore non ha precluso, come per le S.r.l., la possibilità di un intervento dell’autonomia privata, legittimando la possibilità di introdurre le c.d. fattispecie convenzionali e di disciplinare, laddove possibile, la modalità e i termini dell’esercizio del recesso legale (art. 2437, comma IV, c.c.). Ancora, un’ulteriore differenza tra le due tipologie societarie è la previsione contenuta nel secondo comma dell’art. 2437 c.c. che disciplina per le sole S.p.A. le c.d. fattispecie legali derogabili: ‘’[…] salvo che lo statuto non preveda diversamente, hanno diritto di recedere i soci che non hanno concorso con l’approvazione delle deliberazioni [riguardanti]’’ la proroga del termine e l’introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari. Pur nella loro diversità le due tipologie societarie presentano fattispecie comuni di recesso (a titolo esemplificativo: una delle fattispecie comuni è collegata alla possibilità, introdotta nel 2003, di prevedere società a tempo indeterminato, in tal caso, il socio ha diritto di recedere con un preavviso non inferiore ai 180 giorni, che lo statuto può elevare fino ad un anno;[7] ulteriori fattispecie comuni sono previste dall’art. 2497 c.c. in relazione ai casi di coordinamento di società di capitali).[8]

La complessiva rivisitazione della disciplina del recesso ha concesso ampi spazi all’intervento dell’autonomia privata, favorendo il disinvestimento del socio allo scopo di favorire l’investimento nelle società di capitali.[9] La riforma societaria si è posta in contraddizione con gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza prevalente che escludevano l’ammissibilità di ipotesi statutarie, affermando come l’uscita del socio dalla società, oltre a essere un ostacolo allo sviluppo della stessa, comportando un depauperamento del capitale sociale, fosse un fatto negativo per i creditori (c.d. principio di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale). Tali orientamenti erano oltremodo pregiudizievoli per i soci di minoranza che subivano, senza poter reagire, le variazioni dell’assetto organizzativo e amministrativo della società. Diversamente, il Legislatore ha ritenuto che la facoltà di prevedere ulteriori fattispecie statutarie favorisca le esigenze della singola società, dei soci e dei possibili investitori, consentendo di modulare le ipotesi di recesso in relazioni alle specifiche caratteristiche della società.[10] Peraltro, giova ricordare come l’introduzione di una causa di recesso c.d. statutario non comporti per il socio il solo diritto contenuto nella clausola, bensì anche la possibilità di poter recedere dalla società in presenza di una delibera assembleare di rimozione di tale previsione statutaria.

La nuova disciplina consente all’autonomia privata, oltre alla possibilità di prevedere ulteriori fattispecie,[11] anche di derogare a fattispecie legali e di definire le modalità e i termini di esecuzione del diritto in esame. Nello specifico, il legislatore, legittimando l’introduzione di modifiche statutarie che rendono più gravoso il diritto di recesso, ha concesso – a tutela della società – la possibilità di ridurre la protezione accordata al disinvestimento del socio.[12]

Invero, l’autonomia statutaria incontra un limite nelle fattispecie legali inderogabili; infatti, queste sono scarsamente permeabili a un intervento di autonomia privata se non in termini di agevolazione dell’esercizio del recesso, attraverso la previsione di modalità o termini meno gravosi per il socio avente diritto.[13]

Detto ciò, per comprendere l’ampiezza di tale limite si deve – per le S.p.A. – analizzare la portata del comma sesto, dell’art. 2437 c.c., che prevedendo la nullità di ‘’[…] ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l’esercizio del diritto di recesso […]’’ sottende l’impossibilità di derogare alle fattispecie inderogabili tramite disciplina statutaria. Difatti, è controversa la possibilità di estendere tale previsione fuori dai casi espressamente disciplinati dall’art. 2437 c.c., al comma I. Ebbene, la legittimità di un’interpretazione estensiva di tale previsione deve essere valutata avendo riguardo al caso specifico, analizzando la ratio ‘’caso per caso’’ della specifica tipologia di recesso legale. In particolare, ai fini della valutazione della legittimità di una clausola derogatoria è necessario valutare se l’assenza di un’espressa nullità/inderogabilità risulti coerente con la funzione dello specifico istituto e con la protezione degli interessi indisponibili tutelati dalla specifica disposizione. In estrema sintesi per affermare la legittimità di una clausola statutaria di esclusione della facoltà di recesso – fuori dai casi espressamente previsti dall’art. 2437, comma I, c.c. – bisogna valutare se l’interesse del socio considerato dalla specifica norma sia tutelato esclusivamente dal diritto di recesso o, invece, siano previste ulteriori e differenti forme di tutela.[14] Invero, la dottrina maggioritaria, abbracciando la c.d. funzione unitaria del recesso, tende a escludere l’applicazione estensiva della tutela prevista dal comma VI alle ipotesi non disciplinate dal comma I.[15] La diversità tra le due tipologie societarie va colta, oltre che nell’inversione del rapporto autonoma privata/recesso legale, anche in relazione alla nullità di clausole c.d. derogatorie delle fattispecie legali. Difatti, non esiste una disposizione simile a quella introdotta dal comma VI dell’art. 2437 c.c. ma, nell’assoluta mancanza di una previsione analoga, si possono avvicinare analogicamente le due discipline grazie alla previsione ‘’[…] in ogni caso […]’’ (art. 2473 c.c., comma I): tuttavia, tale disposizione si riferisce – diversamente dal comma VI dell’art. 2437 c.c. – alla sola previsione dell’esclusione del diritto di recesso e non alla possibilità di introdurre convenzionalmente modalità o termini più gravosi per l’esercizio dello stesso. Difatti, le differenze strutturali dei due tipi societari tendono a giustificare un’ampiezza maggiore di intervento dell’autonomia privata nella società a responsabilità limitata.

Concludendo, va affermato come le ragioni che limitano l’intervento dell’autonomia statutaria in tema di fattispecie di recesso legale non hanno alcuna ragione di sussistere in caso di recesso convenzionale, nel duplice senso del pieno riconoscimento dell’autonomia statutaria di elaborare ulteriori fattispecie, nonché di configurarne liberamente la disciplina.[16]

Dott. Antonio Scorzolini

[1] Precedentemente alla riforma societaria del 2003 la giurisprudenza di legittimità si era espressa per l’irrevocabilità della dichiarazione di recesso (Cass. n. 5548/2004).

[2] Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 188-2011/I

[3] Cass. Civ., Sez. I, 3 novembre 2017, n. 26190

[4] L. GENGHINI, P. SIMONETTI, Manuali Notarili a cura di L. Genghini, La Società di Capitali e le Cooperative, Tomo II, pag. 933 e ss

[5] M. GABELLI, Società, IPSOA, Guide e Soluzioni, pag. 1067 e ss, 2018

[6] F. CARINGELLA, L. BUFFONI, Manuale di Diritto Civile, Dike 2017, pag. 1853

[7] P. BUTTURINI, Le fattispecie legali di recesso introdotte dalla riforma delle società di capitali

[8] V. SALAFIA, il recesso del socio dalle società soggette a direzione e coordinamento, Riv. Le Società, n. 2/2015.

[9] Cass. Civ., Sez. I, del 1 giugno 2017, n. 13875

[10] P. ABBADESSA, G. PORTALE, Le società per Azioni, codice civile e norme complementari, 2497 e ss

[11] Secondo il Consiglio notarile di Milano lo statuto può limitarsi a prevedere genericamente un recesso per giusta causa o, addirittura, senza causa, c.d. ad nutum.

[12] G. A. M. TRIMARCHI, Autonomia privata e recesso dalle società di capitali, Riv. Notariato, n. 2/2017

[13] M. S. RICTHER, Diritto di recesso ed autonomia Statutaria, Riv. dir. comm. 2004, I

[14] Si veda l’analisi svolta in merito alla validità delle clausole di esclusione della facoltà di recesso da G. A. M. TRIMARCHI, Autonomia privata e recesso dalle società di capitali, Riv. Notariato, n. 2/2017, pag. 130 e ss.

[15] P. GHINI, Il recesso dei soci nelle società di capitali, Azienda & Fisco, n. 23/2005

[16] P. REVIGLIONO, il recesso nelle società a responsabilità limitata, Giuffrè, 2008

Dott. Antonio Scorzolini

Laureato in Giurisprudenza presso la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli, è iscritto presso l’Ordine degli Avvocati di Roma per il prescritto tirocinio di pratica forense. Dal 2017 si occupa di diritto societario lavorando come trainee presso la law firm internazionale Lexxat. Contatti: antonio.scorzolini92@gmail.com

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