Reti professionali come soluzione innovativa dopo la pandemia da COVID-19
Ormai dal 2009 e con lo strumento del contratto di rete[1], il legislatore italiano ha introdotto nell’ordinamento giuridico i cc.dd. network di imprese, soluzioni intriganti sia rispetto all’evolversi repentino della tecnologia, che avrebbe reso possibile tale scopo, sia per le caratteristiche del tessuto imprenditoriale italiano, da sempre costellato di microimprese e PMI[2]. Le piccole imprese italiane erano caratterizzate già, per prassi e per i settori di riferimento, da un’ampia collaborazione che consentiva una maggiore fluidità nella circolazione di beni e servizi per mera consuetudine, senza alcun riconoscimento normativo. Lo strumento del contratto di rete, nelle intenzioni del legislatore, è stato pensato per rafforzare la cooperazione fra imprese allo scopo di renderle maggiormente resistenti alle difficoltà contingenti del mercato, ampliando così il ventaglio delle forme di collaborazione imprenditoriale[3].
La caratteristica della rete di imprese, rispetto alle preesistenti forme di collaborazione, è quella della possibilità di stabilire, attraverso un piano strutturato, un programma chiaramente enunciato, condiviso fra i contraenti e monitorabile in fase di attuazione[4]. Inoltre, grazie al contratto di rete i terzi (soggetti pubblici o privati) possono facilmente conoscere tali accordi e valutare l’efficacia del programma.
Con il contratto di rete, che ha lo scopo di “accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”, i contraenti si prefiggono di stabilire un programma di rete con il quale collaborare in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese, scambiare informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica, ovvero esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa[5]. Inizialmente pensato solo per le imprese, è stato recentemente esteso anche ai professionisti, sia in forma ibrida (rete imprese-professionisti), sia in forma esclusiva (rete di soli professionisti).
Per quanto riguarda l’organizzazione della rete, la legge si limita a rinviare al contenuto del contratto per quanto concerne la determinazione delle regole relative all’assunzione delle decisioni dei partecipanti su materie o aspetti di interesse comune, così come facoltativa rimane la costituzione di uno specifico organo che gestisca in nome e per conto dei partecipanti l’esecuzione del contratto o di singole fasi dello stesso[6].
Nel contesto della fase interlocutoria dell’emergenza dovuta alla pandemia da COVID-19, la rete pare offrire spunti interessanti per un’attività sinergica e solidale delle imprese; in questo senso è importantissimo che l’attività esterna della rete sia facilmente conoscibile dai – e opponibile ai – terzi. Il legislatore, sul punto e nella specifica ipotesi di network di imprese, ha previsto l’obbligo di una denominazione e una propria sede determinati nel contratto, nonché un organo esecutivo e un fondo patrimoniale comune. La rete può o meno essere fornita di una soggettività giuridica distinta dai partecipanti, nel primo caso richiedendo come pubblicità costitutiva l’iscrizione nel registro delle imprese[7]. Qualora si scelga di conferire personalità giuridica alla rete, l’organo esecutivo ne ha la legale rappresentanza e il network di imprese potrà assumere in proprio diritti e obblighi.
Sotto il menzionato profilo dell’opponibilità ai terzi della soggettività della rete, si registra tuttavia una diversificazione tra le reti di imprese e le reti di professionisti, che pure più di recente hanno trovato il ricercato riconoscimento legislativo. Soprattutto nella società dei servizi dematerializzati, infatti, avrebbe poco senso non riconoscere ai prestatori di servizi ad alto contenuto di specializzazione e di contenuto intellettuale la possibilità di operare su vasta scala e senza la necessità di generare un mercato a compartimenti stagni, specie a seguito del lockdown. In questo senso, gli intermediari tecnici del servizio-giustizia per eccellenza, gli avvocati, hanno dovuto orientare particolarmente gli sforzi lavorativi verso l’aspetto consulenziale della professione, non essendo a lungo stato possibile (tuttora permangono in Italia situazioni a macchia di leopardo) continuare nell’ordinaria attività di difesa rispetto al contenzioso di ogni genere presso i Tribunali. In particolare, non è possibile, per dei professionisti – che come tali non hanno a che vedere con la Camera di commercio – fornire una specifica soggettività giuridica al network, in quanto per i professionisti non esiste alcuna norma che disponga o permetta l’iscrizione degli stessi presso il Registro delle imprese, interpretazione avallata anche dal Ministero per lo Sviluppo Economico[8].
Di norma, la soggettività giuridica non è di grande interesse per i professionisti, che scelgono il modello reticolare semplicemente sulla base di esigenze tecnico-organizzative. Tuttavia, la partecipazione a bandi e a procedure per lavori e incarichi, in cui sussista la possibilità di frapporre una cesura tra il patrimonio personale e gli obblighi derivanti dall’esercizio dell’attività “in rete”, può costituire un’ipotesi per la quale è sicuramente determinante una limitazione delle responsabilità individuali e una patrimonializzazione della rete in virtù delle sue caratteristiche[9].
In realtà, una soluzione in chiave interpretativa potrebbe già esistere ed è stata studiata nel 2011 dalla Fondazione italiana del Notariato[10]. In particolare, viene ventilata come possibile l’ipotesi in cui venga costituita ad hoc una società che raccolga tra i partecipanti alla rete (soli professionisti) il patrimonio da destinare alla stessa e lo custodisca, né più né meno, come una “cassaforte”. Non avendo alcun compito di gestione dello stesso (poiché le attività gestorie rimangono proprie dell’organo esecutivo della rete), la sua attività si esaurirebbe nella sola detenzione e custodia del bene: una vera e propria “società senza impresa” ovvero “di mero godimento” che – nel rispetto delle norme deontologiche – potrà essere costituita tra i professionisti partecipanti alla rete nella forma anche della società semplice prevista dagli artt. 2251 ss. c.c. (l’affermazione del 2011 troverà conferme successive negli studi del Consiglio Nazionale del Notariato nn. 69/2016-I, 73/2016-I e 92/2016-T).
Mediante questa struttura, seppur non proprio lineare, le reti professionali potranno agire come unicum in panorami territoriali variegati, limitando, qualora necessario, la propria responsabilità individuale nel compimento di atti o negozi giuridici che presuppongano o favoriscano tale scelta, nel rispetto pieno della deontologia professionale e secondo i meccanismi di deliberazione propri del contratto di rete, sui cui contenuti la legge lascia moltissima libertà di determinazione.
[1] Le reti (o network) di imprese sono possibili grazie al contratto di rete. La disciplina è principalmente contenuta nell’art. 3, commi 4-ter, 4-quinquies, d.l. 5/2009, conv. con l. 33/2009 e modificato numerose volte nel corso degli anni, da ultimo con il d.lgs. 81/2017 (c.d. Jobs Act del lavoro autonomo, a coronamento della riforma del diritto del lavoro portata avanti dal governo Renzi). Sul punto v. anche A. Rovesti, “Il contratto di rete”, in Ius in itinere, 2 novembre 2017, consultabile qui: https://www.iusinitinere.it/il-contratto-di-rete-5639.
[2] Piccole e medie imprese.
[3] Altre forme di collaborazione tra imprese, anche preesistenti, sono quelle dei consorzi fra imprenditori ai sensi dell’art. 2602 c.c., con i quali gli imprenditori istituiscono “un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento delle rispettive imprese”, oppure le cc.dd. joint ventures, caratterizzate da un’attività delle aderenti finalizzata al raggiungimento di uno scopo.
[4] G.F. Campobasso, Diritto commerciale, 1, Diritto dell’impresa, 2013, 7° ed., 294, op. cit.
[5] Art. 3, comma 4-ter, d.l. 5/2009 come modificato dal d.l. 78/2010.
[6] G.F. Campobasso, Diritto commerciale, 297, cit.
[7] Cfr. anche “Rete tra professionisti: sì, ma senza pubblicità”, consultabile su , articolo pubblicato dalla Redazione il 31 gennaio 2020.
[8] Nessun professionista è, per propria natura, a norma dell’articolo 2082 c.c., iscrivibile al registro delle imprese (ai sensi dell’art. 7, co. 2, lett. a), n. 1 del D.P.R. n. 581/1995, oltre che del R.D. 4 gennaio 1925, n. 29 e del D.M. 9 marzo 1982), elemento, questo, confermato anche dalla lettera circolare del MISE n. 3707/C del 30 luglio 2018, laddove espressamente afferma “[…] a legislazione invariata, pertanto, appare possibile – a fini pubblicitari – la sola creazione di contratti di rete misti (imprenditoriali – “professionali”), dotati di soggettività giuridica, come descritti al comma 4 quater del ridetto articolo 3 del D.L. 5/2009”.
[9] P. Palmaccio, Il contratto di rete tra professionisti: la montagna ha partorito il topolino? Una possibile soluzione operativa, in Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, novembre 2018, consultabile qui .
[10] Il contratto di rete” – Atti del Convegno tenutosi a Roma il 25 Novembre 2011 (N. 1/2012) – intervento “Il regime patrimoniale delle reti” di Mirzia Bianca, Ordinario di Diritto Privato Università di Roma “La Sapienza”.
Laureato a pieni voti presso l’Università di Pisa, è abilitato alla professione di Avvocato.
Consegue nel gennaio 2018 il Master Universitario di 2° livello (CMU2) in Internet Ecosystem: Governance e Diritti presso l’Università di Pisa in collaborazione con il CNR-IIT, nell’ambito del quale svolge un tirocinio formativo presso il Servizio Affari Legali e Istituzionali della Scuola Normale Superiore, occupandosi di data protection e, in particolare, dell’applicazione del GDPR nel settore pubblico. Discute una tesi relativa all’applicazione del GDPR nelle Università statali e i conflitti con la trasparenza amministrativa dopo il decreto FOIA (d.lgs. 97/2016).
Ha collaborato con diversi studi legali nel ramo del diritto civile e commerciale, da ultimo specializzandosi nel contenzioso bancario e nelle soluzioni innovative per la previsione della crisi aziendale.
Ad oggi è funzionario presso l’Istituto Nazionale Previdenza Sociale, sede provinciale di Venezia, occupandosi di vigilanza documentale e integrazioni salariali. All’interno dell’Istituto collabora altresì con la Direzione Centrale Audit e Monitoraggio Contenzioso, svolgendo attività di internal auditing.
e-mail di contatto: edoardo.palazzolo@iusinitinere.it