giovedì, Marzo 28, 2024
Di Robusta Costituzione

Riforma del Senato: verso quale bicameralismo?

a cura di Francesco Galanti

 

  1. Una nuova riforma del Parlamento

Lo scorso 8 luglio il Parlamento ha approvato una nuova legge di revisione della Costituzione, con la quale sarà permesso anche ai diciottenni di votare per eleggere il Senato della Repubblica, modificando l’articolo 58 della legge fondamentale, che ad oggi dispone il vincolo dei 25 anni. Una riforma dettata dalla promessa della classe politica di avvicinare le istituzioni ai giovani, aumentando l’attenzione del legislatore alle esigenze dei nuovi elettori e dando loro maggiore voce e partecipazione [1].

Un’ulteriore riforma della Costituzione, a poca distanza temporale da quella approvata dagli elettori lo scorso 20 e 21 settembre, che ha ancora una volta come destinataria la struttura del Parlamento: ridotto il numero di rappresentanti prima e aumentato il bacino di elettori della camera alta oggi. Nessuna riforma, invece, al momento, ha intrapreso l’iter per mettere mano al funzionamento o alle competenze delle assemblee legislative, anche se da tempo attesa e annunciata. Dalla bocciatura della legge costituzionale nel 2016, che revisionava circa un terzo della Carta fondamentale e superava il sistema bicamerale paritario, il legislatore ha deciso di licenziare riforme più mirate e dettate dalla “parsimonia”, con l’intento di revisionare solamente piccole disposizioni alla volta [2].

A differenza della riforma sul taglio dei parlamentari, quella dell’8 luglio non ha suscitato un dibattito pubblico, né l’attenzione della stampa e delle televisioni, né di comitati che intendessero raccogliere le firme per indire un referendum (cosa quest’ultima legittima, dal momento che le Camere non hanno approvato il testo della riforma con una maggioranza dei due terzi come previsto dall’articolo 138 della Costituzione). Il testo della legge di revisione potrà essere promulgato e per la prossima legislatura, dunque, circa 4 milioni di giovani elettori voteranno anche per il Senato. 

Tuttavia, alla luce della storia della Costituzione, dei lavori della Costituente e delle nuove riforme che la classe politica e molti giuristi ed intellettuali reclamano, il voto ai diciottenni per la seconda camera deve fare riflettere sia sull’impatto che tale riforma potrebbe avere, sia sulla direzione che ha intrapreso il legislatore moderno sul tema della struttura del Parlamento.

La struttura bicamerale originaria ha subìto nel tempo mutazioni non indifferenti che, seppure non riguardanti le funzioni di ciascuna Camera, hanno influenzato i rapporti fra le Camere e gli elettori, fra le Camere e il Governo e fra le Camere stesse; oggi pare di avere un bicameralismo “perfettissimo”. Fra le tante riforme costituzionali fino ad oggi approvate, solo quelle che accorciano la distanza fra le Camere sono state poi introdotte, mentre quelle che introducevano drastiche differenze sono state bocciate dagli elettori.

 

  1. Evoluzione del bicameralismo repubblicano italiano

Dal 1948 ad oggi il Parlamento repubblicano ha subìto solo delle lievi revisioni e spesso per questo motivo non commentate a fondo, in attesa forse di una più generale e incidente riforma del sistema bicamerale o, addirittura, della forma di governo. In tutti i manuali di diritto il nostro sistema è descritto come “bicamerale perfetto” o “paritario”, facendo riferimento al ruolo identico che le due Camere svolgono in ambito legislativo e nel controllo del governo. Tale aspetto andrebbe, tuttavia, accostato all’analisi delle differenze strutturali che intercorrono fra le due assemblee, che almeno nel primo testo della Costituzione, quello del 1948[3], erano maggiori rispetto a quelle odierne. Nel corso degli ultimi decenni si è sempre più assottigliata la differenza fra Camera e Senato, fino a divenire del tutto irrilevante. I padri e le madri costituenti, infatti, se avevano affidato alle due Camere un identico potere legislativo e di controllo dell’esecutivo, avevano anche introdotto differenze “genetiche” non irrilevanti, riconducibili ai seguenti aspetti:

  1. durata del mandato
  2. elettorato attivo
  3. composizione interna
  4. sistema elettorale

Al primo aspetto va ricondotta la differenza di durata del mandato dei senatori, inizialmente prevista dall’articolo 60, comma 1, della Costituzione del 1948:

“La Camera dei deputati è eletta per cinque anni, il Senato della Repubblica per sei.”.

Tuonava Nitti nelle sedute della Costituente, dove si esaminò il progetto iniziale dell’articolo 60, che due Camere regolate allo stesso modo ed elette nello stesso momento sarebbero state inutili, se non dannose: un parlamento democratico non deve per forza avere una rigida uniformità fra le due Camere [4]. L’onorevole di Melfi, fine conoscitore dei sistemi parlamentari degli Stati Uniti e della Francia repubblicana, si oppose fortemente a due assemblee del tutto identiche nella struttura, non trovando nel mondo altre esperienze del genere (le Camere hanno sempre delle nette differenze strutturali).[5] Notava, infatti, che anche quelle italiane erano consessi che avrebbero concorso allo stesso fine, ma la loro funzione e i loro “atteggiamenti” sarebbero stati diversi[6] e, dunque, non sottoponibili alle medesime norme.

L’articolo 60, tuttavia, venne immediatamente neutralizzato attraverso l’istituto dello scioglimento delle Camere; i Presidenti della Repubblica infatti, nel 1953 e nel 1958 sciolsero entrambe le Camere, anticipando, così, quello del Senato, in modo da parificarne la fine e l’inizio del mandato per fini politici e di stabilità degli esecutivi. Più tardi venne, invece, approvata la legge costituzionale 9 febbraio 1963 n. 2, con la quale si dispose che le Camere restassero in carica cinque anni[7].

La diversa durata delle due Camere era stata approvata dalla Costituente perché, nel disegno iniziale, era prevista una diversa formula elettorale. Il costituente Lucifero intervenne in seduta, a sostegno della diversa durata delle Camere, affermando che era necessario impedire la simultaneità delle elezioni, per evitare di creare confusione all’elettore chiamato al voto per i deputati, attraverso il metodo proporzionale, e a quello per i senatori, attraverso metodo uninominale: erano preferibili elezioni non coincidenti. I cittadini avrebbero trovato difficoltà a votare con piena consapevolezza e, pertanto, era necessario dare al Senato una maggiore o minore durata rispetto alla Camera [8].

A ciò si univa l’idea, difesa da alcuni costituenti, di permettere ai cittadini di esprimersi in maniera volutamente “sfasata” nel tempo, per evitare, così, che si verificasse uno scollamento fra l’orientamento politico dell’elettorato e quello espresso dalle Camere: l’obiettivo era quello di tenere un contatto più diretto e più frequente con il Paese.

Parte dei costituenti non temeva che si potessero verificare cambiamenti dell’opinione pubblica tali che l’elezione delle Camere in due momenti diversi potesse mettere in pericolo la stabilità del Governo. Anzi, un eventuale mutamento profondo nel Paese era visto positivamente, perché il sistema non lo avrebbe ignorato, creando, in tal modo, una rappresentanza parlamentare perfettamente in linea con i cittadini[9]. Il resto è storia.

È importante, altresì, notare che ancora è presente una frase all’interno dell’articolo 88 della Costituzione, che lascia un piccolo spiraglio alla possibilità di sciogliere in tempi diversi e differiti le due Camere:

Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.”.

Quel “o anche una sola di esse” permetterebbe al Capo dello Stato di indire elezioni differite per ciascuna Camera. Il fatto, però, che tale azione non sia mai stata fatta, dimostra il disinteresse politico nel rischiare di ritrovarsi con due Camere non gestibili per la formazione di un esecutivo solido. Ciò che si ricerca oggi, infatti, è la “governabilità”. La disposizione costituzionale in questione, comunque, resta un indizio che dimostra l’iniziale volontà di dare al Senato un ruolo di contrappeso politico.

Per quanto attiene al secondo aspetto, va ricondotta, invece, la differenza di età fra gli elettori della Camera e quelli del Senato. Differenza neutralizzata, oggi, con la nuova riforma, che elimina la distanza di sette anni che separava gli elettori diciottenni dei deputati da quelli venticinquenni dei senatori della Repubblica. I costituenti vollero di proposito che il Senato rappresentasse sette classi annuali di cittadini in meno rispetto alla Camera, così da controbilanciare un’altra importante e peculiare disposizione: quella che eguaglia i senatori ai deputati quali rappresentanti della Nazione (ex art. 67 Cost). Ciò rappresenta una particolarità, che difficilmente ritroviamo in altri parlamenti bicamerali moderni[10].

In un’ottica che tiene conto del principio della sovranità popolare, dunque, il Senato italiano era (prima della recente riforma) progettato per essere meno rappresentativo dell’altra Camera, quale elemento di contrappeso nei giochi elettorali[11]: la differenza di elettorati ha contribuito a formare equilibri politici diversi fra le due assemblee nelle varie elezioni della storia repubblicana. Tali differenze nei risultati elettorali erano state previste dai costituenti, i quali pure volevano garantire stabilità agli esecutivi, ma al contempo ricercavano un freno al monopolio delle maggioranze “monocolori”.

Al terzo aspetto, la composizione interna, appartiene sia la presenza dei senatori a vita, sia l’età per essere eletti come senatori. Mentre per diventare deputato è sufficiente avere raggiunto il venticinquesimo anno di età, per essere eletto senatore è necessario avere quaranta anni. Inoltre, l’assemblea senatoria vede al suo interno la presenza di membri non elettivi e vitalizi, a differenza della Camera che è totalmente elettiva.

Tali aspetti differenziali fra le Camere affondano le loro radici e la loro ragion d’essere per lo più nella storia: il Senato, per antonomasia, è l’assemblea degli “anziani” della comunità e, pertanto, di età superiore rispetto ad altre istituzioni. Pensarono bene i costituenti, dunque, di aprire il Senato solo ai politici con età superiore rispetto a quelli della Camera e, magari, con una maggiore esperienza e saggezza.

I senatori a vita, invece, sono un antico strascico del Senato del Regno d’Italia, dove sedettero membri nominati dal sovrano fino al 1945[12]. La loro figura venne ripresa in chiave repubblicana e meritocratica, disponendo per il Capo dello Stato il potere di nominare come senatori a vita concittadini resisi illustri per alti meriti (nonché riservando tale incarico per gli stessi Capi di Stato emeriti). Una carica, oggi, spesso criticata e descritta come anacronistica[13], ma solo ridimensionata, con una riforma del 2020 che limita a cinque il numero dei senatori a vita in carica, eliminando ogni vecchia libertà interpretativa. A tali critiche, tuttavia, fa da contraltare una Camera dei Lords completamente di nomina regia nel Regno Unito, considerato anche in Italia come la “patria del parlamentarismo”[14].

Tuttavia, oltre al fattore storico, è pur vero che i costituenti pensavano al Senato come ad una camera “riflessiva” e, dunque, lontana dalle battaglie o dagli scontri fra partiti[15]: una camera dove controllare l’operato legislativo dell’altra, correggerlo, migliorarlo, bloccarlo se dannoso. E, invece, spesso è proprio nel Senato che gli esecutivi cadono o rischiano di cadere per via delle maggioranze meno solide di quelle della Camera dei deputati.  Non pochi erano i costituenti democristiani che guardavano al Senato come ad una assemblea di “eminenti”, in grado di contrapporsi ai politici, meno riflessivi e saggi[16]. Il ruolo “pedagogico” del Senato oggi è stato superato anche dal comportamento degli stessi partiti, che guardano al limite d’età per la candidatura come senatore (quaranta anni) solo come ad un mero strumento di convenienza elettorale della “vecchia guardia”.

Infine, per il quarto aspetto, il sistema elettorale, la differenza introdotta dai padri costituenti è quella disposta dall’articolo 57 comma 1 della Costituzione:

Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale…”

Diversamente dai deputati, infatti, i senatori sono eletti secondo una legge elettorale che distribuisce i seggi non su base nazionale, ma su base regionale. Questa è, forse, una delle maggiori differenze che divide le due Camere e che permette ancora oggi di avere risultati elettorali diversi nelle due assemblee, con partiti che, spesso, ricevono meno voti che alla Camera[17].

L’elezione a base regionale dei senatori è l’approdo della iniziale idea, rimasta incompiuta, di costituire un Senato federale sul modello americano o, comunque, rappresentativo delle realtà territoriali, da contrapporre all’altra Camera, espressione dell’unità del popolo sovrano. Non aiuta il già ricordato articolo 67 della Costituzione, che definisce i parlamentari (deputati e anche senatori, dunque) quali rappresentanti della Nazione, senza affidare ai senatori il ruolo di portavoce dei territori.

L’elezione a base regionale, inoltre, oggi è contemperata dall’utilizzo di formule elettorali identiche per le due Camere; fatto, quest’ultimo, che va contro l’iniziale progetto di alcuni illustri costituenti come Nitti[18], che si vide approvare un ordine del giorno in Assemblea per progettare un sistema elettorale dei senatori con collegi uninominali. L’intento, poi disatteso, era quello di prevedere almeno per una delle due Camere l’utilizzo del sistema uninominale del 1919[19].

Infine, sulla possibilità di attuare la proposta di Nitti è stata messa una pietra tombale dalla Corte costituzionale [20] che, seguendo l’ormai inevitabile via dell’equiparazione fra le Camere, nel 2017 ha dichiarato che “la parità di posizione e funzioni delle due Camere elettive…se non impone al legislatore di introdurre…sistemi elettorali dentici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non ostacolino, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee” [21] .

  1. Conclusioni

Da anni negli ambienti politici si lavora per superare il bicameralismo paritario, proponendo svolte di tipo “asimmetrico”, con una camera con poteri legislativi e una con semplici poteri di veto, o addirittura svolte di tipo monocamerale, con l’abolizione del Senato[22]. Vi sono anche proposte che vorrebbero portare a maturazione quella embrionale idea, discussa, ma non attuata dai costituenti, di “Camera delle autonomie territoriali”, guardando al modello americano e, in generale, agli Stati federali[23]. La quasi totalità delle forze politiche ritiene ormai inutile mantenere due assemblee identiche fra loro nelle funzioni e nella struttura. Eppure, paradossalmente, fino ad ora tutte le riforme varate non hanno fatto altro che aumentare le uguaglianze fra le due Camere, rendendole sempre più una il doppione dell’altra. Oggi, a seguito dell’ultima riforma, sono rimaste solo due differenze fra Camera e Senato: il numero di componenti (quasi irrilevante per il tema delle diverse maggioranze di governo) e il sistema elettorale, che determinerà ancora una differenza di risultati elettorali fra le due Camere per ciascun partito, anche se di minore importanza e rilevanza.

Inoltre, è importante notare che, almeno fino ad oggi, la maggiore equiparazione fra le due Camere non è stata seguita da una maggiore stabilità del Governo: nessuno degli ultimi esecutivi ha goduto di maggioranze monopartitiche o di maggioranze immuni da “rimpasti” e rischi di elezioni anticipate. Dunque la parità fra le Camere non ha sventato il pericolo già annunciato dal costituente Piccioni, contrario sia ad una elezione “sfasata” delle Camere, sia ai rinnovi di “medio termine” del Senato[24]. È evidente, dunque, che alla revisione della struttura delle Camere è necessario accompagnare un’attenta riforma delle leggi elettorali.

La legge costituzionale di oggi, dunque, elimina un’asimmetria figlia di errori e compromessi del passato, oppure trasforma sempre più il Parlamento in un’istituzione piena di contraddizioni e di meccanismi bizantini? Ci si avvia verso un monocameralismo o verso un totale ripensamento dell’organo legislativo?

 

[1] N. Lupo, Il “mezzo voto” ai cittadini più giovani: un’anomalia da superare quanto prima, Osservatorio AIC, 2019.

[2]L. Spadacini, Prospettive di riforma costituzionale nella XVIII legislatura, in Astrid Rassegna, n. 13/2018 – link: http://www.riformeistituzionali.gov.it/media/1238/appuntospadaciniastridpub.pdf

[3]Costituzione della Repubblica italiana, 27 dicembre 1948 – link: http://www.senato.it/documenti/repository/relazioni/libreria/Costituzione_anastatica.pdf

[4] Resoconto stenografico della seduta dell’Assemblea costituente della seduta del 16 settembre 1947: https://www.nascitacostituzione.it/03p2/01t1/s1/060/index.htm – intervento dell’on. Nitti: “[…] Qui, se si dice: la Camera dei Deputati dura 5 anni, si deve ammettere che anche il Senato dura 5 anni. Non c’è nessuna ragione perché duri anch’esso 5 anni. Ma se non si accetta la stessa durata, pare che si offenda, come si dice, la democrazia. […] Noi pretendiamo che se il Senato duri cinque anni, la Camera deve durare cinque anni, e le due Camere devono essere regolate allo stesso modo, ciò che è non solo inutile ma anche dannoso. Democrazia non vuol dire uniformità”.

[5] Resoconto stenografico della seduta dell’Assemblea costituente della seduta dell’8 ottobre 1947: https://www.nascitacostituzione.it/03p2/01t1/s1/060/index.htm – intervento dell’on. Nitti: “[…] Quando io ho letto il progetto di Costituzione: la Camera dura cinque anni; il Senato dura cinque anni, non ho compreso più nulla. Io non conosco funzioni legislative di questa natura.”.

[6] Resoconto stenografico della seduta dell’Assemblea costituente della seduta del 9 ottobre 1947: https://www.nascitacostituzione.it/03p2/01t1/s1/060/index.htm – intervento dell’on. Nitti: “[…] Ora noi non possiamo dire che vogliamo in Italia sottomettere la Camera e il Senato alle stesse norme […] hanno funzioni del tutto diverse: concorrono allo stesso fine, ma la loro funzione, i loro atteggiamenti sono diversi.”.

[7] G. Guarino, Lo scioglimento anticipato del Senato, Il Foro Italiano, vol. 76, n. 5(1953).

[8] Resoconto stenografico della seduta dell’Assemblea costituente della seduta del 9 ottobre 1947: https://www.nascitacostituzione.it/03p2/01t1/s1/060/index.htm – intervento dell’on Lucifero: “Dovremmo impedire la simultaneità delle elezioni, cioè la confusione infinita che si creerebbe nel Paese per una contemporanea consultazione elettorale, col sistema proporzionale e col collegio uninominale, con l’incrociarsi e il confondersi delle due lotte politiche, per cui la gente, che non passa la vita su questi problemi, sarebbe nell’assoluta impossibilità di esprimere una opinione che significhi qualche cosa. Noi dobbiamo stabilire per il Senato una durata maggiore o minore, ma dobbiamo fare in modo che le elezioni non coincidano, altrimenti fabbricheremmo una Torre di Babele.”.

[9] Resoconti stenografici delle sedute dell’Assemblea costituente del 16 e 24 settembre e dell’8 e 9 ottobre 1947: https://www.nascitacostituzione.it/03p2/01t1/s1/060/index.htm

[10] L. Gianniti, N. Lupo, Corso di diritto parlamentare, Il Mulino, 2018, da pag. 53 a 56.

[11] A. Barbera, C. Fusaro, Corso di diritto costituzionale, quinta edizione, il Mulino, 2020, pag. 341.

[12] Statuto albertino – link: https://www.quirinale.it/allegati_statici/costituzione/Statutoalbertino.pdf

[13] G. Passarelli, de Il Riformista, Abolire carica di senatore a vita, retaggio di una concezione ereditaria del potere, 4 marzo 2021 – link: https://www.ilriformista.it/abolire-carica-di-senatore-a-vita-retaggio-di-una-concezione-ereditaria-del-potere-200748/ e anche R. Perotti, Perché i senatori a vita sono una pessima idea, 30 agosto 2013 – link: https://www.lavoce.info/archives/12200/perche-i-senatori-a-vita-sono-una-pessima-idea/

[14] G. de Vergottini, Diritto costituzionale comparato, decima edizione, Padova, Editore Cedam, 2019, da pag. 561 a 570 e da 663 a 673.

[15] Resoconto stenografico della seduta dell’Assemblea costituente della seduta dell’8 ottobre 1947: https://www.nascitacostituzione.it/03p2/01t1/s1/060/index.htm

[16]Progetto di Costituzione della Commissione dei 75 – link: https://www.nascitacostituzione.it/05appendici/01generali/02/002.htm

[17] legge n. 65, 2017. Risultati delle elezioni politiche 2018: https://elezioni.repubblica.it/2018/cameradeideputati

[18] Riferimenti in A. Barbera, La nuova legge elettorale e la “forma di governo” parlamentare, in Quad. cost., 2015

[19] A. Barbera, C. Fusaro, Corso di diritto costituzionale, quinta edizione, il Mulino, 2020, da pag. 339 a 341.

[20] A. Morrone, Il diritto costituzionale nella giurisprudenza, Cedam, 2020, da pag. 223 a 227.

[21] Corte costituzionale, sentenza n. 35, 25 gennaio 2017.

[22] Riforma costituzionale 2005 – link:

https://www.camera.it/cartellecomuni/leg14/RapportoAttivitaCommissioni/commissioni/allegati/01/01_all_leggecost.pdf

[23] Riforma costituzionale 2016 – link: https://documenti.camera.it/leg17/dossier/pdf/ac0500n.pdf

[24] Resoconto stenografico della seduta dell’Assemblea costituente della seduta del 9 ottobre 1947: https://www.nascitacostituzione.it/03p2/01t1/s1/060/index.htm

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