sabato, Aprile 20, 2024
Diritto e Impresa

Società benefit: un nuovo modello tra scopo lucrativo e finalità di beneficio comune. Possibile mezzo di finanziamento degli ETS?

a cura di Alessio Buontempo

  1. La genesi della società benefit

Sulla scorta della legislazione statunitense, con la legge di Stabilità 2016 (L. n. 208/2015)  è stata introdotta, all’interno del nostro ordinamento, una nuova disciplina in materia di società dando cittadinanza giuridica alla figura della c.d. società benefit (SB).

Ad avviso dei primi commentatori, il legislatore, mediante la SB,  avrebbe, in un certo senso, creato un nuovo paradigma societario mediante la coesistenza di una doppia anima: da un lato, l’esercizio dell’attività economica diretta alla distribuzione degli utili, dall’altro, il perseguimento di scopi di beneficio comune tramite lo svolgimento di una attività non necessariamente economica operando questa, invece, “in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse”.[1]

Il legislatore italiano ha dunque inteso superare la tradizionale concezione “monistica” delle società delineata dall’art. 2247 c.c. – ovvero“per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”- per approdare ad una concezione che in dottrina è stata definita come “pluralistisches Unternehmensinteresse” [2][3].

Il Legislatore positivizzando tale nuovo modello delle società con finalità di beneficio comune prova a dirimere questioni fondamentali connaturate al tradizionale concetto di impresa capitalistica , considerata da sempre come quel centro di imputazione di interessi in cui i soggetti coinvolti decidono in modo discrezionale con l’obiettivo di raggiungere il proprio egoistico interesse.

Diversamente con la Società Benefit i soci e i gestori si fanno carico di interessi di carattere generale dei terzi, che si aggiungono a quelli di massimizzazione del profitto.

Allo scopo di perseguire le finalità di beneficio comune e il fine lucrativo  la legge non crea un nuovo tipo di società, prevedendo la possibilità per ogni tipo di società prevista all’interno del codice civile di assumere la veste di società benefit, sia per quelle di nuova costituzione le quali devono indicare nel proprio oggetto sociale le finalità specifiche di beneficio comune che intendano perseguire, sia per quelle preesistenti che vogliono ‘trasformarsi’ in Società Benefit qualora intendano perseguire anche finalità di beneficio comune alle quali si richiede una modifica dell’atto costitutivo o dello statuto

Dunque la disciplina delineata totalmente dall’art.1 commi da 376 a 384 prevedono un assetto normativo ove la doppia anima si declina all’interno dell’oggetto sociale, nella governance dell’impresa e nell’enforcement.

 

2. Il perseguimento delle finalità di beneficio comune

Anche se è la disciplina stessa che qualifica la società con l’espressione “benefit”, l’art.1, al comma 379, precisa che l’utilizzo di tale nomenclatura accanto alla denominazione sociale, nei titoli emessi e nella documentazione e comunicazione verso terzi non è obbligatorio, in quanto ciò che realmente interessa è il perseguimento del beneficio comune.

Alla SB viene quindi concesso di fregiarsi di una “etichetta” che si pone solo come manifestazione esterna di un aspetto finalistico e organizzativo.

Dalla disciplina in esame emerge come il legislatore abbia prestato particolare attenzione  nel prevedere che la società benefit indichi come oggetto sociale il perseguimento di quelle specifiche finalità di beneficio comune a favore di una o più categorie, che si sostanziano “nel perseguimento di uno o più effetti positivi o la riduzione degli effetti negativi su una o più delle categorie considerate”.

A presidio di questo dovere – che caratterizza in modo essenziale la figura della SB – il legislatore richiede al comma 380 che la società individui uno o più soggetti responsabili a cui affidare compiti e funzioni finalizzati al perseguimento del beneficio comune (c.d. benefit director). In alcuni Stati americani il responsabile viene nominato tra gli amministratori della società; diversamente, in Italia la nomina dei responsabili sembrerebbe spettare agli amministratori, a favore di soggetti tanto interni quanto esterni.

Il comma 381 prevede che la mancata osservanza degli obblighi di cui al comma 380 possa costituire un inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge e dallo statuto, con l’applicazione del conseguente regime di responsabilità degli amministratori del tipo di società di cui fanno parte.

Sebbene non vi siano previsioni specifiche relative ai compiti o agli atti che il responsabile è tenuto a svolgere, specie in riferimento ad una sua eventuale autonomia di poteri rispetto alle prerogative attribuite agli amministratori della società – occorre evidenziare come gli amministratori ben potranno attribuire al responsabile ampi poteri e funzioni. Tuttavia l’attribuzione di poteri al responsabile non rende esenti gli amministratori da eventuali responsabilità nel caso di comportamenti posti in essere dal responsabile preposto che siano contrari alla gestione dell’impresa, finalizzata al bilanciamento dell’interesse dei soci con gli altri interessi coinvolti.  [4]

È da tener conto che il comma 381 richiama le disposizioni generali sulla responsabilità degli amministratori non solo nel caso in cui questi non nominano il responsabile, ma anche nel caso di inadempimento derivante dal mancato bilanciamento dell’interesse dei soci, perseguimento di finalità di beneficio comune e gli interessi delle categorie suddette.

Gli amministratori, dunque, come nel rapporto tra delegante e delegato non si spogliano della propria responsabilità, il benefit director non è soggetto autonomo di imputazione della responsabilità, in capo agli amministratori gravano gli stessi doveri imposti dalla legge agli amministratori di una qualsiasi società che non persegue il beneficio comune ma con alcune specificità derivanti dalla propria disciplina.

Incorrono in responsabilità anzitutto – per violazione del dovere di perseguire l’interesse sociale – quando  nei propri compiti gestori, anche attribuiti al benefit director, non tengono conto dell’impatto che le scelte poste in essere possano avere nei confronti dei diversi interessi previsti nello statuto sociale. Ma è ragionevole credere che anche nelle società benefit operando il principio della Business Judgement Rule non possono generare responsabilità degli amministratori le decisioni da loro assunte che solo ex post dovessero rivelarsi dannose o quantomeno erronee quando siano state adottate con la adeguata diligenza e nel perseguimento dell’interesse sociale.

Il profilo che forse pone maggiori difficoltà interpretative è quello di una eventuale responsabilità degli amministratori per inadempimento delle finalità di beneficio comune, le quali come è chiaro riguardano anche terzi estranei alla società. Ma la responsabilità nei confronti dei terzi deriva normalmente da un fatto illecito o da contratto, dall’atto costitutivo quale contratto sociale però non derivano obbligazioni nei confronti dei terzi, al massimo può configurarsi responsabilità degli amministratori nei casi in cui i terzi siano danneggiati direttamente da loro atti dolosi o colposi.

 

3. I profili della corporate social responsability (CSR) e enviromental, social and governance (ESG)

L’interesse degli investitori per imprese che abbiano come obiettivo quello di innovare il proprio sistema operativo per contribuire ad un maggiore benessere sociale e ambientale è fortemente aumentato negli ultimi anni. [5]

Tale interesse ha indirizzato le stesse imprese a focalizzarsi sui temi della Corporate Social Responsability (CSR) volti all’adozione di comportamenti socialmente responsabili, e proprio la normativa in esame realizza la CSR delle società, richiedendo la trasparenza delle politiche sociali che le imprese intendono perseguire entro i limiti posti dal sistema cosicché le “informazioni non finanziarie” hanno lo scopo tanto di far conoscere agli stakeholders l’impatto sociale dell’impresa, tanto ad indicare ai soci se gli  amministratori avessero operato per interessi diversi da quelli a scopo di lucro dei soci. [6]

A tali fini il comma 382 richiede che la società benefit rediga una relazione annuale che concerne il perseguimento delle finalità di beneficio comune da allegare al bilancio della società, tale disposizione ha il precipuo scopo di garantire un più elevato standard di trasparenza relativo alla realizzazione degli obiettivi perseguiti.

Deve quindi contenere:

i) la descrizione degli obiettivi specifici, delle modalità e delle azioni attuati dagli amministratori per il perseguimento delle finalità di beneficio comune e delle eventuali circostanze che lo hanno impedito o rallentato;

ii) una valutazione dell’impatto sociale generato attraverso l’uso di standard esterni di valutazione che rispondano a precisi requisiti e che abbiano per oggetto le specifiche aree di valutazione indicate dalla stessa legge44

iii) una sezione dedicata alla descrizione dei nuovi obiettivi che la società intende perseguire nell’esercizio successivo.

La relazione  la cui pubblicazione e conseguente conoscenza dei terzi avviene tramite l’allegazione al bilancio e la pubblicazione sul sito internet della società costituisce la modalità con cui la società diffonde le informazioni sulla propria attività, dando così la possibilità agli investitori di conoscere tutti i dati utili a valutare l’andamento dell’impresa e la possibile sostenibilità di un investimento.

L’ultimo comma della disciplina, il 384 stabilisce che l’apposita autorità di vigilanza sia l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato prevedendo che debba vigilare sul perseguimento delle finalità di beneficio comune, dunque la relazione si pone come ausilio per l’autorità di vigilanza per l’esercizio dei suoi poteri sanzionatori laddove le società utilizzino la denominazione ‘Società Benefit’ senza perseguire il Beneficio comune.

Al contempo si pone il tema dei criteri ESG, utilizzati sempre più frequentemente nella valutazione di un investimento non solo dal punto di vista economico ma anche in relazione a quegli aspetti -propri della società benefit – che riguardano l’impatto sull’ambiente e il territorio, le varie iniziative con impatto sociale, e infine aspetti inerenti all’amministrazione stessa della società.

Questi criteri permettono di formulare una classifica delle società italiane che più vi si adattano. Si tenga conto in proposito che dal 18 ottobre 2021 è presente un nuovo indice per le società quotate alla Borsa italiana chiamato MIB ESG che include tutte quelle società che rispettano i criteri ESG. [7][8]

 

4. Enti del terzo settore e società benefit

Preliminare è la necessità di tener presente che con la riforma del Terzo settore tramite il D.Lgs. 117/2017 c.d. Codice del Terzo Settore (CTS) è stato introdotta una definizione specifiche dell’Ente del Terzo settore (ETS) precisamente all’art.4, comma 1, ove afferma che “Sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici,

le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi..”.

In primo luogo, emerge la caratteristica di questi enti, i quali presentano una struttura complessa dei ricavi a differenza delle imprese che tendono a sostenersi mediante una singola fonte di entrate.[9]

Gli ETS possono ricavare le proprie risorse da fondi pubblici, contributi di singoli enti pubblici a supporto di specifiche attività, ma tradizionale ciò avviene tramite donazioni private e lavoro di volontariato. Dunque se ne desume chiaramente che gli ETS non producono valore tramite un’attività tipica né tantomeno a scopo di lucro, qui risulta opportuno inserire un possibile collegamento con la Società benefit .

Bisogna però precisare che mentre gli Enti del terzo settore costituiscono un modello volto a dare una riposta ai disagi sociali e conseguentemente supporto a chi è portatore di questi disagi, diversamente lo scopo “tipico” di una Società Benefit è volto ai problemi del mondo e lato sensu della società, con l’obiettivo di migliorare lo standard di vita di qualsiasi categoria sociale e non sono quelle disagiate.

La disciplina delle SB è stata approvata in un tempo anteriore rispetto a quella degli ETS, in un’ottica non interconnessa, solo con un grande sforzo degli interpreti, ed eventualmente un ulteriore intervento del Legislatore, sarà possibile procedere ad una integrazione, cogliendo le opportunità che il modello di Società Benefit possono dare al sistema ETS.

Compito delle istituzioni è quello di agevolare il reperimento di fonti di finanziamento di enti con un grado di impatto sociale così elevato, elaborare modalità chiare e agevoli tali da permettere agli ETS allo scopo di reperire risorse economiche per il proprio sostentamento di costituire una SB, quale, tramite generazione di profitti potrebbe fornire all’ETS le risorse necessarie per esercitare l’attività di interesse generale a cui è preposta.

Non sembra possano desumersi delle preclusioni dal Codice del Terzo Settore, se non il vincolo all’esercizio di attività di interesse generale

Inoltre se vi è una Società Benefit come ente partecipato o controllato si ha una massimizzazione dell’impatto sociale tanto tramite lo svolgimento delle attività di interesse generale dell’ente quanto mediante il perseguimento del beneficio comune richiesto dall’art. 1, commi 376 a 384 legge n.208/2015 .

 

[1] “La disciplina delle società benefit” Circolare Assonime n.19 del 20 giugno 2016

[2] D. Lenzi ”Le società benefit” in Giurisprudenza commerciale, 2016

[3] G.B. Portale, “Diritto societario tedesco e diritto societario italiano in dialogo”, in Banca Borsa titoli di credito, 2018

[4] A. Lupoi “L’attività delle società benefit” in Rivista del notariato, 2016

[5] S.Prataviera “Società benefit e responsabilità degli amministratori” in Rivista delle società, 2018

[6] P. Guida “La Società benefit quale nuovo modello societario” in Rivista del notariato, 2018

[7] A. Daccò “La società benefit tra interesse dei soci e interesse dei terzi: il ruolo degli amministratori e profili di responsabilità in Italia e negli Stati Uniti” in Banca borsa titoli di credito, 2021

[8] D. Caterino “Denominazione e labeling della società benefit, tra marketing reputazione e alterazione delle dinamiche concorrenziali” in Giurisprudenza commerciale, 2020

[9] A. Perrone “Il finanziamento degli Enti del Terzo Settore” in Orizzonti del diritto commerciale, 2020

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