lunedì, Dicembre 9, 2024
Criminal & Compliance

Sostanze stupefacenti e consumo di gruppo: le ipotesi di non punibilità

Teatro di ricchi dibattiti giurisprudenziali e dottrinari costituisce, da sempre, il c.d. “fenomeno” del consumo di gruppo di sostanze stupefacenti.

In mancanza di un precipuo disposto normativo atto a tratteggiare i profili materiali del concetto di “consumo di gruppo”, fattispecie penalmente irrilevante, sussumibile sotto al genus dell’illecito amministrativo, si è sviluppato il timore che lo “spaccio” di droga a terzi fruitori possa, di fatto, mascherarsi e fondersi con l’uso collettivo.

Con estrema veemenza la giurisprudenza di legittimità ha cercato, nel tempo, di colmare tale vulnus normativo; segnatamente, in epoca immediatamente successiva all’emanazione del Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, D.p.r. 9 ottobre 1990, n.309, l’indirizzo prevalente riconduceva l’ipotesi del consumo collettivo di droga alla fattispecie di concorso di persone nel reato di detenzione per uso non personale.

Cionondimeno, l’esito del referendum abrogativo, seppur parziale, della legge Jervolino-Vassalli nel 1993, che elise ogni riferimento alla c.d. “dose media giornaliera”, condusse all’insediamento di un nuovo e diverso orientamento giurisprudenziale, sulla scorta del quale si riteneva penalmente irrilevante l’acquisto e la detenzione nel medesimo luogo e tempo, da parte di un gruppo di soggetti, di sostanze stupefacenti per un uso comune[1].

Il ridetto filone di pensiero, in contrasto con l’antecedente indirizzo, diede luogo a pronunce divergenti e contrastanti sul punto, sì da invocare l’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite (sent. 28 maggio 1997, n.4).

Gli Ermellini estesero le maglie del concetto di “co-detenzione”, come delineatosi nel tempo, fino ad ivi ricomprendere l’ipotesi del particolare “mandato all’acquisto”, conferito ad un singolo membro del gruppo, addivenendo alla totale irrilevanza penale della detenzione e del consumo di gruppo di sostanze stupefacenti[2].

Tale prima impasse interpretativa si ripresentò nuovamente a seguito dell’introduzione, nel Testo unico stupefacenti, del comma 1-bis lett. a), all’art. 73, mediante la novella della legge 21 febbraio 2006, n.49, incriminante tutte le condotte detentive finalizzate ad un “uso non esclusivamente personale”.

La rotta fu quella di attribuire all’avverbio “esclusivamente” la funzione di orpello giuridico, in quanto inidoneo a sancire la rilevanza penale del consumo collettivo, riferendosi soltanto alle condotte diverse dal “mandato ad acquistare” per un uso di gruppo e più specificamente alle residue ipotesi, che sebbene riconducibili al consumo di gruppo, si caratterizzano per avere più persone, concordemente e unitariamente, deciso di consumare sostanze stupefacenti già detenute da uno di loro ed in mancanza di un preventivo mandato all’acquisto.

Si sosteneva, invero che: «il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, quale ipotesi di non punibilità, si appalesa come una particolare specie del più ampio genus configurante il concetto di detenzione, indicato dall’art.73 D.P.R. n.309/1990, ritenuto che la specificità decisiva, la quale consente di concludere nel senso della irrilevanza penale di un acquisto e di una derivata detenzione di droga da parte di più persone riunite, sia il raggiungimento della prova positiva di una comune ed originaria finalità che unisce e da forma alla partecipazione dei singoli alle condotte descritte»[3].

Sul punto, si riscontra uno storico pronunciamento chiarificatore delle Sezioni Unite del 2013, le cui motivazioni suppliscono l’evidenziata lacuna normativa che, in una prospettiva de iure condendo, rappresentano ancor oggi criteri esplicativi ed individualizzanti del ridetto consumo di gruppo.

Il Supremo Consesso, infatti, quasi a conferma del precedente indirizzo, S.U. n. 4/1997, espresso in un contesto legislativo, prima facie, di differente conformazione, ribadì l’illiceità esclusivamente amministrativa del consumo di gruppo.

Secondo il dictum della Corte, l’espressione “esclusivamente”, aggiunta dalla novella del 2006, in assenza di altre precise e non equivoche indicazioni testuali, assume il valore di una “superfetazione” giuridica, priva d’ogni qualsivoglia incidenza interpretativa di significativo tenore.

Peraltro, pur anche si volesse paventare una sua vaga e possibile valenza in senso rigorista, nell’incertezza, si dovrebbe sempre prediligere l’interpretazione meno pregiudizievole per l’imputato, a mente del più generale e granitico principio del favor rei[4].

Nelle motivazioni in sentenza i giudici precisarono che il consumo di sostanze stupefacenti di gruppo, ora nell’ipotesi di acquisto congiunto, ora in quella di mandato all’acquisto, non costituisce fattispecie penalmente rilevante, integrando, piuttosto, l’illecito amministrativo di cui all’art. 75 dello stesso D.p.r.
Si chiariva, pertanto, come la locuzione “uso esclusivamente personale” non riguardasse soltanto l’utilizzo individuale, bensì ogni qualsivoglia tipologia di condotta, indi anche collettiva, che escluda a priori, sul piano giuridico e ontologico, una destinazione allo spaccio dello stupefacente.

La legge, tuttavia, non individua tangibili presupposti volti a tracciare l’evidenziato distinguo tra “acquisto congiunto” e “mandato all’acquisto”, limitandosi esclusivamente ad evidenziare gli elementi necessari ad escludere una possibile condotta detentiva finalizzata all’uso personale della sostanza.

In particolare, l’art. 73, al comma 1 bis, lett. a), richiama, quali marcatori sintomatici di detenzione indirizzata alla cessione a terzi fruitori, le modalità di presentazione della sostanza, il peso lordo complessivo, il confezionamento frazionato, ovvero ulteriori e possibili circostanze dell’azione, sintomatiche di una destinazione non esclusivamente personale.

In tale corollario, neanche a seguito del ridetto pronunciamento delle Sezioni Unite, il legislatore ha operato un puntuale intervento chiarificatore volto a cristallizzare e definire il concetto di “consumo di gruppo”, così come delineatosi nell’esperienza fattuale e giuridica, comprensivo delle eterogene e distinte nozioni di “acquisto di gruppo” e “mandato all’acquisto”.

Il discrimen tra i rudimenti in parola emerge dall’esperienza fattuale.

Anzitutto, giova rilevare, che la coniata espressione “uso di gruppo”, appare ontologicamente fuorviante, poiché focalizza l’attenzione sul post factum, ossia sul momento del consumo dello stupefacente, e non già sulla condotta illecita incriminata dalla norma.

Assai più adeguata, dunque, risulterebbe la locuzione “acquisto di gruppo” di sostanze stupefacenti, che, al pari del consumo individuale, non risulta penalmente sanzionabile qualora si verifichi, fin dall’inizio, “per conto e nell’interesse anche di soggetti diversi dall’agente, quando sia certa da subito l’identità dei medesimi nonché la loro volontà di procurarsi le sostanze destinate al proprio consumo”.

Siffatta fattispecie, riguardante l’ipotesi di acquisto congiunto di stupefacente da parte di più persone finalizzato al consumo collettivo, si distingue dal diverso e più delicato caso, in thema probandum, del “mandato all’acquisto”, integrato dall’evenienza in cui un soggetto, necessariamente consumatore, risulti incaricato da altri all’acquisto per l’uso collettivo[5].

Con riguardo a quest’ultima condotta, ci si è chiesti se potesse risultare punibile il soggetto, in qualità di mandatario, che acquista e fornisce materialmente la sostanza agli altri componenti del gruppo, individuati come mandanti, i quali, comunque, non pongono in essere alcun atto partecipativo all’acquisto.

Nel silenzio della legge, la Cassazione ha ricompreso anche tale ipotesi del mandato all’acquisto sotto la species dell’illecito amministrativo di cui all’art. 75 t.u. stupefacenti.

In particolare, al mandatario che acquista in nome e per conto degli altri soggetti appartenenti al gruppo, andrebbe applicata la disciplina normativa prevista dal codice civile in tema di “contratto concluso dal rappresentante” ex art 1388 c.c. ed “acquisti del mandatario” ex art. 1706 c.c.[6].

Sulla scorta di tali norme civilistiche, dunque, tutti i membri del gruppo, proprio in virtù del mandato conferito, acquisterebbero fin da subito la disponibilità pro quota della droga, per il sol fatto di averla commissionata con l’intenzione di consumarla in un secondo momento.
Cionondimeno, l’irrilevanza di una tale fattispecie risulta subordinata al verificarsi di determinati presupposti, volti a comprovare che trattasi di reale “mandato all’acquisto” e non già di cessione di droga a terzi fruitori larvata dall’uso collettivo.

Con recentissima sentenza del dicembre 2020, infatti, la Suprema Corte, confermando il precedente orientamento espresso dalle Sezioni Unite del 2013, ha statuito quanto segue: <<anche all’esito delle modifiche apportate dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49 al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, il c.d. consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, sia nell’ipotesi di acquisto congiunto, che in quella di mandato all’acquisto collettivo ad uno dei consumatori, non è penalmente rilevante, ma integra l’illecito amministrativo sanzionato dal cit. D.P.R., art. 75, a condizione che: a) l’acquirente sia uno degli assuntori; b) l’acquisto avvenga sin dall’inizio per conto degli altri componenti del gruppo; c) sia certa sin dall’inizio l’identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente all’acquisto. (In motivazione, la S.C. ha precisato che con il riferimento all’uso “esclusivamente personale“, inserito dal D.L. n. 272 del 2005, art. 4-bis, conv. in L. n. 49 del 2006, il legislatore non ha introdotto una nuova norma penale incriminatrice, con una conseguente restrizione dei comportamenti rientranti nell’uso personale dei componenti del gruppo, ma ha di fatto ribadito che la non punibilità riguarda solo i casi in cui la sostanza non è destinata a terzi, ma all’utilizzo personale degli appartenenti al gruppo che la codetengono). (Sez. U, n. 25401 del 31/01/2013, p.c. in proc. Galluccio, Rv. 255258)>>[7].

Indi, di contro, l’ipotesi di consumo di gruppo di sostanze stupefacenti andrebbe esclusa in tutti in casi in cui difetti la prova della: “coincidenza soggettiva parziale tra acquirente e assuntore dello stupefacente; della certezza sin dall’origine dell’identità dei componenti il gruppo; della condivisa volontà di procurarsi la sostanza destinata al paritario consumo personale; dell’intesa raggiunta in ordine al luogo e ai tempi del consumo; dell’immediatezza degli effetti dell’acquisizione in capo agli interessati senza passaggi intermedi”.

Nel caso di specie, infatti, i giudici di legittimità hanno ritenuto sufficiente ad escludete l’ipotesi dell’uso di gruppo e dunque, l’irrilevanza penale della condotta, l’assenza dell’indicazione degli appartenenti al gruppo dei presunti assuntori.

La giurisprudenza, nel tracciare specificamente i confini di punibilità della detenzione e del consumo personale e collettivo, si pone in perfetta aderenza al dictum normativo, la cui ratio apprezzabile è quella di distinguere ed isolare la posizione del consumatore, quale tossicodipendente, da quella del cessionario, protagonista del mercato degli stupefacenti.

Il testo unico, infatti, ha come palmare obiettivo, non già la criminalizzazione del <vizio> del consumatore, destinatario di sole sanzioni amministrative, bensì la sua risocializzazione, mediante appositi programmi terapeutici e socio-riabilitativi, precipuamente pensati per il suo social revival, cui evidente esempio costituisce il comma secondo dell’art. 75 della ridetta disciplina.

Cionondimeno, ad avviso di chi scrive, la disciplina in parola risulta ancora carente e non perfettamente aderente alle nuove fenomenologie cui la stessa giurisprudenza sembra avere preso coscienza da tempo.

L’insieme delle condizioni, dei presupposti e degli elementi postulati dalla giurisprudenza a definizione della locuzione di consumo di gruppo e ad argine della sua punibilità, sebbene assai preciso e dirimente, sembrerebbe avere voce legiferante, condizione questa, che esula dai poteri dell’autorità giudiziaria, la quale, secondo i dettami della carta costituzionale, ricopre l’elevata funzione di applicazione di norme giuridiche già esistenti, la cui creazione è rimessa unicamente al legislatore.

Tali ragioni, impongono un imminente intervento normativo che inglobi e modelli gli espressi indirizzi, individuando in maniera puntuale i presupposti di punibilità delle distinte ed eterogenee ipotesi attinenti alla detenzione ed al consumo di sostanze stupefacenti.

[1] Cfr. V. Citraro, “Il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti”, luglio 23 2018, disponibile qui: https://deiurecriminalibus.altervista.org/il-consumo-di-gruppo-di-sostanze-stupefacenti/

[2] Il provvedimento in parola è consultabile al sito: http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/

[3] Cfr. Cass. Pen. sent n. 8366/2011, testo disponibile in: http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/

[4] Cfr. Cass. S.U. 31 gennaio 2013 (dep. 10 giugno 2013), n. 25401), in http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/

[5]Sul punto cfr. A. Ancona, “Non è reato consumare droga in gruppo. Ma a quali condizioni?”, in http://www.legalepalmisano.it/notizie/blog/98-non-e’-reato-consumare-droga-in-gruppo-ma-a-quali-condizioni.html

[6] Art.1388 c.c.: <<Il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato(1), nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato.>>

Art. 1706 c.c.:<<Il mandante può rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio [1705](1), salvi i diritti acquistati dai terzi per effetto del possesso di buona fede(2).

Se le cose acquistate dal mandatario sono beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, il mandatario è obbligato a ritrasferirle al mandante. In caso d’inadempimento, si osservano le norme relative all’esecuzione dell’obbligo di contrarre [2652 n. 2, 2690 n. 1; 183 disp. att.>>

[7] Cfr. Cass. pen., sez. IV, 24/11/2020, (ud. 24/11/2020, dep. 29/12/2020), n.37568, disponibile su: http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/

Fonte immagine: https://unsplash.com/s/photos/drugs

Ilaria Marchì

La dott.ssa Ilaria Marchì nasce a Enna il 29 ottobre del 1993. Dopo aver conseguito diploma di maturità scientifica nell'anno 2012 presso l'I.S.I.S.S. "G. Falcone" di Barrafranca (EN), si iscrive presso l'Università degli Studi Kore di Enna, conseguendo nell'ottobre 2017 laurea magistrale in Giurisprudenza. Il suo percorso post-universitario risulta ricco di esperienze formativo-professionali. Dal novembre 2017 fino al novembre 2019, ha svolto la pratica forense presso lo studio legale "Piazza & Associati", occupandosi della redazione di atti giudiziari di varia natura, penale e civile, nonché  di attività di udienza. A far data dal maggio 2018 fino all'ottobre 2019, ha svolto tirocinio giudiziario ex art. 73 d.l. n. 79/2013, presso la Corte d'Appello di Caltanissetta.

Durante i primi sei mesi di tale periodo formativo ha coadiuvato il Presidente della Seconda Sezione Penale della Corte D'Appello di Caltanissetta, partecipando alle attività di udienza, alle successive camere di consiglio, predisponendo relazioni di inizio processo, stralci di sentenze, provvedimenti giudiziali di vario genere, nonché partecipando a procedimenti di applicazione di misure di prevenzione.
E' stata impegnata anche presso l'Ufficio del Processo, svolgendo adempimenti di vario genere. I successivi 12 mesi di formazione li ha eseguiti presso la Corte d'Assise d'Appello di Caltanissetta, coadiuvando strettamente il Presidente, ed il Giudice a latere, partecipando a diversi processi di estremo rilievo, quali, tra gli altri, Borsellino quater e Capaci bis. La sua specifica attività è stata quella di redigere le relazioni di inizio processo- crono-storia del primo grado di giudizio- nonché sintesi di atti d'appello e redazione bozze motivazionali di sentenza.
Nel luglio 2019 ha conseguito un master di II livello presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali,  Università degli Studi Kore di Enna. Ad oggi lavora presso un noto studio legale in Sicilia, "Studio Legale Sinatra & Partners", occupandosi di attività giudiziale e stragiudiziale e, più specificamente, della redazione di atti giudiziari di vario tipo, di natura penale (come redazione di esposti, querele, atti di gravame, istanze, etc...) e civile. Con precipuo riguardo al diritto penale, branca specializzante del ridetto studio, si occupa di fornire consulenza ed assistenza legale personalizzata al cliente, trattando reati contro la persona (omicidio, lesioni personali), contro il patrimonio (rapina, estorsione, furto, ricettazione, riciclaggio), reati in materia di sostanze stupefacenti (detenzione a fini di spaccio, associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga), reati associativi e di criminalità organizzata (associazione a delinquere, associazione di stampo mafioso, associazione sovversiva), reati sessuali e prostituzione (violenza sessuale, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione), reati contro la famiglia (stalking) e reati contro la Pubblica Amministrazione. contatto: marchi.ilaria29@gmail.com

Lascia un commento